1 Marzo 2010 | Cultura e società

Editoriale
Provando e riprovando


Si sente dire spesso che viviamo un’ “epoca di passioni tristi”. Ma ciò non sembra valere almeno per i lettori e gli autori de “I luoghi della cura”, scorrendo l’indice di questo numero, orientato a problemi di natura in ampio senso neurologica. Troviamo generosi tentativi di approccio innovativo che integrano cultura gerontologica e passione civile, impegno organizzativo e perizia giuridica. Tutti questi contributi convergono nella ricerca di soluzioni in frangenti che mettono in crisi i pazienti, i relativi contesti ed i modelli di cura tradizionali.

 

Non sembra casuale che proprio mentre tali articoli venivano assemblati dal comitato editoriale, venisse diffuso in via telematica un articolo sulla “modulazione volontaria dell’attività cerebrale” in pazienti con disturbi della coscienza (Monti et al. 2010). Il lavoro riscuote immediata risonanza mediatica, prima ancora di venire pubblicato in forma stampata: ne parla – in coincidenza all’anniversario della vicenda Englaro – “Radio 3 Scienza” nella puntata radiofonica di martedì 9 febbraio mattina, intervistando il primo autore: tra l’altro, l’italo-americano Martin Monti rivela di essere approdato alle neuroscienze, partendo da competenze economiche acquisite all’università Bocconi…

 

L’articolo si inserisce in una sequenza di ricerche compiute da gruppi inglesi e belgi consorziati, che da anni hanno sviluppato competenze e tecnologie che rintracciano attività cognitive evocabili anche in pazienti clinicamente in “stato vegetativo persistente”, per definizione caratterizzata da “veglia senza consapevolezza” (Zeman A., 1997). Nello specifico, mediante immagini cerebrali in risonanza funzionale, alcuni pazienti hanno dimostrato una consistente attivazione cerebrale evocata da compiti di immaginazione motoria (giocare a tennis) e spaziale (muoversi in ambienti familiari, domestici e per strade urbane note). L’attivazione del metabolismo veniva evidenziata in aree cerebrali adeguate rispetto al tipo di attività richiesta, evocata da semplici istruzioni verbali. I medesimi compiti di immaginazione sono stati utilizzati per ottenere risposte si/no a domande semplici (riferite ai nomi di parenti), in un paziente incapace di esibire risposte “comportamentali” all’esame clinico standard. Due dei 5 pazienti – su 54 – in cui la risonanza indicò segni di attivazione cerebrale, presentarono all’ aggiornamento dell’ esame neurologico risposte tali da modificare la diagnosi da “stato vegetativo persistente” a “stato di coscienza minima” (Giacino et al., 2002).

 

Le riflessioni ed i quesiti che, sia pure con sottolineature ed accenti diversi, propongono sia gli autori dell’articolo originale sia all’editorialista (Ropper AH., 2010), sorgono spontaneamente anche nel lettore, affiancandosi ad altri spunti:

  • l’editorialista si domanda se alle immagini di attivazione in risonanza corrispondano tracce di esperienze; riconosce poi – rivedendo l’evoluzione della bibliografia – che gli autori hanno fornito prove più persuasive di funzioni cognitive residue, anche esecutive. Non si tratta di un puro dibattito filosofico, come se Platone e Leibniz si confrontassero implicitamente, rispettivamente tra ombre proiettate su un muro, ed “appercezioni” consapevoli – così definite entrambe dall’editorialista che si pone il quesito clinico concreto dell’opportunità di affiancare, all’esame neurologico standard, simili raffinate indagini neuro-funzionali 1;
  • nessuno riesce attualmente a sbilanciarsi in termini di “flussi di pensiero” (viene chiamato in causa – ancora esplicitamente – un altro filosofo: William James), di aspetti volitivi ed affettivi, e di conseguente “qualità di vita”;
  • viene sottolineato come le capacità cognitive residue – ricercate mediante indagini sofisticate – riguardino una stretta minoranza dei pazienti, tra l’altro solo in caso di esiti di traumi cranici, e non per alterazioni di coscienza da altre origini.
  • emergono ulteriori difficoltà nel rapporto coi familiari, consapevoli che una assenza di prove non coincide con una prova di assenza: al di là della ermeneutica, tornando alle vicende cliniche esaminate, il paziente in questione non ha fornito segni di attivazione cerebrale solo durante 1 di 6 sessioni analoghe: perché? a causa di una transitoria flessione nei livelli di coscienza, piuttosto che per “volontà di non rispondere”?; e di fronte all’ ampia maggioranza dei pazienti che non hanno mai dato segni di risposta alla risonanza, si trattava di una insufficiente sensibilità della metodica, o di oscillazioni su tempi lunghi della coscienza (almeno per la metà abbondante dei casi, quelli in “stato di coscienza minima”), od ancora di richieste di compiti che eccedevano le capacità cognitive residue?

 

Nonostante i tanti dubbi, si possono però trarre alcune conclusioni e raccomandazioni:  senz’altro viene ribadita l’importanza di effettuare accurati esami clinici seriati, sfruttando l’opportunità di ripetere osservazioni a distanza di tempo – raccogliendo così l’invito posto dall’antico maestro di tanti gerontologi clinici, il professor Ugo Cavalieri;  allo sforzo clinico occorre affiancarne uno “ermeneutico”: dovremo imparare ad utilizzare i segnali relativi alla coscienza similmente a come adoperiamo la creatininemia per misurare la funzionalità renale, posto che il rinnovamento in atto nella nosologia ci presenta i livelli di coscienza come uno spettro2, piuttosto che per categorie definite (Giacino et al., 2002; Rosenberg RN., 2009).

 

Insomma, per chi si occupa della cura delle persone anziane, esiste un modo per uscire dalle strettoie delle “passioni tristi”: all’etica di Spinoza conviene contrapporre il motto della antica e gloriosa Accademia del Cimento: “provando e riprovando”.

Note

1 L’autore dell’articolo originale usa il termine “corroborazione”, caro – ma per vagliare, falsificandola, una ipotesi, piuttosto che per sostenerla – a Popper, autore, con Eccles, de “L’io e il suo cervello”; l’editorialista conclude criticando “attivo il mio cervello, quindi esisto” in opposizione al “penso dunque esisto” di Cartesio, a sua volta criticato per aver separato la mente dal cervello (Rosenberg RN., 2009).

Bibliografia

Giacino JT, Ashwal S, Childs N. Cranford R, Jennett B, Katz DI, Kelly JP, Rosenberg JH, Whyte J, Zafonte RD, Zasler ND. The minimally conscious state: definition and diagnostic criteria. Neurology 2002; 58: 349-353

Monti MM, Vanhaudenhuyse A, Coleman MR, Boly M, Pickard JD, Tshibanda L, Owen AM, Laureys S. Willful modulation of brain activity in disorders of consciousness. N Eng J Med 3 febbraio 2010.

DOI: 10.1056/NEJMoa0905370 Ropper AH. Cogito ergo sum by MRI. N Eng J Med 3 febbraio 2010.

DOI: 10.1056/NEJMe0909667 Rosenberg RN. Consciousness, coma and brain death-2009. JAMA 2009; 30: 1172-1174

Zeman A. Persistent vegetative state. Lancet 1997; 350: 795-99

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