1 Dicembre 2008 | Servizi

Per chi lavorano le ‘badanti’?

Per chi lavorano le ‘badanti’?

Premessa

Attualmente, si stima che siano circa 600-800.0001le persone immigrate, nella grande maggioranza donne, che vivono con anziani con problemi di non autosufficienza, assistendoli a tempo pieno, o quasi, presso il loro domicilio. In effetti, se in tutti i paesi occidentali le necessità di cura e di assistenza hanno assunto, negli ultimi decenni, un rilievo crescente, il ricorso ad ‘assistenti familiari’, ossia a ‘badanti’, costituisce un tratto peculiare del sistema assistenziale soprattutto di quei Paesi (Italia, Spagna, Grecia, Portogallo) che coniugano un modesto sviluppo di servizi domiciliari e residenziali con la persistenza di un modello culturale ‘familistico’ (Gori, 2002; Castegnaro, 2004; Pavolini, 2004; Facchini, 2005; Spano, 2006).

 

Obiettivo di questo lavoro è presentare alcuni dati emersi da una ricerca condotta per conto dello SPICGIL Lombardia su un consistente campione di ‘badanti’ (quasi 650) residenti nella regione2. Più precisamente, dato che il profilo socio-anagrafico delle intervistate è del tutto analogo a quanto di norma rilevato3, ci soffermeremo sulle condizioni di salute degli anziani accuditi, tema che, pur essendo di particolare rilievo, è affrontato solo marginalmente nella maggior parte delle ricerche sulle ‘badanti’.

 

Gli anziani accuditi: condizioni di salute e necessità di accudimento

Nella maggior parte dei casi, le persone accudite sono ‘grandi anziani’ (oltre la metà ha più di 85 anni), più spesso donne. Il primo dato è riconducibile alla nota relazione tra non autosufficienza ed età avanzata, il secondo sia alla maggior longevità femminile, sia alla maggior incidenza, tra le donne, anche a parità di classe di età, di condizioni di problematicità sanitaria e di condizioni di non autosufficienza, sia, infine, alla più frequente condizione di solitudine delle anziane e alla loro conseguente minore possibilità di essere accudite dal partner o da altri familiari conviventi (Facchini, 2006).

 

Per quanto riguarda le problematicità dichiarate, nel 50% dei casi si tratta di problemi motori, nel 18,8% di problemi cognitivi; modesta è la percentuale di chi ha entrambi i tipi di problemi (13,8%), mentre nel 17,5% dei casi non vengono segnalate specifiche problematicità4.
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Tabella 1 – Problematicità assistito * Sesso persona assistita.

 

I dati sulla problematicità trovano conferma in quelli relativi alla patologia prevalente; tuttavia, mentre i problemi cognitivi risultano strettamente connessi alle diverse forme di demenza (Alzheimer in primis), i problemi motori sono collegati ad una estrema molteplicità di cause (ictus, morbo di Parkinson, diabete, artrosi o osteoporosi, rottura del femore, problemi cardiaci, ecc.). D’altro canto, in quasi la metà dei casi non viene citata alcuna specifica patologia, ma si rimanda ad un complessivo deterioramento ed all’età molto avanzata. Il relativo scollamento tra i due dati (quello sulla patologia prevalente e quello sulle principali problematicità) è rilevante in quanto evidenzia da un lato come nelle età tardo anziane, anche in mancanza di una specifica patologia, si possa verificare un deterioramento delle condizioni complessive e il profilarsi di una non-autosufficienza, dall’altro come età e comorbilità possano confondere i quadri clinici tradizionali (Resnick e Marcantonio, 1997).

 

La complessiva criticità delle condizioni degli anziani assistiti emerge in modo assai netto se si considerano i livelli complessivi di autosufficienza: l’indice complessivo di dipendenza (ADL) è molto alto nel 30,9% dei casi, elevato nel 31,9%, medio nel 28,1%; solo nel 9,1% dei casi l’indice è molto basso e l’anziano può essere considerato sostanzialmente autosufficiente. Meno severo il quadro che emerge dai dati relativi ai problemi cognitivi5: il 18,3% dei casi ha una problematicità molto elevata; il 19,7% elevata; il 33,5% media; il 28,4% nulla o quasi. Ancora più contenuta la presenza di disturbi comportamentali: l’1,3% ha una problematicità molto elevata, il 13,3% elevata, il 47,9% media, il 37,6% nulla o quasi; tuttavia, se si considera la pesantezza degli items che concorrono a formare quest’ultimo indice6, è evidente come il quadro complessivo sia spesso decisamente compromesso. Nello stesso tempo, il fatto che i dati sulla disabilità siano più severi rispetto a quelli relativi ai problemi cognitivi e ai disturbi comportamentali potrebbe essere riconducibile al fatto che, in presenza di questi ultimi, vi sia una maggiore propensione da parte delle famiglie a ricoverare l’anziano in una struttura residenziale e sia quindi minore l’accudimento domiciliare, pur con il ricorso ad una ‘badante’ (Facchini, 2007).

 

Nella maggior parte dei casi, le condizioni degli assisti ti si traducono da un lato in una consistente limitazione di ciò che essi sono in grado di fare, dall’altro in una forte necessità di sostegno e di lavoro assistenziale. Risulta così che la patologia limita moltissimo nel 34,2% dei casi, molto nel 27,4%, un po’ nel 23,3%; solo nel 15,15% dei casi l’anziano è in grado di gestirsi senza aiuto. Ovviamente, netta è la relazione con la problematicità dichiarata: la maggior parte di chi non ha problemi specifici ha limitazioni nulle o modeste, chi ha invece entrambi i problemi ha limitazioni assai severe, che solo in pochi casi lasciano spazio a margini di autonomia. Nello stesso tempo, mentre chi non ha problemi specifici necessita di norma solo di pochi interventi programmabili nell’arco della giornata, chi ha problemi, in particolare se cognitivi, specie se associati anche a limitazioni motorie, necessita in misura consistente di un’assistenza continua, che va ben oltre degli interventi previsti o programmabili.

 

Quello che però più interessa rimarcare è l’elevata eterogeneità delle situazioni considerate, che vede da un lato una quota assai consistente contrassegnata da un’elevata problematicità e da un consistente carico assistenziale (circa il 60%); una parte minore, ma pure rilevante (attorno al 30%), contrassegnata da una problematicità intermedia, e una parte, infine, minoritaria, ma non trascurabile (10-15%), che sembra corrispondere più che a specifiche necessità assistenziali, a esigenze di generico accudimento e di rassicurazione per gli anziani e i loro familiari – e forse di compensazione per il mancato accudimento ‘diretto’ (Pasquinelli, 2006). Quest’ultima tipologia riguarda maggiormente gli uomini7, ma anche una parte non piccolissima di donne.

 

Un’ulteriore considerazione concerne la tipologia familiare: a dichiarare problemi più pesanti sono soprattutto le badanti di anziani che vivono con coppie, a riprova che se le problematicità sono contenute, il partner se ne fa carico, evitando, di norma, il ricorso a persone retribuite.

 

Quanto ai motivi per cui non sono gli eventuali figli ad accudire gli anziani, si rileva come, in quasi la metà dei casi, la motivazione rimandi al fatto che essi lavorano e non hanno quindi tempo disponibile. A questa motivazione si aggiungono quelle che fanno riferimento alla ridotta dimensione delle abitazioni in cui essi abitano, e quindi alla mancanza di spazio, al fatto che essi vivano in un’altra città, o alla non capacità di reggere da soli il carico della cura. Sono invece assai limitati (5%) i casi in cui i figli ‘non lo vogliono fare’. Questi dati sono rilevanti se si considera che si riferiscono a percezioni/narrazioni di chi accudisce ‘al posto’  dei figli: vale a dire che nella grande maggioranza dei casi, la delega della cura a ‘non’ familiari appare riconducibile ad effettive difficoltà se non impossibilità.

Indici di: dipendenza; problemi cognitivi; disturbi comportamentali.
Tabella 2 – Indici di: dipendenza; problemi cognitivi; disturbi comportamentali.

 

Interventi necessari * Problematicità assistito
Tabella 3 – Interventi necessari * Problematicità assistito.

 

Elementi per una riflessione

L’insieme di questi dati suggerisce alcune considerazioni. La prima rimanda alla estrema pluralità delle condizioni di salute e delle necessità assistenziali degli anziani accuditi. In particolare, se in poco più della metà dei casi la gravità ‘intermedia’ dell’assistito può trovare una risposta sostanzialmente adeguata nel ricorso alla badante, si pone il problema di come possa bastare l’impegno di ‘una’ persona, di norma senza alcuna preparazione specifica, in quelle condizioni fortemente compromesse che costituiscono circa il 20% dei casi. Di converso, si tratta di capire in che misura possa essere invece adeguatamente svolto un ruolo di rassicurazione e di compagnia da parte di soggetti che, spesso, hanno una conoscenza assai limitata dell’italiano – o ancor più del dialetto, tuttora parlato da molti anziani.

 

La seconda considerazione attiene al fatto che, nella grande maggioranza dei casi, la delega della cura a ‘non’ familiari venga ricondotta ad effettive difficoltà, se non all’impossibilità dei familiari e, in particolare, al fatto che i figli ‘lavorino’. Se si considera che i mutamenti nel sistema occupazionale, e in particolare quelli relativi al sistema pensionistico, tenderanno a comportare una posticipazione dell’età al pensionamento e una minor presenza di donne ‘casalinghe’ accentuando, presumibilmente, il ruolo svolto da tali elementi sui modelli di presa in carico, è evidente che i modelli ‘familistici’ di cura saranno sottoposti a tensioni crescenti, difficilmente fronteggiabili ‘solo’ attraverso un maggior ricorso a immigrate. Un ultimo ordine di considerazioni riguarda il vissuto individuale delle ‘badanti’. Se in non pochi casi prevalgono sentimenti positivi, quali la ‘soddisfazione per quel che si sta facendo’ (13%), ‘serenità’ (10%) o ‘tranquillità per il futuro’ (7%), nella maggior parte dei casi il vissuto risulta assai problematico, segnato da preoccupazioni per il futuro (30%), ‘tristezza’ (17%), ‘stanchezza’ (12%) e ‘senso di solitudine’ (11,6%). Certo, in molti casi i rapporti con l’anziano accudito e con i suoi familiari sono positivi, ma in altri casi sono molto problematici. Certo, in non pochi casi, le condizioni concrete di lavoro non sono pesanti, ma in altri sono difficilmente sopportabili, specie nel medio-lungo periodo.

 

Certo, nella maggior parte dei casi l’immigrazione consente alle donne occupate come ‘badanti’, oltre alla sopravvivenza, la formulazione di strategie individuali e familiari, ma non sempre questo avviene in maniera piana e priva di conflitti. In ogni caso, se il ricorso a ‘badanti’ permette di mantenere, nei paesi in cui è adottato, un modello di presa in carico della non autosufficienza formalmente fa milistico, in realtà esso implica che per buona parte di chi lavora tale modello si traduca in un allentamento dei rapporti con la ‘propria’ famiglia e, in non pochi casi, in una crisi tendenziale delle relazioni con i suoi componenti.

Note

  1. L’ampio scarto tra i due valori è riconducibile all’elevata incidenza di persone prive di contratto di lavoro e spesso anche di permesso di soggiorno
  2. Un ringraziamento va a chi ha effettuato le interviste, e alle donne che hanno accettato di essere coinvolte in questo lavoro, affrontando temi anche difficili e problematici. Per una più completa, anche se provvisoria, lettura dei dati, rimandiamo a Da Roit e Facchini, 2008
  3. Circa un quarto ha meno di 36 anni, un quarto tra i 36 e i 45, un quarto tra i 45 e i 51, un quarto un’età superiore. Anche se ben 41 sono i paesi di origine rilevati, i due terzi provengono da sole 3 nazioni: Ucraina, Moldavia, Romania. Si conferma, insomma, come questo lavoro si connoti come specifico delle donne dell’Est Europa, che hanno sostituito quelle provenienti dai paesi per primi coinvolti dai flussi migratori femminili (Filippine e Centro e Sud America). Tale sostituzione è l’effetto sia del progressivo inserimento delle immigrate delle prime ‘ondate’ in occupazioni che consentono una vita familiare ‘normale’, sia dei processi di destrutturazione del sistema socio-economico di molti paesi dell’Est europeo verificatosi negli scorsi anni (Colombo e Sciortino, 2005; IRS, 2006). La relazione tra specifici flussi migratori e mercato del lavoro ‘di cura’ rimanda da un lato alle preferenze dei datori di lavoro e al fatto che il reclutamento degli immigrati tende ad avvenire mediante conoscenza/segnalazione da parte di chi già lavora, precostituendo una sorta di ‘filiera’ occupazionale; dall’altro, alle ‘preferenze’ degli immigrati, per i quali gioca un ruolo rilevante il costo del viaggio: in particolare, costi contenuti agevolano le collocazioni lavorative ‘a termine’ che permettono di alternare periodi di immigrazione con periodi in cui si ritorna a casa, in una sorta di pendolarismo annuale. Per quanto riguarda lo stato civile, si rileva che circa la metà sono coniugate, un terzo vedove o divorziate, il 14% nubili. Ne consegue che la tipologia familiare più diffusa sia in coppia con i figli (35,6%), seguita da ‘sola con figli’ (28%); modeste quindi le percentuali di singles o conviventi nella famiglia di origine (meno del 20%), o di persone in coppia senza figli (meno del 10%). Infine, le immigrate dai paesi dell’Est si contraddistinguono sia per la massiccia presenza di titoli di studio elevati (la metà ha un diploma o una laurea) sia per l’incidenza non solo di precedenti occupazioni operaie, ma anche di professioni quali insegnante o dirigente
  4. Certo, non abbiamo un riscontro ‘clinico’ a questi dati, ma se si considera che le intervistate sono le persone che svolgono il lavoro di ‘cura’, il quadro dovrebbe essere abbastanza realistico, pur se, probabilmente, con una maggior accentuazione delle problematicità esistenti
  5. L’indice è costituito a partire da questi items: disturbi gravi nella memoria; mancanza di orientamento temporale; mancanza di orientamento spaziale; disturbi nel linguaggio; non riconoscere le persone
  6. Agitazione verbale; agitazione psichica; episodi di comportamento sessuale disinibito; episodi di manipolazione delle feci
  7. A conferma che per una parte non piccola di uomini vi è un ricorso alla badante anche in assenza di specifiche necessità assistenziali, ma che si tratta piuttosto di un generico accudimento, si può notare che gli indici di dipendenza e sui problemi cognitivi mostrano dati ‘migliori’ per gli uomini che per le donne. Ad esempio, ha un bassissimo livello di dipendenza il 13,4% degli uomini, il 7,8% delle donne; non ha nessuno o quasi problema cognitivo rispettivamente il 37,8% e il 25,7%. A riguardo, si può ipotizzare che molti uomini rimasti soli, non avendo mai svolto incombenze domestiche, non siano in grado di gestire la propria quotidianità, pur in presenza di un’elevata autonomia funzionale

Bibliografia

Castegnaro C. Chi cura gli anziani non autosufficienti? Famiglia, assistenza privata e rete dei servizi per anziani in Emilia-Romagna, Franco Angeli, Milano 2004.

Colombo A, Sciortino G. Sistemi migratori e lavoro domestico in Lombardia, Ires Lombardia 2005.

Da Roit B, Facchini C. Percorsi migratori al femminile e lavoro di cura nelle famiglie, Nuovi argomenti SPI 2008;4/5:4-29.

Facchini C. (a cura di) Anziani e sistemi di Welfare. Lombardia, Italia, Europa, Franco Angeli, Milano 2005.

Facchini C. Il ‘care-givers’ degli anziani affetti da Alzheimer: tra stress e autovalorizzazione; Politiche sociali e servizi 2007, luglio-dicembre: 191-209.

Facchini C. Les soignats familiaux des personnes âgées atteintes de démence: entre stress et valorisation personnelle, in P. Pitaud (a cura di), Exclusion, maladie d’Alzheimer et troubles apparentés: le vécu des aidants, érès, Ramonville 2006: 185-210.

Gori C. (a cura di) Il welfare nascosto, Carocci, Roma 2002. IRS. Il Lavoro Privato di cura in Lombardia. Caratteristiche e tendenze in materia di qualificazione e regolarizzazione, Rapporto di ricerca 2006. Pasquinelli S. Assistenti familiari: le questioni aperte. Prospettive Sociali e Sanitarie 2006;14.

Pavolini E. Regioni e politiche sociali per gli anziani. Le sfide della non autosufficienza, Carocci, Roma 2004. Resnick NM, Marcantonio ER. How should clinical care of the aged differ?, Lancet 1997;350:1157-8.

Spano P. Le convenienze nascoste. Il fenomeno badanti e le risposte del welfare. Nuova dimensione, Verona 2006.

 

Bibliografia consigliata

Ambrosini M, Cominelli C. Un’assistenza senza confini. Welfare “leggero”, famiglie in affanno, aiutanti domiciliari immigrate, Osservatorio Regionale per l’integrazione e la multietnicità – Rapporto 2004, Fondazione ISMU, Milano 2004.

Caponio T, Colombo A. (a cura di) Migrazioni globali, integrazioni locali, Il Mulino, Bologna 2005.

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