14 Giugno 2022 | Strumenti e approcci

Care Learning open net: per una rete aperta votata al riconoscimento dell’apprendimento di cura attraverso microlearning -open badge- block chain

Acquisire nuove conoscenze, abilità e attitudini  nei diversi contesti rende ciascuno di noi meglio attrezzato per adattarsi ai cambiamenti sociali  e affrontare ogni nuova sfida. Anche nell’ambito della cura è importante riconoscere, valorizzare e mettere in connessione le competenze e le abilità acquisite, facendole divenire patrimonio comune anche grazie alla tecnologia e all’innovazione digitale.


La società dell’invecchiamento, con il suo carico di non autosufficienza e di correlate necessità di cura a lungo temine e di interventi in continuità assistenziale a domicilio su pluri-patologie, produce una “massa” consistente di lavoro di cura.

 

Oltre 7 milioni di familiari (di cui oltre 2 milioni che operano oltre 20 ore settimanali e 350.000 ragazzi) 1,5 milioni di assistenti familiari retribuite, 350.000 operatori socio sanitari qualificati, circa 2 milioni di volontari impegnati in funzioni di supporto e sostegno1. Oltre al personale socio sanitario dei servizi professionali.

 

Riconoscere e promuovere le competenze di cura

La lacerazione sociale dell’isolamento e dell’esclusione per chi assiste un anziano non autosufficiente viene tenuta insieme dal filo della cura che oggi sostiene il welfare reale delle comunità. L’ago che sutura e cuce insieme i diversi lembi è la competenza.

 

Lavorare sulle competenze di cura deve tener conto di vincoli spazio-temporali di accessibilità, di necessaria personalizzazione dei contenuti (stadio di vita e di cura), sostenibilità/replicabilità su grandi numeri, di efficacia nel trasferire, verificare e accertare l’acquisizione di ciò che serve a ricoprire le funzioni connesse al ruolo, nel rispetto di una continuità di cura e di standard assistenziali coerenti con obiettivi e procedure. Inoltre deve consentire di modellare la trasformazione e diversificazione delle funzioni di cura sui cambiamenti dettati dalla evoluzione della domanda, dall’impatto delle tecnologie e dalla crescente necessita di dare valore alla cura in termini di umanizzazione.

 

Si tratta di lavorare sulla consapevolezza del ruolo di cura e sui suoi impatti sociali, consapevolezza che deve misurarsi con elementi integrati e interconnessi propri dei grandi temi della società dell’invecchiamento e della necessaria trasformazione del welfare assistenziale per la non autosufficienza. Questo nuovo approccio dovrà a sua volta essere coerente ai modelli di riferimento europei che a loro volta sono in evoluzione.

 

La situazione attuale nel nostro Paese sul tema è preoccupante e frustrante, ma al tempo stesso segnala la centralità del tema:

  • Non è stato possibile, in una quindicina di anni, pervenire ad una intesa fra le Regioni per un profilo unico dell’assistente familiare;
  • L’Atlante nazionale delle professioni contiene un embrione di competenze assistenziali di base ma non pare esserci, in atto, un lavoro di convergenza nazionale sul tema;
  • Diverse Regioni e territori hanno operato per un “Registro” delle assistenti familiari che fosse da garanzia alle famiglie per una assunzione di persone “conosciute”, esperienze deboli senza un “aggancio” efficace del sistema con un riconoscimento delle competenze;
  • Diverse Leggi Regionali prevedono il riconoscimento delle competenze acquisite dal familiare che si prende cura ma, gli stessi familiari che mettono in atto questi percorsi sono a rischio di rimanere affogati nella burocrazia;
  • Nel frattempo continua, inesorabile, il trasferimento di procedure e tecnologie sanitarie al domicilio da parte del sistema sanitario senza che vi sia una seria azione concertata di riconoscimento di competenze che tuteli i caregiver, anche sotto il profilo legale.

 

Malgrado questi elementi di ritardo e di incoerenza il mercato del lavoro di cura dell’assistenza familiare (stimabile in 700.000 intermediazioni all’anno2) è il più importante mercato del lavoro italiano. Nonostante ciò si tratta di un mercato poco trasparente, attraversato da illegalità che richiede, da parte dei caregiver familiari, una fortissima “iniezione di fiducia” e la garanzia di competenze espresse e riconosciute. Le azioni (fra loro intrecciate) di informazione/sensibilizzazione, formazione “abilitante”, formazione continua, trasferimento e riconoscimento di competenze formali, informali e non formali, sono componenti fondamentali per il conseguimento di un welfare rispondente ai bisogni di chi si prende e di chi riceve cura e che deve fondare la sua sostenibilità sull’empowerment individuale e di comunità, nel contesto della sfida della società dell’invecchiamento.

 

Una realistica azione concreta di sviluppo e il riconoscimento delle competenze di chi opera nella cura non può prescindere da un vincolo di sostenibilità e, per essere tale, essa deve generare sistemi replicabili, a basso costo, accessibili e pensato in ottica di conciliazione. Nella società attuale solo un utilizzo massiccio di tecnologie digitali può generare percorsi di sviluppo e valorizzazione delle competenze di cura che siano condivisi e condivisibili e di accesso semplice e diffuso (sdoganate paradossalmente per necessità dal contesto pandemico). Il riconoscimento delle competenze sono un diritto inalienabile del cittadino europeo, un diritto trasferibile e capitalizzabile, e lo sono tanto più nel lavoro di cura dove le competenze sono il motore del welfare.

 

Learning Cities e microlearning

Il riconoscimento e l’attestazione delle più diverse esperienze di apprendimento (formali, informali e non formali) che producono competenze, sono la via per generare fiducia dei diversi attori coinvolti in questo insieme di interazioni e scambi. Al tempo stesso, queste azioni sono la molla per fare sprigionare nei soggetti impegnati nella cura la creatività, l’autostima e il senso di appartenenza.

 

Significative sono le esperienze delle Learning Cities, un network mondiale patrocinato dall’Unesco di cui oggi fanno parte 229 città in 64 paesi. La rete ha l’obiettivo di rivitalizzare l’apprendimento nelle famiglie e nelle comunità, facilitare tale processo nei luoghi di lavoro, estendere l’uso delle moderne tecnologie per l’acquisizione di competenze e coltivare una cultura dell’apprendimento per tutta la vita. I cittadini che acquisiscono nuove conoscenze, abilità e attitudini, sono meglio attrezzati per adattarsi ai cambiamenti sociali e ambientali. L’apprendimento permanente e l’idea della società conoscitiva, hanno un ruolo vitale da svolgere nella fase di transizione verso società veramente sostenibili. Cinque città italiane fanno parte del network: Torino, Fermo, Palermo, Lucca e Trieste.

 

Una esperienza interessante di Learning city è quella della città di Chicago il cui slogan è education reimagined che ha orchestrato 135.000 occasioni formative nella città in un contesto cooperativo e non competitivo avendo in rete con open badge più di 70.000 partecipanti.

 

Perché non immaginare una rete italiana-europea che promuova l’apprendimento nella cura e il suo riconoscimento? Ciò, ad esempio, potrebbe essere possibile valorizzando tutte le occasioni di apprendimento attraverso un sistema di attestazione delle competenze che consenta di costruire un curriculum di “risultati di apprendimento”(learning outcomes) riconosciuti alle persone attraverso il sistema degli open badge.

 

L’open badge è una fotografia digitale delle proprie competenze. Come una foto, esso contiene informazioni aggiuntive – i metadati – leggibili da tutte le applicazioni che leggono Open Badge. I metadati consentono di verificare che il badge è assegnato “proprio a te” e di accedere a tutti i contenuti descrittivi del Badge, ospitati sulla piattaforma che lo ha emesso, secondo un formato open source. Sugli open badge è in atto una prima sperimentazione pubblica da parte di Anpal (progetto Skillon). La garanzia del valore dell’attestazione potrebbe essere rafforzata dall’impiego (come avvenuto a Chicago) dal sistema di crittografia blockchain (una struttura dati condivisa e “immutabile”, un registro digitale le cui voci sono raggruppate in “blocchi”, concatenati in ordine cronologico, e la cui integrità è garantita dall’uso della crittografia).

 

Molto importante per la riconoscibilità dei metadati è l’investimento che l’Unione europea sta realizzando nella promozione e diffusione dei micro-learning, una predisposizione di contenuti suddivisi in unità di breve durata. Si può trattare di: podcast, simulazioni video, tutorial, diari esperienziali, messaggi, infografica, testi, video interviste, qualsiasi altra tipologia di contenuti – purché siano brevi, semplici, in grado di rappresentare concetti essenziali, a focus unico e indivisibili (scomponendoli, perderebbero di significato) e che producano un apprendimento verificabile. Il micro-learning si presta sicuramente alla attuale evoluzione dei risultati richiesti nell’apprendimento di cura.

 

Il futuro del riconoscimento delle competenze nella cura

E’ solo un sogno l’idea di promuovere, anche nel nostro paese e in Europa, un network di soggetti fornitori e utilizzatori dei servizi di cura che avvii una campagna di valorizzazione dei micro-learning già prodotti o da produrre? Esistono già esperienze internazionali di valorizzazione dei micro-learning attraverso sistemi aperti di scambio, atti ad ordinare il riconoscimento, l’attestazione e la valorizzazione nel mercato del lavoro di cura attraverso un sistema di open badge garantito dalla crittografia blockchain nel format dei micro-learning che dimostrano che ciò è possibile, con risultati significativi per i sistemi di cura e per le persone coinvolte.

 

Si tratta di un percorso tutto da esplorare, nell’obiettivo di costruire una rete credibile e rappresentativa dei diversi soggetti del mondo del lavoro di cura, sia della domanda e che dell’offerta, per valorizzare e disseminare tutte le nuove occasioni di apprendimento di cura, in formato micro-learning, capitalizzabili in un open badge certificato da blockchain.

 

Si tratta di percorsi innovativi che richiedono investimenti importanti e coraggiosi, attraverso ad esempio finanziamenti del settore sociale e comunitario per avviare nuove start-up, presentazione di progetti all’interno dei Programmi Europei e/o partecipazione ai progetti esistenti (in primo luogo dei Soggetti pubblici) che consentano di raggiungere un consolidamento delle progettualità e delle esperienze e quindi una propria sostenibilità3.

Note

  1. Elaborazione dell’autore della ricerca Istat “Attività gratuite a beneficio degli altri” anno 2014 nella quale sono indicati in 6,6 milioni i volontari complessivi nel nostro paese e nel 30,6% quelli impegnati in attività di assistenza sociale, sanitaria o protezione civile
  2. Stima elaborata dall’autore partendo dal tasso di turno over medio del 65% – HHA excChange. (Se sono presenti sul mercato del lavoro 1,5 milioni di assistenti familiari (fra regolari e non), ogni anno la metà è oggetto di mediazione)
  3. Attraverso, ad esempio, una micro quota delle transazioni per l’attestazione dell’apprendimento fra i soggetti partecipanti

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