Stato dell’arte
Lo sviluppo dell’individuo umano si fonda su di un’adeguata motricità, base per l’esplorazione, la conoscenza e la socialità. Nel bambino questo legame sequenziale è ben conosciuto e relativamente uniforme, tanto che tutti noi abbiamo consultato manuali pediatrici per confortarci, come genitori o nonni, sul corretto progredire delle varie fasi dello sviluppo psicomotorio del “nostro” bimbo. Sappiamo che una delle più rilevanti, se non la principale, caratteristica dell’invecchiamento è quella di determinare una differenziazione sempre più marcata fra gli individui; nell’anziano, quindi, pur persistendo un rilevante rapporto fra attività motoria e funzioni cognitive, esso assume differenti profili che, basati sulla struttura genetica e di personalità, sono condizionati dalla sommatoria delle esperienze esistenziali e dal livello e qualità della comorbilità.
Questa complessità e variegatura dei rapporti è stata di stimolo alla ricerca solo negli ultimi decenni, e se si tiene conto del progressivo aumento dei limiti d’età, si può dire che non sia ancora stata definitivamente esplorata. Esistono, tuttavia, delle prese di posizione ufficiali circa la necessità di considerare l’attività fisica come uno dei principali indicatori di salute (Piano Sanitario Nazionale USA Healthy People 2010, www.healthypeople.gov). In particolare, nella popolazione ultra65enne, che in Italia è almeno il 20%, si può porre l’obiettivo di avere un aumento medio almeno del 10% dei soggetti che svolgono attività fisico-sportiva nel tempo libero.
Ma cos’è questa “attività motoria” di cui si parla? Può essere classificata come segue:
- a) attività motoria è da considerare qualsiasi movimento prodotto per azione muscolare che comporti un aumento del dispendio energetico;
- b) esercizio fisico è una sequenza motoria ripetitiva e finalizzata;
- c) forma fisica (fitness) è la capacità/abilità acquisita di svolgere/sostenere un’attività fisica ad un livello da moderato a vigoroso senza affaticamento.
L’interesse a promuovere l’attività motoria nasce anche dal fatto che è ormai ben accertato come lo stile di vita sedentario che caratterizza la popolazione, non solo anziana, dei paesi ad “elevato sviluppo economico” stia alla base dell’esponenziale aumento di patologie cronico-degenerative non solo muscolo-scheletriche, ma cardiovascolari, metaboliche e cerebrali. All’opposto, è dimostrato che esiste una stretta relazione fra attività fisica regolare e miglioramento dello stato di salute (WHO 2004, Global Strategy on diet and physical activity and Health. www.who.int/dietphysicalactivity).
Si considerano tre indicatori per valutare gli effetti dell’attività motoria:
- a) misure di abilità funzionale per il mantenimento della mobilità, incluso il rischio di cadute,
- b) misure di funzioni cognitive,
- c) misure di benessere psicologico.
È importante sottolineare come i benefici siano stati riscontrati anche in soggetti in condizioni di salute e funzionali basali molto compromesse. L’invecchiamento della popolazione di per sé è solo uno spettro di insostenibilità del sistema socio-assistenziale (Breur, 2005); comportamenti salutari adeguati possono essere appresi ed applicati per diverse classi di età e di comorbilità con positive ricadute non solo sul benessere dell’individuo, ma anche sui costi. È intuitivo come l’attività motoria possa comportare anche alcuni rischi, in particolare a carico dell’apparato cardiovascolare e muscolo-scheletrico; per questo, specie per le sue componenti b) e c) della tripartizione sopra presentata, è necessaria una valutazione preventiva e l’adattamento del programma all’individuo e alle finalità del programma di attività, secondo i requisiti di efficacia/tollerabilità definiti dalle linee guida dell’American College of Sports Medicine/American Heart Association (www.acsm.org).
In linea generale, si può sostenere che un’adeguata attività motoria abbia scopi di prevenzione primaria e secondaria nei soggetti “sani” e con fattori di rischio per malattie cardiovascolari, metaboliche e cerebrali. Per raggiungere questi obiettivi un’attività aerobica (PSN-USA Healthy People 2010) deve essere effettuata per 2 ore e mezzo la settimana, in alternativa, 75 minuti di attività più intensa o la combinazione delle due. L’attività è da distribuire nell’arco della settimana per ridurre il rischio di danni muscolo-scheletrici o l’affaticamento. Altri programmi di maggior intensità sino alla “fitness” sono da attuare sotto una guida e sono da accompagnare ad attività di riscaldamento e di allungamento muscolare. Il miglioramento delle prestazioni fisiche ha un effetto protettivo rispetto al declino cognitivo nel corso del “normale invecchiamento” (Moonen et al., 2008). Da sottolineare come l’effetto positivo, pur se diffuso, non sia generico, ma prevalentemente orientato verso funzioni esecutive e di velocità di processamento dell’informazione. Il dato è rilevante perché tocca un problema che si estende ad altre procedure di riattivazione, la persistenza e la trasferibilità del “guadagno o apprendimento”, per esempio, da un dominio cognitivo all’altro.
È stato di recente dimostrato come il processo di mantenimento e di “trasfer” sia attivabile durante un ampio arco di anni quando siano ancora “plastiche” le funzioni esecutive (Nyberg et al., 2008). Per i soggetti con condizioni o malattie che costituiscono fattori di aumentato rischio di danno cerebrale o già affetti da malattie cerebrali (su base vascolare o degenerativa), l’attività motoria calibrata sulle loro condizioni cliniche ha funzioni terapeutiche e di prevenzione (Larson, 2008; Rolland et al., 2008). È importante richiamare l’attenzione su un elemento che accomuna la maggioranza dei risultati degli studi pubblicati: il miglioramento fisico e cognitivo è associato ad un miglioramento del tono dell’umore; è necessaria, quindi, una breve digressione anche sul rapporto fra attività fisica e depressione. Depressione e disturbi cognitivi, specialmente coinvolgenti le funzioni dei lobi frontali, sono associati non solo nella fase florida della malattia, ma anche dopo la remissione del quadro depressivo (Lee et al., 2007); specularmente, si possono trovare sintomi depressivi in quadri iniziali di deficit cognitivo (Hudon et al., 2008). Le linee guida NICE-2004 (www.nice.org.uk/guidance) sul trattamento della depressione sostengono che l’attività fisica avrebbe un’efficacia antidepressiva, comprensiva dei sintomi cognitivi, paragonabile a quella della Terapia Cognitivo Comportamentale nel ridurre la sintomatologia lieve/moderata a breve termine.
Una più recente review ha sostanzialmente confermato il dato (Sjosten e Kivela, 2006). Per chiudere l’arco degli interventi esaminati, cioè dalla parte della stimolazione cognitivo/ambientale, una recente revisione (Fratiglioni et al., 2004) ha evidenziato come, anche nei soggetti sino alla settima decade, il livello di attività intellettive e socializzanti, pur se non specifiche, costituisce una forma di prevenzione per lo sviluppo di demenza. Per le persone già affette da una qualche forma di deficit cognitivo sono stati numerosi gli approcci e la loro efficacia è stata per lungo tempo difficile da dimostrare per una serie di limitazioni metodologiche; tuttavia si sta ormai delineando un quadro di più preciso riferimento (Zanetti et al., 2005) sia in relazione al livello di gravità della malattia che al profilo cognitivo-comportamentale che si vuole porre al centro della cura. Questi orientamenti derivano sia dalla traslazione di solide esperienze estere (Pradelli et al., 2008) che dal riesame di esperienze condotte in Italia (Regione ER 2005: Le attività di stimolazione cognitiva al paziente con demenza in Emilia-Romagna – www.emiliaromagnasociale.it).
Prospettive e realtà
Sono già state citate le autorevoli istituzioni che hanno tracciato le linee guida per la pratica di diverse forme di attività fisica nell’anziano e, in diverse condizioni, tutte concordano sul principio che un’adeguata attività motoria sia indispensabile per mantenere o migliorare lo stato di salute, globalmente inteso. Questo elemento introduce (o reintroduce) l’idea portante che non è un tecnicismo medicalizzante la via da percorrere, ma un ampliamento dell’orizzonte agli stili di vita, al ruolo sociale e all’ambiente. Come queste indicazioni stanno trovando pratica attuazione?
Formazione
Professionisti in grado di identificare ed applicare correttamente un programma o di attività motoria o di esercizio fisico sono formati presso le Facoltà di Scienze Motorie. Stanno sorgendo i primi corsi di perfezionamento di “Educatore sportivo per l’attività fisica della terza età” (www.lumsa.it). La Comunità Europea finanzia i Thematic Network Projects (TNP) che hanno permesso l’avvio di una ricognizione ed integrazione delle attività di varie istituzioni che si occupano di “attività fisica adattata”. In questo contesto si è di recente formato il Network THENAPA-II: Ageing and Disability con lo scopo di identificare linee di intervento per la formazione e la ricerca applicata sull’attività fisica programmata per l’anziano. Professionisti in grado di offrire percorsi di “stimolazione” cognitiva sono formati presso i corsi di laurea con diversa denominazione quali, ad esempio, “Tecnico della riabilitazione psichiatrica”, “Scienze delle Professioni Sanitarie della Riabilitazione”. Altri percorsi formativi sono attuati sotto l’egida di società scientifiche o istituzioni non universitarie (www.geriatriaonline.it e www.emiliaromagnasociale.it).
Attività
Le attività di seguito elencate costituiscono solo un’esemplificazione delle possibilità di implementazione dei principi e delle direttive sopra-riportati. Le istituzioni che si sono fatte paladine nella promozione di queste attività non sono solo l’Università, il Comune, l’ASL, ma anche il privato e tutte quelle entità associative che rientrano nel “terzo settore”. Un ulteriore elemento è da sottolineare: le attività proposte, specie quando abbiano carattere di prevenzione primaria o secondaria, sono svolte con il concorso finanziario dei partecipanti. Questa disponibilità a pagare di tasca propria (willingness to pay) è una robusta testimonianza di come i principi auspicati dalle istituzioni siano già stati accettati e fatti propri dalle persone. Si sta pian piano diffondendo la pratica dell’attività “fisica adattata”, sotto termini generali come Attività Motoria per l’Anziano (www.italia.gov.it; www.uisp.it) che ha visto l’avvio a Empoli (www.usl11.toscana.it) grazie al suo più convinto promotore, il Dr. Francesco Benvenuti, ma non solo: il binomio “mente-corpo” sta assumendo caratteristiche operative attraverso corsi (www.pps.modena.it; www.reticittàsane.it) che combinano la stimolazione cognitiva all’attività motoria, ricetta che, dalla Letteratura (Allmer, 2005), sembra offrire le migliori prospettive.
Bibliografia
Allmer H. Physical activity and cognitive functioning in aging. J Public Health 2005; 13: 185-8.
Breur C. Cohort effects in physical inactivity. J. Public Health 2005; 13: 18995.
Fratiglioni L, Paillard-Borg S, Winblad B. An active and socially integrated lifestyle in late life might protect against dementia. Lancet Neurology 2004; 3: 343-53.
Hudon C, Belleville S, Gauthier S. The association between depressive and cognitive symptoms in amnesic cognitive impairment. International Psychogeriatrics 2008; 20: 710-23.
Larson EB. Physical activity for older adults at risk for Alzheimer Disease. JAMA 2008; 300: 1077-9.
Lee JS, Potter GG, Wagner R, Welsh-Bohmer KA, Steffens DC. Persistent mild cognitive impairment in geriatric depression. International Psychogeriatrics 2007; 19: 125-35.
Moonen HMR, vanBoxtel MPJ, deGroote RHM, Jolles J. Improvement in physical functioning protects against cognitive decline: a 6 years follow-up in the Maastricht Aging Study. Mental Health and Physical Activity 2008; 1: 62-8.
Nyberg DE, Backman L, Neely AS. Plasticity of executive functioning in young and older adults: immediate training, transfer, and long-term maintenance. Psychol. Aging 2008; 23: 720-30.
Pradelli S, Faggian S, Pavan G. Protocolli di intervento per le demenze, Franco Angeli 2008.
Rolland Y, van Kan GA, Vellas B. Physical activity and Alzheimer’s Disease: from prevention to therapeutic perspectives. J Am Med Dir Assoc 2008; 9: 390-405.
Sjosten N, Kivela SL. The effects of physical exercise on depressive symptoms among the aged: a systematic review. Int J Geriatr Psychiatry 2006; 21: 410-8.
Zanetti O, Cotelli M, Lussignoli G. Gli interventi riabilitativi nei pazienti con deficit cognitivi. In: Trabucchi M. Le demenze (4 ed.) UTET 2005: 609.
Sitografia
www.acsm.org
www.Emagister.it
www.emiliaromagnasociale.it
www.geriatriaonline.it
www.healthypeople.gov
www.italia.gov.it
www.kuleuven.ac.be/thenapa/pdfs/adapt1
www.lumsa.it
www.nice.org.uk/guidance
www.pps.modena.it
www.reticittàsane.it
www.thenapa2.org
www.uisp.it
www.unimore.it
www.univr.it
www.usl11.toscana.it
www.who.int/dietphysicalactivity