20 Settembre 2022 | Programmazione e governance

Una ricalibratura dell’assistenza territoriale del Servizio Sanitario Nazionale a partire dalla centralità della persona: intervista a Guido Giarelli

In risposta alle notevoli criticità e debolezze strutturali del nostro Servizio Sanitario Nazionale nasce il Manifesto per una salute di prossimità, risultato di un percorso metodologico collettivo che ha il fine di ripensare il sistema delle cure primarie e dei servizi territoriali secondo una prospettiva che pone il soggetto bisognoso di cure, inteso come persona attiva dotata di risorse, come punto di partenza e di sviluppo del welfare sociosanitario nella sua interezza.

Una ricalibratura dell’assistenza territoriale del Servizio Sanitario Nazionale a partire dalla centralità della persona: intervista a Guido Giarelli

In cosa consiste il Gruppo Welfare Responsabile Salute e cosa ha portato alla nascita del Manifesto per una salute di prossimità?

La rete Welfare Responsabile Salute ha la finalità principale di proporre una visione del sistema sociale nella sua interezza che punti ad una responsabilizzazione dei soggetti, in primis del soggetto persona e in secondo luogo delle comunità locali. Nell’ambito di questa rete si è costituito un gruppo di lavoro che si è posto come finalità l’applicazione di suddetta filosofia al contesto sociosanitario, avviando un percorso metodologico che ha condotto all’elaborazione del Manifesto.

 

Il percorso metodologico che abbiamo seguito è stato quello del Delphi1quale consensus method. Sono stati coinvolti dieci esperti nazionali selezionati (presidenti di associazioni professionali, docenti universitari, rappresentanti di agenzie pubbliche e di organismi del Terzo settore), ai quali è stata sottoposta una scheda su una prima bozza del modello proposto ed una serie di domande aperte richiedendo di rispondere in due round successivi, prima in cieco e poi alla luce delle risposte altrui. Di questo percorso si è occupato un gruppo di ricercatori che ha messo a punto le domande, la selezione degli esperti e una prima bozza del modello del Manifesto. Questo è stato un contenuto prezioso, grazie a loro abbiamo arricchito, modificato, integrato… e siamo giunti alla creazione del Manifesto finale.

 

Il Manifesto nasce per contrastare le criticità e le debolezze strutturali del SSN, esacerbate ulteriormente dal COVID-19. In particolare, perché e come si oppone ad una visione ospedalocentrica della salute?

Negli ultimi quarant’anni nella nostra società si è affermato un paradigma di tipo neoliberista che ha subito quella che definirei “fascinazione tecnologica strutturale”, un’idea di salute tecnocratica. Seguendo tale prospettiva, la sanità viene ridotta principalmente a tecnologia, valorizzando quindi le cure ospedaliere tecnologizzate e affermando un’idea di sanità come intervento tecnologico sulla persona. Se vogliamo uscire da questa logica dobbiamo ripensare profondamente la nostra idea di salute e medicina, abbandonando il paradigma neoliberista sul piano politico e organizzativo ed avvicinandoci ad un’idea di salute di tipo multidimensionale, ovviamente inclusiva anche della dimensione biologica, ma anche della dimensione psicologica, sociale, relazionale, economica ed ecologica (come sappiamo, la problematica ambientale ha avuto un ruolo non secondario anche nella diffusione della pandemia).

 

Suddetto ripensamento multidimensionale conduce a sua volta ad un cambiamento della logica di intervento che non deve basarsi meramente sulla fiducia nella tecnologia, ma porre il focus sulle risorse umane. Infatti, la cura si fonda sulla relazione con la persona e, coloro che si prendono carico di questo percorso di cura entrano in una relazione reale con il soggetto, non considerandolo semplicemente passivo e ricettivo di cure ma attivo; una concezione bottom-up che muovendosi esattamente in direzione opposta a quella tecnocratica top-down, parte dalle persone e dalle loro risorse. È nodale porre l’attenzione sulla relazione di cura che è un tipo di relazione fondamentale, di tipo secondario sociologicamente parlando. La relazione di cura ha visto negli anni un assottigliamento dei suoi valori e della sua importanza, a causa dell’illusione secondo cui la salute è monodimensionale, raggiungibile grazie allo sviluppo della tecnologia medica. Le competenze relazionali negli ultimi anni hanno riacquistato valore sebbene, da un punto di vista di scelte di policy, la ricerca dell’efficienza abbia portato ad un allontanamento dall’idea relazionale di salute a favore di una quantificazione dei risultati sanitari. Serve perciò un cambio di paradigma senza il quale anche le migliori intenzioni si ridurrebbero a una razionalizzazione delle risorse disponibili.

 

Quali sono le principali novità introdotte dal Manifesto?

Le due novità fondamentali del Manifesto sono la centralità della persona intesa come soggetto non meramente bisognoso di cure, passivo ricettore di servizi, ma portatore di una propria progettualità, risorse e competenze e l’idea delle reti di prossimità come riferimento fondamentale per l’intervento di cura. All’interno del PNRR manca un modello di riorganizzazione del sistema di cure primarie e servizi territoriali a partire dalla centralità della persona; i due elementi sono strettamente intrecciati e producono una ricalibratura del servizio sanitario a livello territoriale. Una ricalibratura che dovrebbe avere due facce: normativa e quindi il superamento di una logica autoreferenziale a favore di una logica eteroreferenziata ed una ricalibratura di tipo politico-istituzionale.

 

Per realizzare un simile obiettivo è fondamentale includere la relazione tra i servizi convenzionali che chiamiamo reti formali in quanto istituzionalizzati – sia di natura pubblica che di natura privata – e, dall’altro lato, le reti informali che sono anzitutto il soggetto stesso, in secondo luogo la famiglia, gli assistenti familiari (badanti), tutto ciò che rientra nel family care e poi l’associazionismo di cittadinanza ovvero i gruppi di self-help, di volontariato, la presenza di associazioni di advocacy, le fondazioni… che intervengono a pieno titolo e che necessitano quindi di essere coordinate. Bisognerebbe perciò giungere a quella che si definisce una network governance, cioè una rete integrata governata dal pubblico, dal distretto, che dovrebbe essere un distretto sociosanitario e non puramente sanitario, quindi con i servizi sociali ben inseriti nel proprio ambito e non esternalizzati al privato come accade spesso. In questo modo, il distretto diventerebbe davvero un distretto di salute di comunità che si fa carico di bisogni di salute di tutta la collettività coordinando le risposte appropriate sia delle reti formali che di quelle informali della società civile.

 

Riprendendo il concetto di network governance, nel concreto come si crea una relazione effettiva tra le reti formali e le reti informali?

Il modello proposto si basa su una visione reticolare progressiva che include quattro livelli di reti formali e informali interconnessi e per ogni livello vengono individuati gli attori coinvolti e i relativi servizi e strumenti. Il primo livello del modello è stato individuato nelle reti domiciliari; coerentemente con la visione di casa come luogo privilegiato di cura capace di promuovere la proattività delle persone in una logica di self-care. In secondo luogo, all’interno delle reti domiciliari si includono la famiglia e gli assistenti familiari. Accanto e a supporto-integrazione si situano altri attori delle reti formali attivate dal Distretto e/o dalla Casa della Comunità e dal Comune di residenza. Gli interventi dovrebbero basarsi su una logica integrata di team multiprofessionali di home care per una presa in carico globale della persona. Due figure chiave vengono individuate nel medico di medicina generale e nell’infermiere di famiglia e di comunità.

 

Il secondo livello di rete di prossimità è costituito dalle reti territoriali. È il livello delle cure primarie, che agisce in stretta interconnessione con le reti domiciliari intervenendo, oltre che a domicilio, anche nella Casa della Comunità. Quest’ultima costituisce infatti lo strumento di coordinamento di tutti i servizi territoriali pubblici e privati e rende concreta l’assistenza di prossimità̀ per la popolazione di riferimento grazie al Punto Unico di Accesso (PUA) alle prestazioni sanitarie, sociosanitarie e sociali. Nella Casa di Comunità opera un team multiprofessionale formato dal medico di medicina generale, pediatri di libera scelta, infermieri di famiglia e di comunità, medici specialisti ambulatoriali, altri eventuali professionisti sanitari (fisioterapisti, logopedisti, psicologi, ostetriche, ecc.) e assistenti sociali. Nella stessa logica appare fondamentale la presenza di servizi sociosanitari quali i Centri di Salute Mentale (CSM), il Servizio per le Dipendenze (SERD), i Servizi di Neuropsichiatria e Neuropsicologia per l’età evolutiva e il Consultorio familiare. Infine, un ruolo integrativo fondamentale può essere svolto dalle farmacie di comunità o multiservizi grazie alla loro prossimità al cittadino. Ancora, una funzione chiave di coordinamento e di interfaccia dei diversi servizi territoriali con quelli domiciliari da una parte e con gli ospedali e la rete di emergenza-urgenza dall’altra dovrebbe essere svolta dalle Centrali Operative Territoriali (COT) distrettuali, previste nel PNRR, al fine di coordinare e dare continuità all’attivazione ed uso dei servizi, di garantire continuità ed appropriatezza, migliori esiti di salute e, infine, anche di ridurre il rischio di accessi impropri al Pronto Soccorso e ricoveri inappropriati. Infine, La Casa della Comunità, per essere davvero tale dovrebbe integrarsi con le reti informali rappresentate dalle diverse forme di associazionismo di cittadinanza, che dovrebbero anche poter partecipare alla loro gestione.

 

Le reti semi-residenziali rappresentano il terzo livello delle reti di prossimità, e hanno la funzione fondamentale di favorire il mantenimento o il recupero delle capacità psicofisiche residue in particolare dei soggetti fragili e non o parzialmente autosufficienti, al fine di consentirne la permanenza al domicilio in alternativa all’istituzionalizzazione, supportando al contempo il loro nucleo familiare (specialmente nel caso di demenza senile). Le reti semi-residenziali (Centri diurni, Centri sociali, attività ricreative, ecc.) svolgono attività diurna. Allo scopo di garantire ciò, è necessario che si realizzi una piena integrazione sociosanitaria e pubblico-privato tra le reti formali gestite dal Distretto e dai Comuni e dalle reti informali rappresentate dall’associazionismo di cittadinanza, dalle imprese sociali e dalle organizzazioni non profit.

 

Infine, il quarto livello è rappresentato dalle reti residenziali, costituito dalle cure intermedie in grado di offrire forme di residenzialità temporanea laddove l’impossibilità della permanenza del soggetto fragile e non autosufficiente al proprio domicilio richiedesse livelli di intensità assistenziale più elevati. Nella prospettiva di prossimità, come previsto dal PNRR, il nuovo presidio è costituito dall’Ospedale di comunità, a gestione prevalentemente infermieristica, che opera quale snodo tra territorio e ospedale per acuti e di riabilitazione intensiva per condizioni di post-acuzie ed esigenze di riabilitazione estensiva. Nei casi in cui il rientro risulti impraticabile i due presidi differenziati alternativi al domicilio sono le Case protette e le Residenze Sanitarie Assistite, le quali dovrebbero trasformarsi in centri multiservizi integrati e aperti al territorio. Nella gestione dei servizi riportati nei quattro livelli possono intervenire sia attori delle reti formali che delle reti informali; risulta pertanto indispensabile una piena integrazione sociosanitaria e pubblico privata attraverso processi di network governance. In particolare, è fondamentale rivalutare la dignità delle reti informali che spesso vengono svalorizzate e non portano profitto nemmeno da un punto di vista simbolico e politico.

 

Quali dovrebbero essere le scelte istituzionali, gli investimenti economici affinché si possa agire in questa direzione? Quali sono i principali ostacoli?

Parliamo di una strategia d’azione centrata sulle risorse umane. Il PNRR ha dei meriti ma anche un grande limite che è una sostanziale mancanza di focalizzazione sul ruolo fondamentale che le risorse umane dovrebbero svolgere nel ripensare le cure primarie e l’assistenza più generale. Teniamo presente che la situazione attuale della sanità è costituita da operatori rimasti su un’isola deserta; il taglio di personale ha portato i dipendenti a turni micidiali, massacranti e ad essere demotivati… è perciò importante tornare a incentivare fortemente il personale sanitario e questo è possibile attraverso la formazione. Una formazione calata nel contesto, una formazione-azione e una formazione intervento, due forme non esattamente sovrapponibili, molto vicine, finalizzate a un contesto organizzativo e professionale e a una ricaduta completa nei contesti organizzativi e professionali. Si tratta di una formazione non puramente teorica ma capace di produrre dei risultati in termini di ri-motivazione dei soggetti che, sviluppando le competenze cognitive ma anche emotive, relazionali e pratiche, siano in grado di riversarle nel proprio contesto e nel proprio stile di lavoro. Allo stesso modo, potrebbe essere proficuo inserire in questi corsi almeno una componente di rappresentanza delle associazioni della società civile che vadano a collaborare assieme ai professionisti, entrando in una logica di cooperazione sia con le associazioni pubbliche che private, all’interno di cornici di network.

 

Siamo in una logica multidisciplinare che non è ancora l’interdisciplinarietà e l’interprofessionalità, poiché ognuno svolge il suo compito senza essere a conoscenza di ciò che viene svolto dagli altri professionisti. Questo è un esempio dell’assistenza domiciliare integrata – in realtà disintegrata – nella maggior parte dei casi. Risulta necessario passare dalla multi all’interdisciplinarietà, quindi da un contesto in cui si opera per settori ad uno in cui ognuno svolge il proprio compito collocandolo in un quadro d’insieme armonico così da avere un percorso molto più integrato e quindi efficace.

 

Ogni cambiamento organizzativo se non vuole ridursi a mera organizzazione formale, deve avere un’anima e quest’anima gliela fornisce la formazione che agisce sul livello motivazionale. Altrimenti il rischio è di limitarsi ad impostare dei progetti top-down di cui gli operatori non comprendono la logica e che portano avanti per inerzia. Bisogna pertanto sperimentare dei modelli di intervento integrati, e dopo una valutazione, spostarsi sul modello concreto operativo. Se la formazione rimane teorica e non si concretizza, il rischio è quello di mantenere inalterato lo status quo organizzativo, senza imprimere le direzioni virtuose di cui abbiamo discusso. Dunque, è necessario colmare questo iato ancora troppo presente e per muoversi in tale direzione è altresì centrale partire dal contesto spaziale, direttamente dal contesto di intervento.

Note

  1. La tecnica Delphi è un approccio consolidato per rispondere a una domanda di ricerca attraverso l’identificazione di una visione consensuale tra gli esperti in materia.Consente la riflessione tra i partecipanti, che sono in grado di sfumare e riconsiderare la propria opinione sulla base delle opinioni anonime degli altri.

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