1 Settembre 2008 | Cultura e società

La persona che invecchia nella religione ebraica, cristiana e islamica

La persona che invecchia nella religione ebraica, cristiana e islamica

(dal libro AA.VV. La persona che invecchia nella religione ebraica, cristiana e islamica. Simposio inter-religioso a conclusione del 50°Congresso SIGG.Pisa,Pacini Editore 2008)

 

Chi legge queste pagine viene colpito dal livello di cultura teologica e storica che le caratterizza; chi è abituato alla concretezza della cultura tecnico-scientifica resta ammirato dalla profondità degli scritti, che induce sempre più a convincere che la persona è costruita attorno al suo corpo e alla sua mente, in un rapporto strettissimo. E che per curare non si può dimenticare nessuna delle sue parti: nella tradizione geriatrica vi è sempre stata un’attenzione alla dimensione verticale dell’uomo, che la multidimensionalità, della quale siamo esperti, non può trascurare al fine di un’assistenza più efficace. La ricerca del senso della vita è un passaggio delicatissimo, per evitare la disperazione dell’anima nel vecchio ed il pessimismo (premessa dell’abbandono) da parte dei curanti (siano essi familiari, caregiver informali, operatori socio-sanitari).

 

Chi ha la fede è facilitato nella ricerca di senso, perché Dio è un riferimento forte, un punto di arrivo, ed anche un punto di riposo per chi è tribolato a causa delle difficili circostanze della vita. Quindi, pur senza negare la possibilità per tutti – credenti e non credenti – di riempire di significati un’esperienza di difficoltà e di dolore, chi ha avuto il dono della fede è in qualche modo facilitato, ma per questo più responsabile di fronte al fratello.

 

È proprio nell’assunzione aprioristica di responsabilità verso il fratello che trova la sua logica l’atto di cura, anche quando potrebbe sembrare particolarmente difficile, apparentemente senza speranza. Ma la responsabilità per il fratello dà senso anche a chi è vecchio e ammalato, perché mai questi sarà così compromesso da non poter esercitare – anche solo con la preghiera per l’altro – un momento di responsabilità, in una logica di prendersi in carico le sue difficoltà e sofferenze. Ciò vale anche quando la persona fosse colpita da una grave compromissione delle funzioni cognitive, perché viene a trovarsi al centro di una serie di atti di responsabilità che danno senso alla sua vita, proprio perché l’altro dona -attraverso l’atto di attenzione- un significato che sovrasta le mille difficoltà di una vita di sofferenze e potrebbe da taluno essere ritenuta priva di valore autonomo. È un’alleanza tra uomini e donne benedetta dal Dio dell’Universo.

 

Infine queste pagine ci parlano dell’universalità del concetto di carità, in ogni cultura ed in ogni religione. Il modello di una medicina dominata dall’ideologia tecnologica, che risolve ogni problema clinico attraverso l’intervento delle macchine, dietro le quali l’uomo perde la capacità di rapporto con l’altro uomo, è stato sconfitto dall’impossibilità di affrontare le malattie croniche nella logica del prendersi cura, che significa lenire la sofferenza, controllare i sintomi, accompagnare nelle difficoltà, anche se non si raggiunge la guarigione. Se il rapporto di lunga durata che così si instaura non è caratterizzato da un atteggiamento di vicinanza umana – anche da parte degli operatori sanitari – non si ottengono i risultati attesi. L’atteggiamento di comprensione e compassione (che potrebbe essere anche chiamato di carità nel senso più alto) non è un’appendice volontaristica dell’atto di cura, ma strutturale e necessario.

 

Chi aveva ipotizzato in medicina la fine del rapporto tra le persone, travolto dalla tecnologia, si era dimenticato del monito “i poveri saranno sempre in mezzo a voi”. La carità sarà sempre, in qualsiasi luogo del mondo, e mediata attraverso qualsiasi cultura, un indispensabile strumento di coesione umana e quindi, tanto più, di cura delle persone fragili. L’attenzione verso la persona che invecchia deve sempre essere accompagnata da una lettura non parziale del suo essere nel mondo. Solo così l’atto di cura diviene davvero efficace e la speranza non è travolta dalle difficoltà della vita.

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