La prima “finestra di opportunità”: un’occasione mancata
A partire dalla fine del secolo scorso, nella società e nella politica italiana è cresciuta la consapevolezza della necessità di rivedere il sistema di welfare per renderlo più adeguato all’aumento degli anziani non autosufficienti. In effetti, tra la conclusione degli anni ’90 e il 2008, la riforma nazionale dell’assistenza loro destinata (Long-Term Care)1 è stata ampiamente discussa e molte proposte sono state avanzate. Tuttavia, la stagione che ha visto numerosi paesi simili al nostro introdurre robuste riforme nazionali – come Austria (1993), Germania (1995), Francia (2002) e Spagna (2006) – in Italia non ha avuto un analogo risultato. L’onere di sviluppare il sistema di Long-Term Care è stato, pertanto, lasciato sostanzialmente sulle spalle di Regioni e Comuni, impossibilitati a farvi adeguatamente fronte da soli.
Si è chiusa così senza esito quella che gli scienziati politici chiamano una “finestra di opportunità”: un periodo temporalmente limitato nel quale si vengono a creare le condizioni per modificare assetti consolidati – in questo caso nelle politiche nazionali di protezione sociale – a patto che vi siano uno o più attori politici capaci di sfruttarle2.
Durante la lunga crisi economica cominciata nel 2008 l’interesse riformatore dello Stato in materia di welfare si è spostato verso altri temi, anch’essi tradizionalmente poco considerati, chiamati direttamente in causa dal nuovo panorama sociale: la povertà e la disoccupazione. Tale attenzione si è tradotta in un robusto pacchetto di riforme: un notevole rafforzamento degli ammortizzatori sociali – con l’introduzione dell’Aspi prima (Governo Monti, 2012) e della Naspi poi (Governo Renzi, 2014) – e l’adozione di una misura nazionale di contrasto alla povertà, il Reddito d’Inclusione (Governo Gentiloni, 2017) successivamente sostituito dal Reddito di Cittadinanza (Governo Conte I, 2019). La “finestra di opportunità” che la crisi economica ha offerto per rafforzare questi settori, dunque, è stata colta.
La seconda “finestra di opportunità”: questa volta andrà meglio?
Sino a poco tempo fa, gli anziani non autosufficienti detenevano il poco invidiabile primato di essere, tra i gruppi sociali interessati al welfare, quello meno considerato dai decisori nazionali. Infatti, qualunque altra categoria si esaminasse – pensionati o adulti con disabilità, famiglie con figli o disoccupati – il risultato non cambiava: nella scala di priorità della politica venivano tutte prima.
L’irrompere del Covid-19, però, ha radicalmente mutato lo scenario. Negli ultimi mesi la condizione degli anziani non autosufficienti ha suscitato, nei media e nella società, un interesse senza precedenti nella storia del nostro Paese. Essi, infatti, si sono drammaticamente trovati al centro dell’attenzione da numerosi punti di vista: come vittime della pandemia, come ospiti di strutture residenziali in difficoltà nel proteggerli dal contagio, come mancati utenti dei ridotti servizi domiciliari disponibili e altro ancora.
L’interessamento nei loro confronti si è già tradotto nei nuovi stanziamenti destinati all’Assistenza domiciliare integrata (Adi) previsti dal Decreto Rilancio di maggio. Ma questo è solo l’inizio. Infatti – al netto del frastuono politico che lo accompagna – è ragionevole supporre che l’Italia aderirà al fondo europeo del Mes, che destinerà sino a 36 miliardi di Euro alla sanità: una parte significativa potrà essere riservata al Long-Term Care. Più in generale, grazie alla disponibilità di nuovi stanziamenti pubblici conseguente al Covid-19 e al rilievo guadagnato dal settore, nel prossimo futuro vi saranno maggiori finanziamenti statali per la non autosufficienza.
A questo punto dovrebbe spiccare con chiarezza l’occasione che la tragedia del Covid-19 ha recato con sé: l’accresciuto rilievo sociale e mediatico della non autosufficienza e le maggiori risorse economiche che lo Stato avrà a disposizione creano un contesto nel quale introdurre una riforma nazionale sembra nuovamente possibile. Nella dinamica storica del welfare italiano si è, in altre parole, aperta una seconda “finestra di opportunità” nella stessa direzione. Si riuscirà, questa volta, a sfruttarla? Per poter sperare in un simile esito mancano due ingredienti fondamentali: l’investimento politico e la progettualità.
Innovatori politici cercansi
Sinora, la grande attenzione ottenuta dalla questione della non autosufficienza non è stata la conseguenza dello sforzo di qualche parte politica bensì delle drammatiche circostanze della pandemia. A oggi, infatti, la riforma del Long-Term Care non compare tra gli obiettivi principali di nessuno schieramento. Ma le riforme ambiziose (e, in quanto tali, inevitabilmente complicate), non si realizzano senza un’ampia copertura politica. Inoltre, numerosi settori ambiranno alle più consistenti risorse sul tappeto e il Long-Term Care – seppure attualmente in posizione favorevole – potrà ottenerne una quota di rilievo solo grazie a una decisa spinta politica.
La forza che per prima condurrà una vera battaglia sul tema, promuovendo un impulso riformatore degno di questo nome, farà del bene non solo al welfare italiano ma anche a sé stessa, traendone un beneficio in termini di consenso. Si ricordi al proposito quando, ormai 10 anni fa, il neonato Movimento Cinque Stelle iniziò a battere il tasto del contrasto alla povertà. Allora il tema sembrava marginale, invece è diventato cruciale per l’ascesa del Movimento. Qui siamo sul terreno della pura innovazione politica: intestarsi per primi una questione molto presente nella società, in precedenza scarsamente recepita dalla classe dirigente, determina abitualmente vantaggi.
Un progetto per il futuro del Long-Term Care in Italia
Oltre all’investimento politico, manca un progetto per il futuro del settore nel nostro Paese. Un progetto che consenta di non fermarsi alla sola richiesta di maggiori fondi da parte dello Stato, tanto giusta quanto parziale, bensì di accompagnarla con indicazioni puntuali circa gli interventi necessari non a riprodurre gli attuali difetti del sistema su scala maggiore ma a migliorarlo. In proposito siamo, purtroppo, ancora indietro. D’altra parte, le proposte presentate durante la prima “finestra di opportunità” paiono oggi poco utilizzabili poiché sono state pensate per uno scenario assai differente; da allora, peraltro, il tema della riforma nazionale – complice la sua scomparsa dall’agenda politica – è stato oggetto di poche elaborazioni.
I punti di partenza sono piuttosto chiari: (i) la necessità di uno sviluppo quanti-qualitativo del Long-Term Care in Italia, (ii) l’esigenza di un maggior intervento statale a sostegno di Regioni e Comuni, logica condivisa da tutte le riforme estere, (iii) l’imperativo di definire per il livello centrale un ruolo di regia e coordinamento capace di inserirsi positivamente in un panorama segnato da grandi differenze territoriali e da sistemi locali di welfare assai strutturati, (iv) la consapevolezza che sarà difficile chiedere una percentuale significativa dei nuovi finanziamenti statali senza una proposta credibile sul loro utilizzo. Quello di cui abbiamo ora bisogno, dunque, è un progetto per la riforma nazionale difendibile, intorno al quale costruire consenso.
Note
- La riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti è stata, ed è, spesso discussa congiuntamente a quella delle politiche rivolte a giovani e adulti con disabilità. Per semplicità, qui ci si riferisce esclusivamente alla prima.
- Kingdon, J.W., (1984), Agendas, alternatives, and public policies, Little Brown, Boston.