Negli ultimi decenni, grazie allo sviluppo socio-economico e ai progressi nella scienza e nella medicina, si è verificato un sostanziale invecchiamento della popolazione, ma l’aumento dell’aspettativa di vita è accompagnato da un incremento della quantità di anni vissuti con malattie croniche o disabilità. È pertanto necessario che la ricerca scientifica – e, in particolare, quella biomedica – si pongano come obiettivo prioritario dare più salute agli anni e non solo dare più anni alla vita, facendo in modo che le persone vadano incontro a un invecchiamento sano, attivo e di successo.
L’importanza degli studi sull’invecchiamento
Le evidenze scientifiche dimostrano che la probabilità, che ciascuno di noi ha, di andare incontro a un invecchiamento sano è determinata dalle interazioni fra stile di vita, abitudini, ambiente e suscettibilità personale. Data la complessità di queste interazioni, le indagini di tipo epidemiologico – che analizzano lo stato di salute di una popolazione, la distribuzione e la frequenza delle malattie – costituiscono uno strumento fondamentale per comprendere quali fattori sono decisivi per una vita longeva e un invecchiamento sano e per elaborare linee guida e interventi di prevenzione utili a migliorare la qualità di vita nell’invecchiamento.
Nel secolo scorso, in Europa e nel mondo, sono stati avviati diversi studi epidemiologici di coorte finalizzati a indagare lo stato di salute della popolazione. Tra i più importanti possiamo citare il Framingham Heart Study, condotto dal 1948 nella cittadina statunitense di Framingham, che ha dimostrato con chiarezza la correlazione fra stile di vita e malattie cardiovascolari, e lo studio EPIC (European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition), iniziato poco più di 25 anni fa e condotto in 10 nazioni europee, che indaga il rapporto tra dieta e salute, in particolare il ruolo dell’alimentazione nello sviluppo di tumori. In tempi recenti è stato realizzato in Gran Bretagna il progetto UK Biobank, uno studio di popolazione che coinvolge più di 500.000 persone di età compresa tra i 40 e i 70 anni, reclutate tra il 2006 e il 2010: i partecipanti hanno fornito campioni biologici e informazioni sullo stile di vita e sulla salute attraverso questionari, interviste e misurazioni fisiche, che sono utilizzati da ricercatori di tutto il mondo per indagare le possibili interazioni tra stile di vita e rischio genetico nello sviluppo di diverse malattie.
Al momento, in Europa sono in corso più di 15 grandi studi di popolazione volti a indagare le complesse interazioni tra ambiente, abitudini, stili di vita e insorgenza di malattie croniche. Fra questi, 3 sono italiani:
- lo studio Moli-Sani, avviato nel 2005 sulla popolazione molisana, con focus di ricerca su malattie cardiovascolari e neurodegenerative;
- lo studio CHRIS (Cooperative Health Research in South Tyrol), condotto sulla popolazione altoatesina, che esplora le variazioni genetiche coinvolte nelle malattie non trasmissibili;
- lo studio SardiNIA sulla genetica ed epigenetica dell’invecchiamento, che coinvolge la popolazione sarda dell’Ogliastra (una delle Blue Zone identificate nel mondo1) e al quale sono collegate oltre 200 pubblicazioni fra il 2006 e il 2019.
Il Novara Cohort Study
Nell’ambito della ricerca sull’invecchiamento dell’Aging Project dell’Università del Piemonte Orientale con sede a Novara, e con il contributo di UPO Biobank (la biobanca dell’Università del Piemonte Orientale), è nato il Novara Cohort Study (NCS), uno studio epidemiologico di popolazione disegnato per indagare la qualità dell’invecchiamento della popolazione novarese. Grazie alla creazione di una rete collaborativa di cui fanno parte diversi dipartimenti universitari, l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Maggiore della Carità e l’ASL di Novara, il progetto si propone di seguire lo stato di salute e le traiettorie di invecchiamento della popolazione novarese per identificare i determinanti biologici, sociali, comportamentali e psicologici associati a un invecchiamento sano e di successo.
Tutti i cittadini maggiorenni residenti nella provincia di Novara sono invitati a partecipare allo studio. A chi desidera aderire a NCS viene chiesto di esprimere un consenso, che permette di assumere decisioni informate sul coinvolgimento nello studio. La partecipazione prevede la disponibilità a fornire del materiale biologico (sangue, urina, saliva) e alcune informazioni relative a diversi aspetti riguardanti le abitudini e lo stile di vita, la qualità del sonno e dello stato psicofisico. Il partecipante può anche decidere di sottoporsi a una visita medica, con la misurazione di alcuni parametri fisici (peso, altezza, frequenza cardiaca, pressione arteriosa) e funzionali (test della camminata, della forza di presa della mano, ecc.) e di ricevere i risultati delle analisi di alcuni parametri ematochimici indicatori dello stato di salute, che potranno poi essere valutati insieme al proprio medico curante.
Le ricadute del NCS sono molteplici: dal punto di vista scientifico, questo studio consente di raccogliere materiale biologico e informazioni che i ricercatori potranno utilizzare per comprendere i meccanismi biologici dell’invecchiamento e per identificare biomarcatori utili a prevenire o diagnosticare precocemente le malattie tipiche dell’invecchiamento; come ricaduta diretta sulla popolazione, il NCS permetterà a medici e professionisti sanitari di individuare possibili interventi di prevenzione primaria, secondaria e terziaria da attivare sul territorio. Lo studio, inoltre, contribuisce alla creazione di una cittadinanza scientifica, facendo sì che il territorio novarese diventi un laboratorio di ricerca esteso, dove tutta la popolazione si trova coinvolta in prima persona nella ricerca e nella discussione sull’impatto della scienza sul benessere delle persone, con una particolare attenzione alle tematiche dell’invecchiamento in salute e della prevenzione delle malattie croniche.
Il NCS si differenzia dagli altri studi per due aspetti innovativi. Il primo è la multidisciplinarietà dell’approccio, che permetterà di studiare non solo i determinanti biologici dell’invecchiamento sano, ma anche quelli sociali, economici, psicologici: questo favorirà un approccio olistico verso la comprensione dell’invecchiamento e consentirà di costruire raccomandazioni per un invecchiamento sano e attivo, che spazieranno in tutti i contesti di vita. Il secondo è l’aspetto partecipativo: il coinvolgimento della popolazione in tutte le fasi della ricerca mira non solo ad affinare il disegno di studio, facilitando la definizione di obiettivi più vicini a quelli richiesti dalla popolazione, ma anche a sensibilizzare i cittadini coinvolti e a promuovere fin da subito l’adozione di scelte di vita salutari.
Le biobanche supportano la ricerca scientifica attiva e sono a servizio della collettività
Gli studi epidemiologici come il NCS non sarebbero attuabili se non fossero supportati dalle biobanche di ricerca, infrastrutture in grado di collezionare in modo ordinato grandi quantità di campioni e dati. Le biobanche sono formalmente definite come unità di servizio senza scopo di lucro che, nel pieno rispetto dei diritti dei soggetti coinvolti, garantiscono la raccolta sistematica, la conservazione e la distribuzione, secondo comprovati standard di qualità e sicurezza, di campioni biologici umani e delle informazioni collegate – i cosiddetti “dati associati”, ovvero dati anagrafici, clinici, biologici, demografici, genetici e genealogici -, per finalità biomediche (di ricerca, diagnosi, prevenzione o terapia), a seconda di quanto dichiarato da ogni biobanca nella propria missione e nel proprio codice etico.2
Le biobanche di ricerca, in particolare, si mettono a servizio di tutta la collettività: da un lato sostengono la ricerca mettendo a disposizione della comunità scientifica una quantità di campioni biologici e di informazioni fino a pochi anni fa inimmaginabile; dall’altro operano sulla base di procedure standardizzate e di regole finalizzate alla tutela di diritti, dignità e riservatezza delle singole persone e della collettività.
Prerogativa fondamentale delle biobanche è, innanzitutto, quella di contribuire al progresso scientifico, facendo sì che la comunità e ogni singolo cittadino diventino protagonisti della ricerca. Aderendo alle iniziative di una biobanca si contribuisce infatti al suo sviluppo, all’orientamento della ricerca e all’utilizzo dei risultati che ne deriveranno. Queste strutture, inoltre, seguendo procedure standard di qualità riconosciute a livello internazionale, incentivano la formazione di reti e di collaborazioni scientifiche nazionali e internazionali. Le biobanche costituiscono pertanto uno strumento fondamentale per svolgere attività di ricerca d’avanguardia, multidisciplinari e su scala globale, finalizzate a comprendere i diversi fattori associati allo stato di salute o di malattia, con vantaggi prevedibili per la collettività in termini di conoscenze, cure e tecnologie.
UPO Biobank, la biobanca di ricerca pilastro del Novara Cohort Study
Il NCS è reso possibile dalla presenza di UPO Biobank, la biobanca di ricerca dell’Università del Piemonte Orientale che ha sede presso il Centro di Ricerca Applicata Ipazia a Novara. UPO Biobank è nata nell’aprile 2020, per rispondere all’emergenza della prima ondata della pandemia Covid-19 e indagare la risposta immunitaria al Sars-CoV-2. Da allora, UPO Biobank lavora attivamente per sostenere la ricerca scientifica volta a migliorare la salute e il benessere dei cittadini.
UPO Biobank rappresenta una struttura unica nel suo genere in Italia: è una biobanca universitaria multidisciplinare che opera sia come biobanca di popolazione, supportando studi di coorte di tipo epidemiologico e di salute pubblica che prevedono il coinvolgimento della popolazione generale (come il NCS), sia come biobanca di malattia, sostenendo progetti di ricerca finalizzati a diagnosi, cura e prevenzione delle malattie più frequenti con l’avanzare dell’età (neurodegenerative, autoimmuni, cardiovascolari, metaboliche e neoplastiche). Dalla sua nascita, l’attività della biobanca è in continua espansione e, attualmente, oltre al NCS, UPO Biobank sostiene 15 progetti di ricerca dedicati allo studio di diverse malattie associate all’invecchiamento.
La struttura è dotata di un ambulatorio e di uno spazio dedicato a incontrare i partecipanti agli studi, di un laboratorio per il trattamento del materiale biologico e di una sala criogenica per la conservazione dei campioni. I suoi locali possono attualmente ospitare più di 500.000 campioni biologici in congelatori meccanici a +4°C e a -80°C e in contenitori per azoto liquido che conservano i campioni a -196°C. Il sistema qualità di UPO Biobank prevede numerose procedure di supervisione e la costante formazione del personale, a garanzia della qualità delle diverse fasi di ogni attività. I campioni biologici vengono raccolti, conservati e trattati secondo criteri di biobancaggio condivisi a livello internazionale, che rispondono a precisi standard etici, qualitativi e legali. Tutti i campioni sono codificati in maniera univoca e pseudonimizzata3 e crioconservati secondo procedure specifiche e comprovate, per mantenere integro il materiale biologico fino al momento del suo utilizzo.
Gli organi di governance di UPO Biobank prevedono un direttore scientifico, un comitato d’indirizzo, un comitato tecnico scientifico e un comitato degli stakeholders. Queste figure garantiscono l’imparzialità di UPO Biobank e coadiuvano le attività della biobanca, definendo le strategie e gli obiettivi a breve e a lungo termine. Inoltre, figure estremamente importanti sono il responsabile tecnico, il responsabile del sistema di gestione della qualità e il responsabile della gestione dei dati, che curano la manipolazione e la conservazione dei campioni biologici e dei dati associati, applicando le procedure operative standard e i controlli necessari a garantirne la qualità e la condivisione secondo i principi FAIR (Findable / trovabili, Accessible / accessibili, Interoperable / interoperabili, Re-usable / riutilizzabili), insieme alla tutela della privacy e dei diritti dei partecipanti, come sancito dal GDPR (General Data Protection Regulation), regolamento europeo sulla privacy in vigore dal 2018.
UPO Biobank si è dotata di un Regolamento e di un Codice Etico che le consentono di agire come strumento per il coinvolgimento attivo dell’intera comunità territoriale di riferimento dell’Università del Piemonte Orientale, nella costruzione della conoscenza scientifica per il benessere sociale. In questo senso, UPO Biobank si impegna a rendere conto della propria attività a tutti i portatori di interessi, organizzando eventi di formazione e informazione sui valori di etica pubblica sanitaria, in accordo con le amministrazioni locali e con le associazioni di cittadini e di malati, proponendo campagne informative in ambito scolastico e universitario e organizzando interventi presso associazioni culturali, cooperative, università della terza età e, in generale, presso tutti gli stakeholders coinvolti, per diffondere consapevolezza sulla partecipazione attiva e responsabile di tutta la comunità alla ricerca scientifica e al biobancaggio.
I campioni biologici raccolti saranno sottoposti ad approfondite analisi molecolari, per indagare i biomarcatori di invecchiamento. In particolare, saranno indagati i biomarcatori di inflammaging (infiammazione cronica associata all’invecchiamento), fragilità, carico allostatico, modificazioni epigenetiche associate all’invecchiamento biologico, varianti genetiche associate al rischio di insorgenza di malattie croniche e degenerative (cardiovascolari, metaboliche, neurodegenerative). I campioni e le informazioni associate conservati presso UPO Biobank saranno resi disponibili a tutta la comunità scientifica nazionale e internazionale.
Senza il materiale biologico messo a disposizione dai membri della collettività, e senza la loro storia clinica, la biobanca – e la ricerca scientifica di qualità che essa sostiene – non potrebbero esistere. Partecipare a progetti di ricerca che prevedono il biobancaggio, attraverso il conferimento di campioni biologici e di alcune informazioni personali, aiuta ciascuno di noi a diventare consapevole della rivoluzione scientifica e sociale in atto, determinata dalla svolta genetica e biomolecolare della ricerca e della cura, e a contribuire fattivamente a un futuro orientato a salute, benessere e qualità di vita, anche ad età molto avanzata.
Note
- Con Blue Zone – termine utilizzato per la prima volta nel 2004 in uno studio sulla popolazione sarda – si indica un’area geografica, oggetto di studi demografici specifici, in cui la speranza di vita è notevolmente superiore alla media mondiale, con un maggior numero di anni in salute. Finora sono state identificate 5 Blue Zone, per motivi diversi: Ogliastra (Italia), per la straordinaria frequenza con cui si raggiunge il traguardo dei 100 anni; Okinawa (Giappone), per la più lunga aspettativa di vita senza disabilità al mondo; Icaria (Grecia), per la più alta percentuale di 90enni del pianeta; Loma Linda (California), per lo stile di vita proprio della comunità di avventisti oggetto di studio, che rende la popolazione locale la più longeva dell’America del Nord; Nicoya (Costa Rica), per la maggiore probabilità dei 60enni di raggiungere i 90 anni rispetto a coetanei statunitensi, francesi e perfino giapponesi.
- Maggiori informazioni sono reperibili tramite il nodo italiano di BBMRI, il consorzio europeo delle biobanche e delle infrastrutture di ricerca ERIC di area biomedica.
- Per pseudonimizzazione si intende il trattamento dei dati personali in modo che non possano più essere attribuiti a un interessato specifico senza l’utilizzo di informazioni aggiuntive; queste devono essere conservate separatamente e soggette a misure tecniche e organizzative intese a garantire la non attribuzione a una persona fisica identificata o identificabile.