“Questo è un piccolo passo per un uomo, un gigantesco balzo per l’umanità.” (Neil Armstrong, nel compiere il primo passo sulla superficie lunare1969), io parafrasando l’astronauta dico “Questo è un piccolo passo verso un grande cambiamento per gli anziani non autosufficienti”, ci sono diversi elementi che me lo fanno affermare senza ombra di dubbio, per punti:
- Finalmente con il PNRR di Draghi abbiamo seppure a livello progettuale avviato la riforma organica e strutturata (indica la scadenza naturale della legislatura come termine) della non autosufficienza attesa da tantissimo tempo (dal 1990…).
- Nel pensare a progettare la riforma si è partiti dall’ascolto e dall’esperienza di chi vive le tante problematiche, cioè dalla proposta da noi presentata.
- Il documento che abbiamo sottoposto a Draghi è stato un lavoro di squadra, quindi si è aperto un varco su un principio che sarebbe il più naturale possibile, cioè il mettersi insieme per progetti o per presentare istanze su tematiche comuni, che però in un Paese un po’ strano come il nostro rimane spesso a livello concettuale, tutti siamo pronti a dichiararlo, pochissimi invece a concretizzarlo.
- Il fatto che si parli di integrazione socio-sanitaria con un approccio multidimensionale nell’assistenza agli anziani, ciò significa che i due Ministeri, Politiche sociali Welfare e Salute si coordineranno e dialogheranno tra di loro in modo convergente.
- La conferma che la determinazione porta a superare qualsiasi ostacolo ed a ottenere ciò che sembra impossibile da realizzare, e qui è doveroso fare un ringraziamento, sincero non per piaggeria, al lavoro importante dell’instancabile Prof. Gori che è stato ed è di incitamento per ciascuno di noi, grazie.
Ecco perché ritengo che quanto recita il PNRR rispetto agli interventi da fare per la non autosufficienza sia veramente una grande conquista, un passo che ha aperto una strada che sono certa ci condurrà tutti insieme a raggiungere gli obiettivi stabiliti.
Ho spesso affermato che il benessere di una persona si costruisce nella singola quotidianità, è un po’ il risultato di tante cose, nella pandemia abbiamo tutti, e l’anziano non autosufficiente in particolare, pagato lo scotto di non avere ne’ come sistema Paese ne’ spesso a livello individuale “investito” in questo.
La pandemia ha colpito duramente gli anziani non autosufficienti, nelle residenze e nei propri domicili: vittime del virus ma anche di un momento storico che ha chiesto loro, per proteggersi, di rinunciare a tutto ciò che avevano, relazioni, rapporti, attività, socialità.
Rivolgere lo sguardo a loro, ora che torniamo a guardare al domani e programmare il futuro, ritengo sia un passo doveroso, necessario, imprescindibile.
È innegabile, il Covid-19 è entrato nelle nostre vite senza chiedere il permesso e in maniera brutale.
Oggi come ne usciamo (se uscirne è il termine esatto)? Scossi, cambiati ma a mio modo di vedere anche più consapevoli.
Senza mezze misure abbiamo capito quali erano i limiti dei nostri servizi, quali le difficoltà delle residenze per anziani, quali le problematicità della cura domiciliare e le necessità dei caregiver.
Da questa consapevolezza che ora è un’evidenza per tutti e che ha colpito per la drammaticità delle situazioni, è scaturita la necessità di un una proposta che necessitava di essere ascoltata e non procrastinata.
Guardo con molta attenzione ai 3 miliardi destinati al potenziamento della domiciliarità: tante famiglie, nonostante si sia passati da un modello patriarcale a uno nucleare in cui tutti i componenti lavorano, continuano a scegliere la cura domiciliare per i propri cari.
Arrivano però spesso all’Associazione, stremati, affaticati, stanchi perché incapaci di conciliare la loro vita con quella assistenziale rivolta ai loro cari e soprattutto si sentono abbandonati e non adeguati, non c’è un sistema in rete coordinato che li possa sostenere.
È necessario un cambiamento radicale e radicato su tutto il territorio nazionale per quanto riguarda la domiciliarità.
Sociale e sanitario, come auspicato nel documento, dovranno davvero intraprendere un percorso di coniugalità.
Dovremo progettare degli interventi uno-molti. Cosa intendo? Una è la presa in carico: della persona e del contesto di vita nel suo particolare stato di bisogno e nel particolare momento di vita. Molti sono gli interventi alla persona destinati in un’ottica – come scritto – di multidisciplinarità.
L’obiettivo sarà quello di garantire alla persona un’alta qualità di vita a domicilio, garantendone il soddisfacimento dei bisogni.
Oggi il caregiver, da autodidatta, impara come gestire la persona non autosufficiente, a chi rivolgersi per l’assistenza, anche infermieristica, chi contattare per richiedere gli ausili, o per inoltrare la domanda per l’invalidità.
In un sistema in cui la domiciliarità è messa al centro ed è garantita e personalizzata, la situazione è presa in carico nella sua specificità e viene gestita nei bisogni che manifesta, in maniera snella ed efficace.
Questo aumenta la competenza e la compliance del caregiver nel percorso di cura e il suo benessere percepito, ne diminuisce lo stress e il senso di isolamento; inoltre, garantisce una presa in cura tempestiva e personalizzata alla persona non autosufficiente e un costante monitoraggio del suo piano di assistenza, riducendo i ricoveri e gli accessi impropri al pronto soccorso e ritardando o addirittura evitando l’istituzionalizzazione, spesso vista come ultima e dolorosa possibilità per i familiari.
Imperativo pertanto rafforzare i servizi territoriali, investire in modo capillare ed uniforme per tutto il Paese sulla formazione, ripensare il sistema dell’assistenza in modo che sia adeguato alle vere necessità degli anziani non autosufficienti, potenziare poi anche la medicina del territorio dando più spazio alla telemedicina.
Abbiamo parlato di domiciliarità ma guardiamo con speranza e interesse anche ciò che è stato auspicato per le residenze (RSA e Case di riposo per anziani).
Non possiamo infatti voltarci altrove rispetto a dati chiari: l’Italia è un paese che invecchia ed è necessario che il futuro – ma forse già si potrebbe parlare di presente – sia in grado di fornire risposte eterogenee a bisogni che si presenteranno necessariamente diversi.
Stiamo assistendo al fenomeno del co-housing che anticipa ciò che è presente nel PNRR: alcuni servizi hanno fallito ed è necessario individuare i loro punti deboli per ripartire.
Gli anziani, ma tutti noi, generazione che diventerà anziana, abbiamo bisogno di immaginare che vita ci aspetterà.
E oggi le scelte ricadono in progettualità in cui è garantita l’accessibilità e i servizi ma anche l’autonomia e l’intimità.
Luoghi ibridi. Garanti di personalizzazione, di vicinanza, di socialità.
Il modello standardizzato ha fallito.
Avremo bisogno di riconvertire strutture in nuclei specializzati, di ampliare l’offerta di servizi che funzionano ma anche ripensare complessivamente a realtà fallimentari che non sono più capaci di rispondere ai bisogni reali della popolazione anziana.
Sapere che oggi queste idee non sono solo condivisioni di un gruppo ristretto ma programmi, finanziamenti, investimenti mi riempie di gioia e speranza.
Un po’ come l’Araba Fenice, simbolo di quella capacità di far fronte alle avversità in modo positivo che è la resilienza, credo che questo sia il nostro segnale che dalle difficoltà possano emergere azioni proattive capace di generare cambiamenti significativi.
In ultimo ma non in ordine di importanza ritengo che avendo con questa proposta creato un precedente favorevole di piccola comunità che lavora per l’interesse primario della persona fragile occorre sostenere ed incrementare le progettualità della Città amica, che Alzheimer Uniti Italia ed altre Associazioni stanno portando avanti da tempo e che noi amiamo definire il Rinascimento del Sociale, per abbattere la solitudine e iniziare un percorso che riguarda tutti i cittadini, per avere un atteggiamento inclusivo e comprensivo verso la non autosufficienza e la fragilità.
Sono certa che insieme ci riusciremo.