La scelta di ricorrere alle residenze sanitarie assistenziali o ad assistenti domiciliari rappresenta un forte tema della non autosufficienza, e comporta un notevole impatto per le famiglie coinvolte. Il punto nodale è rappresentato dal fatto che le residenze sanitarie assistenziali (RSA) assicurano prestazioni che solo in parte potrebbero essere prese in carico dai familiari della persona non autosufficiente e anziana; allo stesso tempo l’assistenza in contesto domiciliare consente una continuità delle relazioni familiari e, conseguentemente, della socialità di prossimità che le RSA non possono ugualmente garantire.
Tali argomenti sono stati ampiamente indagati nel quarto focus Censis-Assindatacolf, nell’ambito del programma di ricerca “Welfare familiare e valore sociale del lavoro domestico in Italia”1. In particolare, dall’indagine emerge un aspetto di particolare interesse: piuttosto che ricorrere ad una residenza sanitaria assistenziale le famiglie preferiscono che l’anziano non più autosufficiente venga accudito in casa da un assistente familiare. Nel dettaglio, il 58,5% delle famiglie ha dichiarato di prediligere l’assunzione di una badante, contro il 41,5% che si è invece dichiarata disposta a prendere in considerazione la scelta di una Rsa (Tabella 1).
Si nota, inoltre, una maggiore concentrazione di risposte avverse al ricorso ad una RSA tra i più anziani: il 69,5% degli over 64 si dimostrano contrari. Rappresentativa è anche la contrarietà che emerge nei confronti delle strutture pubbliche, sintomo di un malessere in corso da anni (tabella 2).
Le motivazioni sottostanti
La diffidenza nei confronti del modello organizzativo delle RSA, per come si configura oggi, è spiegata soprattutto dai dubbi relativi alla qualità dell’ambiente e delle relazioni che si potrebbero mantenere all’interno delle strutture di assistenza. Chi è ricorso ad una RSA è consapevole delle difficoltà di riproporre all’esterno della propria casa le attenzioni rivolte alla persona anziana o non autosufficiente (59,0%). C’è, inoltre, la convinzione che il distacco dalla propria abitazione possa produrre effetti negativi sul familiare da assistere (20,8%). Ancora, dai dati emerge la convinzione che all’interno dell’RSA spesso prevalgano gli interessi economici rispetto ai bisogni di cura dei pazienti.
Per converso, la scelta di una RSA appare motivata dalla professionalità del personale impiegato nelle strutture di assistenza (63,3%), dall’importo della retta da pagare (9,1%) – che rimanda a una valutazione della sostenibilità della spesa – e dalla vicinanza della struttura (9,0%) – che garantirebbe la possibilità di visitare più frequentemente il familiare affidato alla Rsa. Si posizionano poi due aspetti ulteriori quali: la qualità della struttura e degli arredi, la dotazione di spazi adeguati alla socialità (8,8%) e la possibilità di vivere in una struttura senza barriere che faciliti l’indipendenza (6,6%). I risultati ottenuti portano alla luce la necessità del welfare sociale di investire in una rete integrata di assistenza, capace di porre le adeguate attenzioni sulla relazionalità e sulla cura all’interno della struttura, in chiave relazionale con i caregivers sul territorio, i quali si riconfermano una figura centrale dell’assistenza agli anziani non autosufficienti.
Il ruolo del caregiver
Il ruolo dei caregivers familiari è ad oggi ancora dibattuto. Nel deficit di regolazione della figura, la cura familiare viene ancora perlopiù lasciata alle responsabilità familiari e alle diverse iniziative associative mutualistiche, sviluppate nelle società locali. L’assenza di una politica nazionale di sostegno al caregiving familiare ha delle ripercussioni in termini di costi sociali; la rinuncia a svolgere un’attività lavorativa, la privazione di un reddito adeguato, la riduzione degli spazi di indipendenza personale, sono solo alcune delle ricadute che si trasferiscono dal livello individuale al livello collettivo.
Nella rilevazione Assindatcolf, emerge come per il 53,4% delle famiglie intervistate dovrebbe essere prioritario alleviare la fatica che grava sui caregivers attraverso l’intervento di personale esterno alla famiglia. Tra le soluzioni da adottare viene indicato il riconoscimento di forme di reddito che possano almeno in parte ricompensare la mancanza di strumenti di welfare adeguati (25,5%). A seguire, si auspica la possibilità per il caregiver di lavorare da casa (9,0%), mentre per il 6,7% è necessaria un’assicurazione contro gli infortuni domestici e la possibilità di poter accedere a una pensione sulla base di contributi figurativi. Infine, per il 5,4% sarebbero utili percorsi formativi per qualificare l’assistenza offerta al familiare (Tabella 3).
Un welfare ancora lacunoso
Dall’analisi condotta, persiste tra le famiglie associate il convincimento che un modello di assistenza corrispondente alle necessità di persone anziane o non autosufficienti non possa prescindere dal ruolo fondamentale della famiglia e della casa, che si prefigura come anello di cambiamento e di partenza del sistema di assistenza attuale. Appare evidente come dalle analisi dei dati contenuti nel report si ricavi la rappresentazione di un sistema di welfare molto lacunoso. D’altro canto, però, le famiglie delineano con precisione le proprie esigenze: una presa in carico domestica, nella quale prevalga la componente umana e familiare. È questo il motivo per cui i partiti e i parlamentari eletti dovrebbero impegnarsi per riformare il welfare del nostro Paese e il punto di partenza potrebbe essere individuato nelle proposte avanzate nel “Patto per un nuovo welfare”.
Tra le proposte, si sottolinea con fermezza la necessità che le assistenti familiari trovino un giusto riconoscimento in un nuovo Sistema Nazionale Assistenza Anziani (Sna); a tal fine servono incentivi economici per un lavoro regolare e stabile nel settore sotto forma di deducibilità fiscale o di credito d’imposta. Inoltre, occorre puntare sulla professionalizzazione degli addetti, dando il giusto rilievo alla contrattazione collettiva, e sul percorso di certificazione Uni 11766/2019, temi sui quali è necessario sempre maggiore impegno e che, in attesa di una regolazione complessiva, sono già una realtà. Infine, bisognerebbe istituire un assegno universale per la non autosufficienza che abolisca gli attuali frammentati sussidi. Il momento di agire è questo.
Note
Bibliografia
Censis Assindatcolf. (2022), Welfare familiare e valore sociale del lavoro domestico in Italia, 4° Focus Censis-Assindatcolf. Le famiglie il lavoro domestico i caregiver e le RSA