Ho incontrato il lavoro intergenerazionale nel 2014 quando un’amica educatrice che gestisce un asilo nido mi invitò a tenere un laboratorio teatrale all’interno di una casa di riposo dove i protagonisti del gioco sarebbero stati gli ospiti anziani e un gruppo di bambini del nido. Fu folgorante: la poesia che nacque da quell’incontro speciale tra due mondi apparentemente così lontani ma forse proprio per questo così simili, il mondo bambino fragile dell’inizio e la fragilità antica di chi si avvicina alla fine, era già teatro allo stato puro. Mi sembrava che, attraverso il gioco del teatro, la relazione possibile tra grandi e piccoli mettesse le ali agli uni e agli altri, liberando grande energia e, in tutti gli astanti, profonde emozioni.
Fu così che prese forma il primo progetto, con il nome di “Per terra il cielo”1. Quest’ultimo consisteva in un ciclo di laboratori teatrali intergenerazionali che mettevano in relazione, attraverso il teatro, bambini, adolescenti e anziani talora malati di demenza o di Alzheimer. Successivamente, negli anni 2018 e 2019, il progetto si è declinato in un percorso biennale in cui settimanalmente i bambini di 4 e 5 anni e un gruppo di ospiti di una casa di cura si incontravano per giocare al teatro2.
Fin dai primi incontri tutti i legittimi dubbi sull’efficacia di questa modalità si sono sciolti come neve al sole: i bambini e le persone anziane giocavano senza sosta e senza risparmiarsi. Si danza e si canta insieme, si raccontano storie con i suoni, le parole e le mani. Si disegna con i colori, si gioca con le stoffe, il sale, la farina gialla di mais. Tutti noi – adulti presenti al laboratorio, assistenti sanitari, educatori, volontari, attori, musicisti, medici – siamo testimoni di un incontro speciale, spesso commovente, tra grandi e piccoli. Questo perché il teatro, il gioco per antonomasia, chiede di essere presenti e concentrarsi su ciò che accade, ponendo tutti sullo stesso piano, abbattendo le barriere legate alla malattia, all’età, alle possibilità fisiche dei corpi e delle voci. Il teatro fa nascere relazioni, magari fatte di soli sguardi, fugaci, ma intense e piene. I bambini chiamano per nome i nonni e le persone anziane (o grandi, come li chiamo io in rapporto ai piccoli, i bambini) si dedicano a loro con presenza totale. I volti cambiano d’intensità, si vive.
L’apprendimento intergenerazionale e il lavoro sulla Dementia Friendly Community
“Il nostro obiettivo: elaborare una pedagogia che insegni ad apprendere, ad apprendere per tutta la vita dalla vita stessa.”
Rudolf Steiner
Dopo qualche anno di lavoro sul campo, nella primavera del 2018, ho avuto la fortuna di poter frequentare un master nell’ambito del programma europeo TOY –Together Old and Young promosso dall’International Child Development Initiatives (ICDI). L’obiettivo del programma era quello di promuovere l’apprendimento intergenerazionale e creare nuove possibilità per anziani e bambini, di imparare insieme e beneficiare gli uni della presenza degli altri. Il contatto relazionale tra anziani e bambini è infatti diminuito molto negli ultimi decenni: nonostante le persone vivano più a lungo, spesso le nuove famiglie migrano lontane dai genitori e un numero crescente di anziani vive in case di cura dove raramente hanno occasione di vedere dei bambini, i quali oltretutto passano molto tempo fuori casa, in strutture dedicate all’infanzia.
L’apprendimento intergenerazionale ha come obiettivi la costruzione e il mantenimento dei rapporti, l’aumento della coesione sociale all’interno di una comunità, la promozione delle persone anziane come “custodi di saperi”, il riconoscimento del ruolo dei nonni e la valorizzazione del processo di apprendimento sia per gli anziani che per i bambini. È incardinato sul principio che non si è mai troppo vecchi per imparare né troppo giovani per insegnare. Secondo uno studio elaborato dal progetto TOY, i benefici dell’apprendimento intergenerazionale ricadono non solo sui protagonisti delle attività proposte, ma sull’intera comunità. Se per gli anziani da un lato si registra un benessere generalizzato, spesso collegato all’essere più attivi, alla riduzione dell’isolamento sociale e a una maggior comprensione delle nuove generazioni, dall’altro per i bambini migliora la capacità di relazione con il mondo adulto, così come le competenze linguistiche e numeriche. Dunque, sia per le persone anziane che per i bambini il lavoro intergenerazionale aumenta la fiducia in sé stessi e l’autostima. Analogamente la condivisione di momenti di gioco e amicizia facilita l’apprendimento e la condivisione di nuove competenze. La comunità diviene luogo di incontro e promuove consapevolmente modelli di vita attiva e salutare.
Il lavoro sull’apprendimento intergenerazionale si inserisce a pieno titolo nella filosofia della Dementia Friendly Community, che può essere definita come un luogo in cui sia le persone affette da demenza, sia le persone addette alla cura, sono incoraggiate, sostenute nei loro bisogni individuali e riconosciute nelle loro potenzialità. La comunità solidale è per sua natura inclusiva e si adopera per preservare l’indipendenza e l’attività dei malati e dei loro familiari, coinvolgendoli per identificare sia gli aspetti della quotidianità da conservare e/o da migliorare, sia le eventuali difficoltà connesse con la vita negli spazi pubblici. Il progetto “Per terra il cielo” cerca di rispondere a questi obiettivi utilizzando il teatro come strumento chiave.
“Per terra il cielo” vuole affermare la funzione sociale del teatro come luogo di espressione e trasformazione dell’identità individuale e comunitaria. Il laboratorio teatrale è oggi un modello di agire socioculturale finalizzato prioritariamente al benessere dei suoi partecipanti. Può essere realizzato con approcci e strumenti molto diversi, alcuni più strettamente connessi alle pratiche terapeutiche, altri invece più radicati nell’esperienza artistica. Il laboratorio teatrale è insieme un’esperienza estetica, rituale, sociale, di tipo formativo che non riguarda solo i professionisti di un teatro sperimentale d’avanguardia, ma costituisce uno dei percorsi evolutivi sul piano delle relazioni più diffusi a livello sociale.
Fare teatro dentro a una comunità spesso vuol dire realizzare non solo un laboratorio teatrale ed eventualmente uno spettacolo con i partecipanti, ma in molti casi significa anche realizzare una più complessiva drammaturgia festiva3, di cui la rappresentazione è solo un momento di evento performativo che comprende diverse esperienze ludiche ed estetiche – dalla danza, all’installazione, dallo spettacolo alla cena. È dunque attraverso questo percorso che i soggetti della comunità rappresentano simbolicamente la propria identità socioculturale e si aprono, nella festa, all’incontro con altri individui e comunità.
Tempo di Covid-19, il progetto si trasforma: da “Per terra il cielo” ad “Il cielo per terra”, un incontro spettacolare
Le misure per il contenimento del contagio da COVID-19 hanno fortemente limitato la possibilità di entrare nelle scuole per condurre laboratori teatrali e di stare accanto agli anziani nelle case di cura. Allora più che mai era fondamentale che l’arte e il teatro lavorassero per mantenere una comunità, coinvolgendo tutti, includendo soprattutto le fasce più deboli della popolazione, quelle più esposte alla solitudine. Ancor più in quei momenti difficili è stato fondamentale lavorare sul concetto del “prendersi cura”, sul tema della condivisione, anche dello spazio pubblico, visibile a tutti e agibile da tutti. Non sono importanti le abilità o la preparazione personale nel canto, nella danza, nel teatro, a contare è lo stare insieme dando il meglio di sé nel gioco, nella festa, mantenendo la presenza fisica là dove possibile o colmando la distanza con l’energia, la voce, il movimento, la musica, le vibrazioni.
A settembre 2020 ho proposto una nuova versione del progetto “Per terra il cielo”: l’idea era quella di andare con i bambini a giocare sotto le finestre delle case di cura, cantando, danzando, sfilando, sbandierando. Vi erano i protocolli COVID-19 da rispettare, ma si poteva trovare un nuovo modo di creare interazione. Là dove il contatto fisico attraverso il gioco poteva essere sufficiente per mantenere vivo l’incontro, durante il periodo del Covid la distanza rendeva tutto più difficile. Il nome del progetto si è capovolto, diventando “Il cielo per terra”. Ribaltando la visuale, abbiamo trovato nuove soluzioni possibili. Non sono solo gli ospiti ad avere bisogno e voglia di tornare ad aprirsi alla comunità, ma sono anche tutti gli operatori sanitari che per lunghi mesi hanno dovuto reinventare il proprio lavoro, restando isolati in una quotidianità sconfortante.
Bisogna tenere presente che il nuovo progetto “Il cielo per terra” non può essere un laboratorio vero e proprio: non si può lavorare in continuità nel tempo puntando alla costruzione di relazioni durature, né al progressivo apprendimento di strategie di gioco. Esso si trasforma perciò in un “incontro spettacolare”, un evento dove vengono predisposti tempo, spazio, musica e azioni capaci di tenere uniti sguardi e intenzioni, nell’improvvisazione del momento. Si potrebbe parlare di una drammaturgia festiva. Insieme ai bambini e al musicista che ci ha accompagnato abbiamo occupato uno spazio pubblico facendoci sentire dagli anziani alle finestre ma anche dai passanti, dando espressione ad un senso di condivisione e socialità. Sebbene l’interazione con le persone anziane era limitata dalla distanza, l’incontro avveniva comunque, guardando nella stessa direzione, condividendo un tempo, un’azione, un canto.
Tiritempo, per un progetto intergenerazionale di comunità
Nel mese di settembre e ottobre del 2022, grazie al festival di letteratura per l’infanzia di Cagliari, ha preso avvio un altro progetto intergenerazionale. In occasione del 17° Festival Tuttestorie di Letteratura per Ragazzi, mi viene proposto di lavorare sul tema del tempo, attraverso la pratica di laboratori intergenerazionali di teatro che conduco ormai da diversi anni. Per ragionare sul concetto di tempo è un ottimo punto di partenza mettere in comune il tempo di persone di età molto distanti tra loro, anziani e bambini. Per potermi nutrire di giuste parole e tracciare un sentiero di senso nel complicato tema del tempo scelgo di avere una compagna di viaggio speciale: la poetessa e scrittrice Giusi Quarenghi. Giusi non potrà essere fisicamente presente al lavoro ma funzionerà per me come un timone per suggerire possibili interrogativi che ci guidino.
Cosa fa di te il tempo? Cosa ne fai tu del tempo? Se avesse voce il tempo, cosa ne farebbe? Versi? Urla? Silenzi? Canzoni? Rumori? Cosa ne farebbe? Il tempo è vuoto o pieno? Liscio o ruvido? A pezzi o tutto intero?
Con Manuela Fiori, direttrice artistica del festival, prendiamo contatto con la realtà territoriale che più ci sembra sensibile alla proposta: il centro diurno “Don Orione” di Selargius. Il centro si impegna per portare la filosofia della Dementia Friendly Community in Sardegna. Insieme a Marta Malgarise, psicologa del centro Don Orione, condividiamo l’articolazione del progetto. Tiritempo si realizza attraverso quattro azioni differenti e concatenate tra loro, per fare in modo che in tanti, una comunità ampia, la più ampia possibile, possa godere dell’esperienza. La prima azione è un laboratorio di formazione per gli operatori sociosanitari e gli educatori che si occupano degli ospiti del centro diurno e della Comunità alloggio. Il laboratorio prevede un approfondimento delle pratiche intergenerazionali con uno specifico lavoro rispetto all’utilizzo del teatro come laboratorio sociale e di comunità. Il corso di formazione per gli operatori prevede anche la partecipazione alla seconda azione di Tiritempo: la settimana di festa.
La settimana, cuore del progetto, si articola in un ciclo di laboratori che vedono protagonisti gli anziani ospiti del centro e alcuni gruppi di bambini di età compresa tra i 5 e gli 8 anni. Le scuole dell’infanzia del paese e alcune classi della scuola primaria rispondono con entusiasmo all’invito. Passiamo una settimana a giocare insieme, nel giardino del centro diurno e, solo per l’ultimo giorno, nel salone della scuola dell’infanzia vicina. I gruppi di lavoro cambiano ogni giorno, sono costituiti da una decina di anziani ospiti del centro e della casa alloggio, da una classe di 15-20 bambini, le maestre, gli operatori. Stiamo quasi sempre disposti in cerchio, per vederci tutti. Si balla e si canta, si batte il ritmo con le mani, si gioca con il teatro per trasformarci in quello che vogliamo e per raccontare storie. L’incontro tra bambini e anziani è sempre una sorpresa; i piccoli arrivano un po’ timorosi, si lasciano prendere dal gioco lentamente, come a testare fin dove possano spingersi con quei compagni inconsueti e se ne vanno salutando agitando le mani e chiamando per nome i loro nuovi amici. Gli anziani si lasciano travolgere dal movimento, dal ritmo, dal suono. Vogliono dire, comunicare, partecipare, toccare, cantare, ballare insieme ai bambini. Anche chi è sulla sedia a rotelle, anche chi ha smesso da tempo di parlare ha occhi vivi, che vogliono esserci. Durante i laboratori di questa settimana, mentre io conduco il gioco, Monica Serra, collega attrice, registra il sonoro dei nostri incontri: parole, risate, canzoni, ritmi. Sarà con questo materiale sonoro che proveremo a comporre una traccia che possa raccontare dell’esperienza in occasione del Festival Tuttestorie.
La settimana di festa si conclude con la terza azione del progetto Tiritempo: è L’Alzheimerfest Sardegna. Il sabato pomeriggio il centro Don Orione apre le porte del suo cortile a tutta la comunità e così la festa si allarga. Altri laboratori intergenerazionali vengono proposti per tutti, si mangia, si balla, si canta insieme. Ci sono gli ospiti del centro con le loro famiglie, il personale, gli amici, il gruppo scout di Selargius e qualche curioso. Anche le autorità del paese sono presenti. Si parla di nuove progettualità, si sogna di abbattere i muri della recinzione del parco per fare una piazza pubblica nel cortile del centro. Infine, per la quarta e ultima azione ci spostiamo al Festival Tuttestorie: la comunità di Tiritempo si fa ancora più ampia. La traccia sonora delle voci dei protagonisti di questo viaggio e la musica di Luca Maria Baldini incrociano la mostra “Rughe, Rigagnoli, Fossi, Fossette”, un progetto a cura di Elena Iodice con le fotografie di Daniela Zedda, ispirato al lavoro dell’artista Tullio Pericoli.
I visitatori del festival entrano nello spazio espositivo con le cuffie e mentre guardano i ritratti di anziani e bambini su cui prendono forma linee di paesaggi, le voci registrate raccontano della festa che si può fare stando insieme, con tempi, età e ritmi diversi. A visitare la mostra arrivano anche alcuni tra gli ospiti del centro diurno accompagnati dai parenti. È un’emozione grandissima riconoscersi nelle fotografie e nelle voci registrate. Laura, una donna piccola nei suoi 91 anni dice “È stata una festa meravigliosa!” e tutti noi siamo d’accordo. Tiritempo non si è concluso con il festival. Successivamente, l’intera mostra è stata allestita a Selargius, nel salone del centro diurno. In tanti l’hanno vista e altri bambini e bambine che non conoscevano il centro sono arrivati in visita. Abbiamo avuto tutti l’impressione di aver gettato un sasso nello stagno e che ancora adesso i riverberi del lavoro continuino a segnare una buona strada. Le pratiche intergenerazionali muovono con semplicità verso la costruzione di dinamiche solide di comunità, risvegliano e affinano le competenze del vivere insieme. Attorno a tutti questi progetti, “Il cielo per terra”, “Per terra il cielo” e “Tiritempo”, ha lavorato una fitta rete di persone che ha fatto in modo che questo potesse accadere, affidandosi al percorso stesso, al lavoro sul campo, al rischio della relazione.
Note
- Il progetto è condotto da Anna Fascendini, attrice regista e formatrice di ScarlattineTeatro-Campsirago Residenza www.campsiragoresidenza.it . Per terra il cielo muove i suoi primi passi in Valseriana grazie alla felice collaborazione tra la scuola dell’infanzia S. G. Battista di Albino nella persona della sua dirigente Dott.ssa Floria Lodetti e la Fondazione Honegger e le sue strutture: Centro Diurno, Casa Albergo e Struttura Protetta nella persona della direttrice sanitaria Dott.ssa Tiziana Mosso.
- I luoghi che ci ospitano sono alternativamente il salone della casa di cura o del centro diurno e la palestra della scuola dell’infanzia.
- Con il termine drammaturgia festiva si indica un’area della teatralità che pone al proprio centro la festa come tempo-luogo in cui una comunità rappresenta sé stessa (Valeri, 1979; Borie, 1980).
Bibliografia
Borie, M. (1980), Antropologia, in Antonio Attisani, Enciclopedia del Teatro del ‘900, op. cit., pp. 345-346.
Valeri, V. (1979), Festa, in Enciclopedia Einaudi, vol. VI, pp. 87-99.