La domiciliarità al centro
di Franco Prandi, Associazione Prima la Comunità
Il cammino di riflessione promosso dalla rete del “Patto per un Nuovo Welfare sulla Non Autosufficienza” è stato ricco di spunti di approfondimento, sia pure con evidenti differenze di sensibilità e opzioni legate alla storia dei partecipanti e agli interessi in campo, considerando l’eterogeneità e l’ampiezza della platea degli aderenti. Il confronto peraltro non si chiude all’interno del “Patto” ma trova altre due ipotesi di riforma:: se di una non si conoscono ancora i contenuti, con la proposta della “Commissione Turco” il punto cruciale di differenza sembra essere l’impianto che affida in gran parte al comparto sociale l’intera materia della non autosufficienza1.
Ciò che va sottolineato della proposta del “Patto” è la chiara necessità di un sistema nazionale-finanziato adeguatamente con la fiscalità generale- dove le risposte siano integrate attorno al tema della domiciliarità come condizione per superare la rigidità attuale dei setting di cura e favorire l’emersione del lavoro di cura delle Assistenti Familiari, che oggi è svolto nell’ombra e anche nell’irregolarità, riconoscendo e valorizzando il lavoro di cura informale svolto dai familiari , dai caregiver e, almeno in prospettiva, dalla comunità.
La vita della persona è nella “comunità”, nelle relazioni che la sostengono e la valorizzano: questo vale sempre2. Costruire un sistema che abbia cura della persona, della sua storia e dei suoi legami sociali è la base del sistema di welfare comunitario, dove gli strumenti che vengono messi in campo sono interrelati e governati da una visione comune3.
I limiti normativi, ma anche culturali, sociali, organizzativi ed economici non hanno permesso una visione unitaria tra sociale e sanitario (così confinato il sociale sarà comunque sempre perdente): se ne prende atto con realismo, ma è convinzione diffusa che questo confinamento, dualismo e frammentazione siano alla base di evidenti disuguaglianze nei sistemi di garanzia e che sono destinate a permanere. Perché sottende una visione e una cultura di tipo “prestazionistico” ( si pensi ai SAD e ADI) e la valutazione dei bisogni non parte dalla persona, ma dai servizi (per cui rimangono due).
Così l’unitarietà necessaria del percorso di cura (PAI/PdC) è affidata alla buona volontà dei professionisti; non si realizza una adeguata integrazione tra le risorse, tutte le risorse della comunità – sociali, sanitarie, di volontariato, formali e informali – che sono alla base di una idea di budget di salute che deriva da una scelta sociale basata sulla responsabilità che è contestualmente reciprocità, inclusione e dignità.
Riconoscimento e supporto al caregiver familiare
di Loredana Ligabue, Segretaria della Associazione CARER ETS e responsabile delle attività a sostegno del caregiver familiari di Anziani e non solo scs
I milioni di familiari che – nel nostro Paese- si prendono cura, per ragioni affettive, di un proprio caro che necessita di assistenza alle funzioni di vita quotidiana (caregiver familiare) sono prevalentemente invisibili ai servizi territoriali. Ciò, malgrado sia evidente che le attuali prestazioni fornite dai servizi socio-assistenziali e socio-sanitari, sono ben lungi dal coprire le esigenze di vita di una persona anziana non autosufficiente e richiedano la presenza di un caregiver familiare con un impegno assistenziale quotidiano di lungo periodo, con conseguenti crescenti difficoltà a coniugare la cura con il proprio progetto di studio o lavorativo nonché affettivo/relazionale (di coppia, familiare, amicale…).
Il mantenimento della persona non autosufficiente nel proprio contesto familiare e sociale è essenziale per il suo benessere e qualità di vita, ma occorre una consapevolezza sociale che ciò comporta un pesante impatto sul familiare che si assume compiti di cura. Un impatto che richiede la messa in campo di politiche di sostegno e conciliazione, contestualmente al rafforzamento di servizi per la domiciliarità (assistenza diretta alla persona, cura degli ambienti, inclusione sociale, monitoraggio, telemedicina) e di assistenza territoriale (vedi DM 71).
In sintesi, la cura a lungo termine necessaria per chi è in condizioni di perdita di autonomia richiede una riforma di sistema che riconosca:
- la necessità di dare legittima cittadinanza, riconoscimento e supporto al caregiver familiare
- la imprescindibile integrazione di servizi, ruoli, competenze di tipo sociale e di tipo sanitario
- l’esigenza di prossimità e continuità assistenziale dei servizi.
Queste le motivazioni e le aspettative della partecipazione al tavolo di lavoro per la costruzione di una proposta di riforma per le politiche e i servizi a favore degli anziani non autosufficienti. La proposta formula risposte coerenti con la sostenibilità di un sistema centrato sulla personalizzazione della cura, sulla valorizzazione del caregiving informale nel progetto di cura e sulla sua integrazione nel sistema formale dei servizi.
La declinazione della proposta si esplicita, per il caregiver, nel riconoscimento/identificazione dei suoi bisogni, nella attestazione del ruolo assistenziale ricoperto, nel diritto al sollievo programmato e di emergenza, nella disponibilità di funzioni di ascolto, confronto tra pari, informazione/orientamento e formazione alla cura, supporto psicologico, riconoscimento delle competenze acquisite, contributi figurativi e tutele previdenziali per il conseguimento pensionistico.
La domiciliarità e l’importanza delle assistenti familiari
di Andrea Zini, presidente Assindatcolf, Associazione Nazionale dei Datori di Lavoro Domestico
Costruire una nuova governance delle politiche per la non autosufficienza che sia in grado di fornire risposte adeguate, complementari ed integrate a chi ogni giorno deve fare i conti, anche economici, con questa condizione. È questa la motivazione che, come Associazione nazionale che rappresenta e tutela le famiglie datrici di lavoro domestico (in Italia circa 2,4 milioni), ci ha spinto ad aderire al ‘Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza’. Insieme ad altre 50 realtà abbiamo costruito un’articolata proposta che vorremmo rappresentasse un punto di riferimento per le Commissioni istituzionali che stanno lavorando alla riforma del welfare, ma anche una best practice a cui l’Europa possa guardare nell’ambito della definizione della EU Care Strategy.
La proposta verte intorno ad alcuni fondamentali obiettivi: superare la frammentazione delle misure e dei servizi, fornire risposte unitarie ma differenziate rispetto ai diversi bisogni, puntare su percorsi di assistenza semplici e resilienti, conseguire la tutela pubblica della non autosufficienza attraverso la definizione di un’ambiziosa riforma. Riteniamo si debba partire dal concetto di domiciliarità quale strumento base per la buona gestione della non autosufficienza. A tale proposito, oltre ai caregiver familiari, assume particolare rilevanza l’assistente familiare4che, riteniamo debba essere sempre più valorizzata e riconosciuta, anche dal punto di vista della formazione professionale.
Oltre alla creazione di un Sistema Nazionale Assistenza Anziani (SNA), siamo convinti che si debba arrivare ad istituire una Prestazione Universale per la Non Autosufficienza, un contributo economico che assorba ed integri l’attuale indennità di accompagnamento e, possibilmente, anche tutte le altre forme di sostegno. Uno strumento che sia basato sulle reali necessità del cittadino e della famiglia, con una maggiorazione in caso di regolare assunzione di personale domestico.
Riteniamo infine necessario prevedere una misura specifica anche per tutti coloro che si trovano nella condizione di non autosufficienza e che sostengono costi per personale domestico5: delle agevolazioni fiscali semplificate e potenziate rispetto al sistema attuale che potrebbero generare importanti ricadute anche sul fronte della lotta al lavoro irregolare, con l’emersione di centinaia di migliaia di posti di lavoro oggi in nero. Oggi, con le risorse che il PNRR ha liberato e con i principi del Family Act, che presto si tradurranno in decreti delegati, siamo convinti che si possano davvero fare concreti passi avanti per portare a compimento questo indispensabile processo di riforma che tanto ha a che fare con la vita delle persone.
Verso la riforma della non autosufficienza: priorità al domicilio
di Fulvio Lonati, Presidente Associazione APRIRE – Assistenza Primaria In Rete
Nel recente webinar “Non autosufficienza – quale riforma” si sono confrontati Livia Turco6., Vincenzo Paglia7e Cristiano Gori8. Con soddisfazione di tutti noi, si sono manifestate forti convergenze, specie su come e con quale visione puntare ad un unico sistema che integri sociale, sanitario e previdenziale: un positivo risultato dell’articolato percorso di partecipazione civico-professionale compiuto da numerose realtà, portatrici di differenti interessi e visioni, in particolare da quelle aderenti al Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza, tra le quali anche l’Associazione APRIRE, di cui sono portavoce.
Con questo breve commento vorrei contribuire allo sviluppo di tale percorso sottolineando come sia fondamentale il “dare priorità dell’assistenza domiciliare”, quale modalità principale, ordinaria e sistematica per sostenere efficacemente la permanenza al domicilio della persona con compromissione dell’autosufficienza. In tale direzione si ritiene che l’assistenza domiciliare sia:
- da rivolgere non solo alla persona con compromissione dell’autosufficienza ma anche al suo intero nucleo famigliare e al suo microcontesto di vita
- da garantire continuativamente senza interruzioni
- da esplicare attraverso una presa in cura coordinata del Distretto, avvalendosi della COT e, soprattutto, da attuare operativamente dalla Casa della Comunità, l’entità che meglio può attivare le risorse potenziali, formali e informali, della comunità in cui la persona-famiglia vive: sulla base di una valutazione multidimensionale dinamica, riaggiornata in occasione di ogni modificazione, possono così venire tempestivamente attivati i supporti domiciliari ottimali e possibili: del contesto familiare, in particolare sostenendo caregiver-assistenti familiari; del vicinato; dell’area sanitaria, attivando sistematicamente medicina e infermieristica di famiglia e, a seconda delle necessità, farmacia dei servizi, telemedicina, assistenza specialistica, riabilitativa, protesica; dell’area socio-sanitaria; dell’area sociale; del volontariato.
In tale visione, anche i servizi residenziali e semiresidenziali (come peraltro il termine “residenziale” significa), dovrebbero essere sviluppati come risposte di natura domiciliare, e non come “istituzioni totali”, prevedendo quindi precise attenzioni a che vivano una dimensione comunitaria, siano strettamente connessi con la comunità di provenienza delle persone che lì vivono e con la comunità nella quale sono site.
Note
- ma nonostante questo potrebbe trovare sinergie e livelli di integrazione con l’elaborato del Patto, utili al varo di una riforma più funzionale e organica.
- Il principio della domiciliarità si concretizza attraverso le diverse forme di sostegno alla persona definite in relazione al livello di fragilità che esso esprime.
- In questo la Casa della Comunità, con una visione condivisa ed una governance unitaria, è risorsa e strumento indispensabile: il tema salute/benessere non ha infatti etichette istituzionali se non quella comunitaria basata sulla responsabilità e la dignità di ogni persona senza altre etichette se non quelle della relazione.
- la cosiddetta ‘badante’. Una figura ben definita nel Ccnl di riferimento ma anche nella proposta del Network
- non solo per le badanti
- Presidente della Commissione istituita dal Ministero del Welfare
- Presidente del Comitato di coordinamento interministeriale istituito dalla Presidenza del Consiglio
- Coordinatore del Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza