10 Novembre 2021 | Domiciliarità

I Caffe’ Alzheimer della Lombardia Orientale: la risposta alla difficile esperienza della pandemia

Il lockdown ha determinato per i Caffè Alzheimer della Lombardia Orientale un drammatico quanto rapido cambiamento nel processo organizzativo a favore dei malati e dei loro familiari. L’adozione di strumenti di contatto familiare “a distanza” ha permesso di mantenere le relazioni con malati e familiari, facilitando il supporto psicologico. La riapertura in presenza, anche associata alle nuove modalità di sostegno a distanza, rappresenta un punto di ripartenza per dare nuova fiducia alle persone affette da demenza ed ai loro cari.


Il primo lockdown del marzo 2020 ha determinato, per i Caffè Alzheimer, un drammatico e rapido cambiamento nel processo delle cure rivolte ai malati. Gli operatori sanitari sono stati ”rapiti” dall’urgenza del virus, mentre le persone affette da demenza ed i loro familiari si sono improvvisamente trovati in una condizione di isolamento in casa. Ma a che punto erano arrivati i Caffè Alzheimer della Lombardia Orientale a Febbraio 2020? Erano un gruppo in attività e fermento: 21 Caffè Alzheimer in rete, con attività comuni, raccolta di dati e pubblicazioni scientifiche, la partecipazione ai Convegni, la preparazione all’Alzheimer Fest e del mese dell’Alzheimer (Boffelli et al., 2019). Poi, da marzo, sono sopraggiunte improvvisamente la sospensione fisica (interruzione dell’attività in presenza) e cognitiva (non più tempo per pensare, solo azione per la pandemia). La risposta è stata univoca: chiudersi in casa, evitare il contagio, cambiare stili di vita. Per i familiari, che abbiamo sempre sollecitato a riprendersi per quanto possibile la vita nel mondo esterno con i loro malati, è stato un cambiamento epocale. Una sorta di ritorno al medioevo della cura, chiusi in casa, con tanta apprensione e poche cose da fare. Per i malati, una limitazione non sempre compresa, l’assenza di incontri e di stimolazioni cui si erano ben abituati, il ritorno ad un infinito presente: sempre la stessa casa, sempre le stesse ore, sempre le stesse azioni.

 

Cambia la vita sociale: quindi cambiano i Caffè

Di fronte all’inevitabile è stato perciò necessario trovare nuove modalità di intervento dei Caffè Alzheimer, con l’adozione di strumenti di contatto familiare “a distanza”, rispetto a quelli abituali in “presenza”, non più possibili per motivi sanitari. I Caffè Alzheimer della Lombardia Orientale hanno creato, in un breve periodo, una serie di eventi formativi ed informativi alternativi a quelli abituali, utilizzando le modalità di comunicazione elettronica. L’obiettivo implicito era mantenere le attività, cognitive e funzionali, in corso nei Caffè. Ma lo scopo principale riguardava il sostegno psicologico a malati e familiari nella cura della malattia, più difficile nella fase di quarantena: bisognava pensare a come curare la famiglia, costretta in spazi ristretti oppure separata in case distanti e difficilmente raggiungibili: i figli a casa, i malati in un’altra, qualche volta con un’assistenza privata (Caratozzolo et al., 2020).

 

La prima alternativa alla presenza è stata il contatto telefonico. Costretti a casa, gli operatori dei singoli Caffè hanno iniziato a mantenere per telefono i contatti con i familiari, spaventati dalla pandemia e preoccupati per la salute propria e dei propri malati. I caregiver riferivano difficoltà soggettive legate al forzato isolamento, sia psicologiche che fisiche: l’improvvisa mancanza del supporto del Caffè, la sensazione di ritornare soli a combattere la malattia, la mancanza di energia fisica per affrontare il malato (ove in precedenza era attivo un servizio domiciliare assistenziale, questo era stato sospeso per la pandemia). E ancora, la comparsa o l’accentuazione di sintomi neuropsicologici della malattia, favorita dalla chiusura in casa: la mancanza delle uscite e del contatto con le persone ha spesso determinato sintomi importanti nei malati (depressione, ansia, irritabilità, agitazione ed insonnia), soprattutto in quelli che erano meno in grado di comprendere la ragione dell’isolamento (Brooks et al., 2020; Cagnin et al., 2020). Quindi, il Caffè Alzheimer è diventato prima di tutto un caffè di ascolto, a distanza. Ogni contatto telefonico è stato molto gradito, pur nella consapevolezza che non si potevano risolvere sempre i problemi. Ma ascolto e consigli sono serviti per mantenere la pazienza.

 

Quando e dove possibile, soprattutto per quei Caffè Alzheimer che avevano già iniziato a sperimentarlo prima del COVID, è stato potenziato il servizio alternativo di contatto con i familiari, una o più volte la settimana: gruppi di Whatsapp, chat quotidiana, newsletter settimanale. Altri gruppi hanno attivato una pagina di Facebook con news, contributi e discussione aperta. Per vedersi e “toccarsi” anche a distanza, dove la tecnologia lo ha permesso (in particolare, la possibilità dei familiari di avere un computer e la abilità di collegarsi in rete), sono stati attivati gruppi di ascolto in Skype e contatti collettivi o individuali su piattaforma (Meeting, Zoom, etc). E’ stata anche creata una mail con diffusione locale, per mantenere contatti anche solo scritti coi familiari (caffealzheimerlombardia@gmail.com). Per i gruppi familiari con difficoltà tecnologiche, alcuni Caffè hanno attivato incontri domiciliari o in presenza, quando è stato possibile e sempre nel rispetto delle regole.

 

Tabella 1- Le attività dei Caffè Alzheimer della Lombardia Orientale durante la pandemia, 2020-2021

 

L’attività durante la pandemia

I ventuno Caffè Alzheimer del Coordinamento hanno quindi sospeso l’attività in presenza nel 2020, ma ben 17 sono rimasti attivi durante la pandemia, con attività a distanza o individuali (Tabella 1). Sedici su diciassette Caffè hanno utilizzato modalità di contatto elettronico individuale per le famiglie. Inoltre, alcuni hanno attivato contatti di gruppo, che hanno avuto riscontri positivi dai familiari: chat via Whatsapp (5 su17), video in gruppo (4 su17). Nella seconda metà del 2020, 3 su17 Caffè Alzheimer hanno provato ad attivare gli incontri in presenza nella loro sede, altri 3 hanno iniziato interventi domiciliari, nel rispetto delle norme sanitarie. Dal report dei colleghi del Caffè Alzheimer, i gruppi familiari sono stati soddisfatti degli interventi anche se modificati in modo tecnologico: in questo modo si sono mantenuti i contatti ed il supporto familiare, riducendo i rischi. La paura del contagio del virus, anche legata alla sede del Caffè (spesso in RSA) sono, infatti, le motivazioni che hanno portato a una chiusura dei pochi incontri in presenza, ripartiti a ottobre 2020 e poi sospesi. Al contrario, l’intervento a distanza ha visto un’assidua costanza dei gruppi familiari negli incontri: sia per la facilità di contatto, che per la possibilità di incontrarsi più spesso rispetto all’era pre-COVID. D’altra parte, in alcune aree montane gli interventi domiciliari sono stati necessari per la scarsa abilità tecnologica o la mancanza di strumenti a disposizione dei familiari.

 

I dati riportati dagli operatori sul gradimento dei servizi da parte dei familiari sono riportati in Tabella 2: prevale ancora la paura, rispetto alla voglia di partecipare e rivedersi in presenza; una parte dei familiari, probabilmente quelli più giovani e tecnologici, ha gradito la presenza a distanza.

 

Tabella 2 – Riscontri positivi e negativi riferiti dai familiari durante la pandemia

 

Le motivazioni di fondo: rinnovare la Fiducia e ripartire

Come già successo nel primo dopoguerra (e la contemporanea pandemia della famigerata Spagnola), la parola vincente che tutti vorrebbero sentire è Fiducia. In uno studio effettuato su persone sopravvissute a quella pandemia, la fiducia (personale, sanitaria, sociale, economica) è stata la motivazione della ripresa e della sopravvivenza a quei tempi difficili (Aassve et al., 2020).

Quindi, le persone aspettano la riapertura, che sta iniziando a verificarsi in molte regioni soprattutto in sedi non sanitarie (aree concesse da Comuni e associazioni private) e soprattutto con i familiari. Purtroppo, sette su ventuno Caffè Alzheimer della Lombardia Orientale rischiano di non riaprire i battenti entro la fine del 2021 per la mancanza di fondi pubblici/privati e per difficoltà organizzative, tra le quali l’indisponibilità di una sede adeguata e la mancanza di volontari. Questi ultimi, in parte si sono assentati per la paura del contagio, mentre la maggior parte è ancora impegnata in attività di volontariato legate alla pandemia (centri vaccinali, ospedali, etc).

 

Dal sentimento che emerge sia dai familiari che dagli operatori dei caffè Alzheimer, più che di una ripartenza si tratta di una rifondazione delle attività e degli incontri. Le motivazioni sono diverse: i familiari ed i malati sono cambiati in questo periodo. Infatti, sono cambiati i loro problemi, le loro necessità, modificati dall’avanzare della malattia e dalla situazione generale: accesso ai servizi della rete delle cure, disponibilità economica, attenzione sociale alla malattia. Non sono cambiati solo loro: il gruppo di cura dei Caffè manifesta le difficoltà legate a questo periodo: dalla paura alla solitudine alla stanchezza, fisica e psicologica. Le attività, i programmi, le persone: tutto cambia. Adeguarsi richiede la concomitanza di speranza, fiducia, disponibilità economiche e sociali (Barnett et al., 2020).

 

Ripartire, per i Caffè Alzheimer, in questo momento significa creare ex novo. Certamente, fare tesoro di ogni esperienza del passato, ma iniziare da capo: prima di tutto ripensaregli aspetti organizzativi, dalla sede ai finanziamenti, poi, come nel 2013 quando fu fondato il nostro Coordinamento, reincontrare le Persone. Persone, perché tutti noi apparteniamo al Caffè Alzheimer: persone come medici, psicologi, educatori, personale assistenziale, volontari, e appunto persone affette da demenza, e ancora persone che li curano a casa.

 

Agire in presenza e/o a distanza può avere lo stesso risultato, se sono chiari l’ideologia, gli obiettivi, i programmi ed i percorsi. In questo, i Caffè Alzheimer devono ricordare il loro fondamento: occuparsi di Persone. I concetti di fondo, la presenza, la lotta all’isolamento sociale, il prendersi cura di tutta la famiglia, restano: si aiuta in presenza, ma lo si può fare a distanza. Lo si potrà fare anche in futuro, utilizzando in modo appropriato entrambe le modalità, adattandole alle singole situazioni familiari, sociali ed ambientali (difficoltà di spostamento, disabilità, etc), con la tailorizzazione degli interventi in base all’età, alle competenze elettroniche e di budget dei caregiver (dalla videochiamata alla semplice telefonata).

 

Una conclusione (aperta)

I Caffè Alzheimer: un sistema che non ha mai chiuso. Anche se impedito fisicamente, ogni Caffè ha mantenuto stretti contatti con i familiari, ma anche con i malati, grazie alla comunicazione a distanza. Il contatto e il supporto psicologico non sono mai mancati, per fortuna dei familiari che già frequentavano un Caffè.

 

La modalità di relazione a distanza è servita. I mezzi elettronici ora sono di grande aiuto. E’ molto probabile che in futuro i due sistemi – supporto di persona e a distanza – possano coesistere, integrandosi in modo efficace e time-effective.

 

La riapertura e le attività: il vantaggio dei Caffè risiede nella loro flessibilità e adattabilità. La possibilità di suddividere e differenziare gli incontri, oltre alla scelta delle diverse attività, è una modalità per contemperare le regole di salute alla cura. Necessariamente, i Caffè non devono essere abbandonati dai loro sostenitori (Enti, Fondazioni, Associazioni, Comuni), perché l’adattabilità richiede maggiori risorse. Ripartire è un dovere: ma bisogna cambiare, non si può riprendere il cammino come in precedenza: bisogna rinnovare spazi, programmi, e pensieri. Adattarsi ad una nuova era dei Caffè Alzheimer: più vicini, più attenti alle fragilità.

 

Bibliografia

Aassve A., Alfani G., Gandolfi F., Le Moglie M. (2020), Epidemics and Trust: The Case of the Spanish Flu, Working Paper n. 661, IGIER – Università Bocconi.

Barnett ML., Mehrotra A., Landon B. (2020), Covid-19 and the Upcoming Financial Crisis in Health Care, NEJM Catalyst, Vol. No. 1, April 29, DOI: 10.1056/CAT.20.0153.

Boffelli S., Avanzini S., Gottardi F., Berruti N., Rodella A., Trabuchi M. (2019), Il Coordinamento delle attività dei Caffè Alzheimer: l’esperienza della Lombardia Orientale, I luoghi della cura online, n. 4.

Brooks SK., Webster RK., Smith LE., Woodland L., Wessely S., Greenberg L., Rubin GJ. (2020), The psychological impact of quarantine and how to reduce it: rapid review of the evidence, Lancet, 395:912-20.

Cagnin A., Di Lorenzo L., Marra C., Bonanni L., Cupidi C., Laganà V. et al. (2020), Behavioral and Psychological Effects of Coronavirus Disease-19 Quarantine in Patients With Dementia, Front Psychiatry, Sep 9;11:578015.

Caratozzolo S., Zucchelli A., Turla M., Cotelli MS., Fascendini S., Zanni M., Bianchetti A., Psy MP., Rozzini R., Boffelli S., et al. (2020), The impact of COVID-19 on health status of home-dwelling elderly patients with dementia in East Lombardy, Italy: results from COVIDEM network, Aging Clin Exp Res 32, 2133–2140.

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