L’attuale società dell’invecchiamento e della fragilità ci pone di fronte a temi rilevanti quali le crescenti esigenze di prossimità e di continuità assistenziale. I principali attori che necessitano di risposte sono i familiari con responsabilità di cura, che si trovano davanti a bisogni sempre più complessi. A fronte di tali esigenze non si registra un adeguato sforzo di progettazione organizzativa/relazionale e di sviluppo/diffusione di competenze non solo tecniche ma basate su quel corpo di “gesti” etico/ecologici che sono denominati “umanizzazione delle cure”. La crescente percezione del bisogno di sollievo da parte dei caregiver familiari (un bisogno che la pandemia ha portato al primo posto fra le richieste di chi si prende cura) conferma quanto diventi sempre più complessa la sostenibilità del peso della cura.
Il costante rischio di burn out e di danni alla salute psico-fisica di chi ha un significativo carico per un lungo periodo di tempo, indicano la multidimensionalità sia fisica che psico-emotiva dell’impatto del prendersi cura. Ma la risposta alla domanda di sollievo comporta una crescente capacità di ascolto, un confronto di esperienze, progettazione e innovazione sociale. Sicuramente, nelle azioni di sollievo è fondamentale porre al centro il caregiver familiare con i suoi desideri, i suoi progetti di vita e le sue traiettorie personali che si iscrivono nel quadro di una cura a lungo termine, la cui durata statisticamente oscilla fra gli otto e i dodici anni, quando non è per tutta la vita. Più precisamente, il focus dovrebbe essere posto sul caregiver familiare nel suo rapporto con la persona assistita, quindi nell’interazione circolare fra bisogno/cura1/abilità/disabilità.
Verso servizi di assistenza domiciliare che rispondono ai bisogni del caregiver familiare
Il caregiver diviene protagonista nella ricerca di un equilibrio fra benessere funzionale possibile e contesto di cura, una cura verso cui si impegna a “capacitarsi” (A.Sen, 2000) cioè mettersi in condizione di svolgere un ruolo efficace e al tempo stesso abilitato. Per tali motivi, il sollievo non può essere semplicemente un potenziamento quantitativo dei servizi di assistenza domiciliare caratterizzati da un modello prestazionale di accompagnamento, tutoraggio, intervento operativo competente, a sostegno dei percorsi terapeutici collocati a domicilio.
In linea con queste premesse, un’estensione non ragionata del modello di intervento tipo SAD2rischierebbe di non rispondere ad una visione olistica dell’assistito e ai bisogni di qualità relazionale di cui il caregiver è portatore. Infine, le esperienze di sollievo già da tempo esperite, attraverso l’istituzionalizzazione temporanea dell’assistito, hanno mostrato tutti i limiti e i rischi dello sradicamento della persona assistita dal suo contesto di vita, senza peraltro ridurre, ma spesso anzi aggravando, lo stato d’ansia del caregiver familiare.
Alcune esperienze locali
Per approfondire il tema dell’assistenza domiciliare può essere utile richiamare l’esperienza francese. Nel modello transalpino, l’operatore di sollievo non sostituisce il familiare “titolare” ma ne fa le veci, esercitando un compito delegato dal titolare. Ciò porta in primo piano il tema di un rapporto di fiducia che ha come presupposto il riconoscimento, nella figura di chi fa sollievo, di alcune competenze che abilitino allo svolgimento di “determinate” funzioni nel contesto specifico di “quella” relazione di cura. Parallelamente, è importante l’esistenza di una rete organizzativa di sostegno che assicuri la presenza e la continuità delle competenze e l’attivazione di un percorso di accompagnamento che comprenda anche un progetto di benessere per il caregiver familiare. È evidente in questo contesto che il tema delle competenze per il sollievo non può essere affrontato con la richiesta di utilizzo esclusivo di personale con la qualifica di Operatore Socio-Sanitario (OSS).
Se si legge l’analitica declaratoria dei diversi interventi descritti e codificati nei Lea (Livelli essenziali di assistenza) dell’Assistenza domiciliare, non si trova una sovrapposizione tout court a quanto abbiamo descritto come campo d’azione degli interventi di sollievo. A livello nazionale, la prima progettazione dell’intervento di sollievo specificamente rivolta alla sostituzione del ruolo del familiare che si prende cura è stata realizzata nel contesto emiliano-romagnolo (legge Regionale 2/2014). In particolare, i finanziamenti per i primi interventi di sollievo previsti dal DGR RER n. 2318/19 provenivano da fondi di competenza sanitaria.
Il tema del personale assistenziale senza qualifica (assistenti familiari) è stato di recente affrontato nei Leps3. Rimangono aperti degli interrogativi: da che personale saranno sostituiti? Quando il sollievo viene sostenuto dai fondi erogati in base al finanziamento di origine sociale, è possibile impiegare assistenti familiari? Il Fondo nazionale per i caregiver ( vedi art.1comma 254 L205/17) è stato con specifico Decreto ripartito dallo Stato alle Regioni identificandone le priorità di utilizzo. In questo caso, le finalità attuative si avvicinano di più ai livelli sociali di assistenza. Appare chiaramente che una rigida individuazione delle figure “abilitate” al sollievo in base a criteri formali presenta note quantomeno contraddittorie.
Ancora una volta, vale la pena interrogare le esperienze transalpine, secondo le quali il reclutamento del personale impiegato nel sollievo parte dall’analisi del bisogno e rispetto a questo si rivolge alle fonti più varie e diversificate; a partire da personale qualificato nell’assistenza con significative competenze sanitarie o sociali (es. aide soignant e auxiliarire de vie), fino all’equivalente (formato) delle nostre assistenti familiari (aidant familial) e a personale sanitario (infermieri)4. Si tratta di una gamma ampia e diversificata in grado di adattarsi al contesto specifico di cura richiesto non solo dalle condizioni dell’assistito ma anche dal grado di coinvolgimento diretto del caregiver familiare. Ciò che crea squadra e rete è un percorso formativo mirato alla lettura dei bisogni, alla capacità di ascolto e intervento a 360 gradi e a quella che viene chiamata “umanizzazione delle cure” che, nel contesto specifico, si traduce nel mettere in campo le capacità di: riconoscimento della dignità di chi si assiste, del valore della sua autonomia, sostegno alla qualità della vita, empatia e rispetto della privacy; capacità che aprono la porta alla conquista di fiducia dell’assistito in sintonia con il suo caregiver.
Il caso dell’Unione delle Terre d’argine
Nel territorio dell’Unione delle Terre d’argine 5 è stato stipulato un accordo fra Istituzioni locali, Organizzazioni sindacali di categoria e territoriali, Agenzie per il lavoro accreditate e il Soggetto gestore (da parte del pubblico) dei servizi di supporto alla domiciliarità. Questo accordo, oltre a definire il ruolo del profilo “operatore per il sollievo a domicilio”, da reclutarsi fra personale con e senza qualifica – in base alle caratteristiche e alle condizioni dell’assistito – e a prevederne inquadramento e trattamento economico integrativo, individua un percorso obbligatorio che potremmo chiamare di “filtro e inclusione”, che presuppone una specifica fase di riconoscimento e valorizzazione delle competenze acquisite nell’esperienza e una consapevole adesione agli obiettivi e finalità del progetto di sollievo.
Da marzo 2021 i casi affrontati sono stati un’ottantina (fra anziani non autosufficienti e disabili anche gravi) avviati sulla base di valutazione degli assistenti sociali. La soddisfazione delle famiglie è stata certificata sia attraverso un questionario di costumer satisfaction sia attraverso uno scambio diretto e continuo che ha consentito di misurare la maturazione di un’adesione crescente alle finalità del progetto6.
Il mix del personale impiegato ha un significativo grado di stabilità anche se ha risentito della volatilità del mercato del lavoro di cura e malgrado le ripetute ondate pandemiche che hanno a volte messo a rischio la continuità del servizio. Al tempo stesso, si è creata affiliazione e adesione al progetto in un gruppo crescente di operatori, stimolando anche in alcune assistenti familiari l’impegno ad una qualificazione con la partecipazione contemporanea a percorsi formativi per OSS.
Un’altra ricaduta interessante della collaborazione avviata è la progettazione congiunta di un corso per OSS con “specializzazione” alla dimensione domiciliare, riservato prioritariamente ad assistenti familiari con esperienza nel sollievo. La gestione dei casi ha richiesto un costante e quotidiano impegno da parte dell’assistente sociale dello sportello “servizi di supporto alla domiciliarità” che ha tenuto un rapporto diretto e costante con i caregiver, favorendo l’adattamento propositivo e la migliore comprensione dei bisogni. Un impiego attento dei dati rilevati nella “Sezione PAI caregiver” (definito dalla Regione Emilia-Romagna per la messa in trasparenza del ruolo e dell’impegno di cura del caregiver familiare) consente di individuare il profilo del carico di cura fra condizioni di non autosufficienza dell’assistito e impegno effettivo e livello di connessione alla rete dei servizi. Questa diventa la via maestra per individuare e proporre i candidati idonei alla specifica situazione.
Trarre le fila da un’esperienza in evoluzione
Questa esperienza ha confermato che per essere efficace l’intervento di sollievo deve comprendere anche un’azione di supporto a diventare più consapevole nel proprio percorso. Un progetto che gli consenta di identificare le variabili chiave per il proprio benessere e i traguardi da perseguire per acquisire, prospettiva ed equilibrio fra vita e cura. A tale fine, si sta sperimentando – con primi significativi successi- l’impiego di una metodologia per l’empowerment di persone a rischio esclusione, attraverso una specifica tematizzazione del percorso “Rickter scale” a supporto di ascolto, dialogo e valorizzazione.
Il modello generale è stato adattato ai temi per il benessere messo a punto da Amartya Sen e adeguato al contesto del caregiving da due ricercatori toscani: Biggeri e Bellanca. Il risultato è la costruzione consapevole di un patto/progetto individuale per la crescita di competenze idonee ad affrontare la cura che può concretizzarsi nella relazione con i servizi, impiegando tutta la gamma di azioni di supporto incluse nel PAI (Piano assistenziale individuale) dell’assistito nella “sezione caregiver” previsto dalle determine attuative della Legge regionale 2/2014. Per concludere, emerge come non ci siano ricette preconfezionate, ma percorsi di avvicinamento per mettere a fuoco e affrontare problematiche oltremodo complesse. In ogni caso, è necessario fare tesoro dell’esperienza e cercare, nell’assoluto rispetto delle norme e dei diritti di chi cura e di chi è curato, di affrontare temi nuovi e articolati con la dovuta flessibilità e spirito di innovazione.
Note
- Una sorta di circuito di Kolb sulle fasi dell’apprendimento esperienziale.
- Servizio di Assistenza Domiciliare.
- Previsti dall’ultima Legge di Bilancio. Nell’ambito di questi ultimi è stato incluso il sollievo per gli assistenti familiari impegnati in convivenza, cioè per operatori assistenziali senza qualifica.
- È incluso sia personale sanitario in pensione sia giovani inseriti in percorsi formativi di tipo sanitario o sociale per cui vale il periodo impegnato all’interno del curriculum in alternanza scuola lavoro.
- L’Unione delle Terre d’argine è un ente locale autonomo, costituitosi nel 2006, che aggrega i quattro comuni di Campogalliano, Carpi, Novi di Modena e Soliera.
- L’adesione è stata dimostrata anche dalla partecipazione convinta ai gruppi di auto mutuo aiuto che vengono avviati contestualmente alla sperimentazione.
Bibliografia
Atto Amministrativo, 10 settembre 2020, Approvazione schede e strumenti tecnici per il riconoscimento e sostegno del caregiver familiare ai sensi della dgr 2318/19.
Biggeri, M., Bellanca N. (2010), Dalla relazione di cura alla relazione di prossimità l’approccio delle capabiliy alle persone con disabilità, Liguori.
Legge Regionale 28 marzo 2014, n.2, Norme per il riconoscimento del caregiver familiare (persona che presta volontariamente cura ed assistenza).
Sen, A.K. (2000), Lo sviluppo è libertà. Perché non c’è crescita senza democrazia, Mondadori.