Ai primi di ottobre è stato pubblicato per Carocci Editore l’ultimo libro di Luisa Bartorelli1 sui nuovi modelli di cura per le persone con demenza.
Nella premessa l’autrice si definisce come una vecchia signora, che non vuole mai in nessun caso essere neutrale davanti alle situazioni di fragilità, di sofferenza, a volte di abbandono. Questo proposito è sottolineato da Marco Trabucchi nella sua bella prefazione, che ha dato onore e valore al testo, “anche perché giunge a sostenere le persone ammalate e i loro caregiver, ora che hanno vissuto la crisi del Covid in modo pesantissimo, nelle abitazioni, negli ospedali, nelle RSA, nei servizi territoriali”, proprio nei luoghi delle cure.
Il libro, che rispecchia un’esperienza professionale clinica e assistenziale, ma anche umana e solidale, si snoda in dodici capitoli e due appendici, quest’ultime dedicate ai caregiver formali, offrendo proposte formative e strumenti di valutazione del burden assistenziale. Infatti, pur essendo d’origine ospedaliera, Luisa Bartorelli ha sempre seguito il canone geriatrico di apertura al territorio, creando servizi innovativi e pratiche originali ed esercitando con il suo gruppo formazione a tutti i livelli.
Ogni capitolo viene anticipato o anche seguito da appropriate citazioni letterarie, secondo lo stile tipico dell’autrice, che ha condotto studi umanistici prima di dedicarsi alla medicina. Ciò rende più accattivante il testo e sprona verso una riflessione più personale.
La demenza: uno stato dell’essere
Gli argomenti trattati, oltre a contenere indicazioni, consigli e nuovi attuali spunti per migliorare la qualità delle cure, sono tutti pervasi da un concetto per l’autrice essenziale: l’uomo, pur “disapropriato” da tale condizione, rimane una persona: “si tratta quindi di considerare la demenza non come malattia, o tanto meno morbo come ancora talora si legge, ma piuttosto come uno stato dell’essere, dotato di energia nascosta che può dare ancora molti frutti.”
Nel libro vengono toccati argomenti molto sensibili, quali la comunicazione della diagnosi, il fine vita e alcuni altri che fanno risuonare le corde dell’etica, ma anche fattori che influenzano la vita quotidiana della persona e della sua famiglia: il mangiare, il vestirsi, il camminare, il dormire, sottolineando come una buona alimentazione, un adeguato movimento, un sonno ristoratore siano importanti per la qualità di vita. Sono anche considerati alcuni rischi, come guidare la macchina in fase avanzata di malattia o il rischio di perdersi, che la cronaca anche recentemente ha mostrato fatale.
Quindi l’autrice passa in rassegna i più originali interventi psicosociali, anzi eco-psicosociali, dando appunto forte importanza all’ambiente, ma sempre tenendo conto della storia e del carattere di ogni persona, della quale spesso nel testo viene riportata la voce. Come dice Fabio Cembrani nella sua altrettanto bella postfazione: “è la modulazione dei deficit mnesici, sensoriali, percettivi e psico-comportamentali ciò che rende unico ed in qualche modo irripetibile il ventaglio espressivo di queste situazioni della vita umana che pongono tutta una serie di questioni di etica.”
Sono analizzate poi le attività da proporre, in quali servizi e con quali modalità, affinchè possano considerarsi “buone pratiche”. Sono interventi che vanno a costituire la riattivazione della persona con demenza, secondo basi razionali che poggiano sulla plasticità e la ridondanza del cervello umano: terapie cognitive, occupazionali, di validazione. Un capitolo è dedicato alla memoria del bello, nel convincimento della grande stimolazione data dall’arte e dalla musica.
E per finire si delinea il processo della comunità amica della persona con demenza, già sperimentata anch’essa come luogo delle cure.
Un cambio di approccio ormai necessario
L’autrice inoltre tiene ad affermare che per perseguire un cambiamento di mentalità nell’approccio, come auspicato nel capitolo sulla friendly community, è necessario anche l’uso di un diverso linguaggio: non più paziente, demente, colpito, affetto da, ma sempre persona con Alzheimer o con altro tipo di demenza, per sottolinearne la centralità e il diritto di vivere all’interno della comunità senza discriminazioni, o tanto meno stigma. Parola chiave in questo senso diventa la formazione, parola che apre le porte ad un mondo nuovo di conoscenza ma anche di comprensione, di saper fare, ma anche di saper essere accanto.
Le sfide sono tante per colui che vuole diventare un saggio caregiver.
Note
- Luisa Bartorelli, per vent’anni primario ospedaliero di Geriatria, si è sempre distinta nel promuovere, progettare e sperimentare una rete di servizi nel territorio dedicata agli anziani, in particolare alle persone con demenza, impegnandosi inoltre nella formazione degli operatori. Attualmente è presidente regionale per il Lazio dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria e dell’Associazione Alzheimer Uniti Roma. Fa parte come esperto di commissioni nazionali e regionali.