8 Settembre 2023 | Professioni

Servizi semiresidenziali per anziani e potenzialità del lavoro di rete: il contributo dell’assistente sociale nella definizione di progetti personalizzati e integrati

L’assistente sociale che opera in un centro diurno per anziani è chiamato a svolgere un ruolo strategico nella valorizzazione delle reti primarie, nell’orientamento competente ai servizi del territorio e alle opportunità del sistema di welfare, nell’attivazione di risorse formali e informali. A partire dal Quaderno del Gruppo Anziani dell’Ordine degli Assistenti Sociali della Lombardia, l’articolo presenta le potenzialità del lavoro di rete, strumento e approccio fondamentale per garantire qualità e continuità nei processi di cura, delineando percorsi calibrati sulle specifiche condizioni e storie di vita degli anziani e delle loro famiglie.


La prospettiva della rete sociale può essere letta nella sua dimensione di rete primaria, riferita alle relazioni e all’ambiente naturale, affettivo, di vita della persona, e nella sua dimensione di rete secondaria, riferita a collegamenti, attivazioni e collaborazioni fra gruppi, organizzazioni, istituzioni. Tale prospettiva risulta molto opportuna quando l’anziano usufruisce di un servizio semiresidenziale: in questa situazione “intermedia” – in cui l’autosufficienza non è più totale ed emergono necessità di aiuto protratto nel tempo, ma è ancora presente il vivere al domicilio e nel proprio territorio – l’assistente sociale può fornire un contributo fondamentale nella definizione di progetti centrati sulla specificità di ogni situazione (Gruppo Anziani – Ordine Assistenti Sociali Lombardia, 2022), orientati sia alla rete primaria dell’anziano e della famiglia, che alla rete di servizi e risorse formali e informali.

 

Lavoro di rete: un fondamento per la professione di assistente sociale

L’assistente sociale è un professionista che rivolge la sua attenzione all’interazione tra l’essere umano e il suo ambiente di vita e di relazione, riconoscendo la specificità di ogni storia personale e familiare, e che facilita e sostiene l’individuazione e l’attivazione di risorse della rete primaria e della rete secondaria, promuovendo migliori condizioni per tutti i soggetti coinvolti. Fra i principi generali della professione rientrano l’agire con o per conto della persona e della comunità, il considerare l’unicità di ogni persona con un’ottica globale (biologica, psicologica, sociale, culturale, spirituale), il valorizzare l’autonomia e la capacità di assunzione di responsabilità di persone e famiglie; fra le responsabilità dell’assistente sociale rientrano la conoscenza approfondita della realtà territoriale in cui opera e l’adeguata considerazione del contesto storico e culturale e dei suoi valori, la ricerca della collaborazione dei soggetti attivi in campo sociale, sociosanitario e sanitario per obiettivi e azioni comuni che rispondano in modo integrato ai bisogni della comunità, l’informazione corretta su servizi e prestazioni erogate dal sistema di welfare, la facilitazione all’accesso e all’uso delle risorse disponibili (Consiglio Nazionale Ordine Assistenti Sociali, 2020).

 

Partendo dal valore centrale del servizio sociale, cioè il rispetto della persona umana nella sua dignità e libertà, l’assistente sociale si pone come strumento che introduce informazioni nuove, che organizza le informazioni offerte dalla famiglia secondo un’ipotesi, non sostituendosi alla persona, non offrendo modelli rigidi a cui adeguarsi, ma facilitando il cambiamento e la riorganizzazione del sistema familiare stesso, rispettandone i tempi, le caratteristiche, le finalità (Campanini, 2002).

 

La formazione dell’assistente sociale, centrata sulla relazione interpersonale e sulla relazione di aiuto, ricomprende infatti l’ambito di metodi e tecniche di ascolto e di valutazione dei processi sociali e sociosanitari, con uno sguardo costantemente orientato alla rete dei servizi territoriali e alla creazione di connessioni e legami significativi per migliorare le opportunità per le famiglie. Questo imprinting professionale consente all’assistente sociale di mettere in atto relazioni supportive e di rinforzo, generative di azioni e di interventi concreti, ma anche di sostegno e orientamento su servizi, opportunità normative, occasioni proposte dalle realtà informali e formali. Tanto più ricca e articolata si presenterà la realtà territoriale, quanto più sarà possibile attivare nuove relazioni, valorizzare competenze ed esperienze, innescare meccanismi virtuosi di mutuo sostegno, estendere collaborazioni. Rientra nello specifico professionale la ricerca competente di collaborazione con i soggetti attivi nel territorio, per creare preziose partnership: in questo l’assistente sociale può mettere in campo capacità e competenze di lettura non parcellizzata dei bisogni delle persone e dei loro contesti di vita, di connessione, mediazione, relazione, scambio e collegamento con soggetti diversi, di rafforzamento della coesione e della solidarietà sociale (Merlini, 2020).

 

L’importanza del lavoro di rete in ambito geriatrico

La non autosufficienza può manifestarsi in misura e modalità diverse, interessare persone anziane di varia età (più o meno avanzata), emergere all’improvviso (per un evento inatteso, quale un ictus) o svilupparsi e peggiorare nel corso di alcuni anni: in ogni caso, quando la non autosufficienza irrompe sulla scena e nella vita delle persone coinvolte provoca disorientamento, destrutturazione della situazione esistente, cambiamenti faticosi, necessità di aiuto. La demenza, in particolare, rappresenta per la famiglia un evento critico così imponente, capace di minare la vita quotidiana, l’organizzazione della rete familiare e l’equilibrio delle relazioni interne: ciò a causa delle peculiari manifestazioni tipiche della malattia e del pesante carico assistenziale e psicologico che grava sul caregiver.

 

Specie nelle famiglie di anziani con demenza, l’accesso ai servizi sociali o sociosanitari avviene spesso in modo tardivo. In un welfare familistico come quello italiano, frequentemente i familiari fronteggiano a lungo la non autosufficienza dell’anziano tramite un fai-da-te privo di punti di riferimento, con poche possibilità di orientarsi e di comprendere man mano come affrontare la situazione nel suo modificarsi. La famiglia è sostanzialmente sola e spaesata, in un percorso gravato non solo dalla malattia, ma anche da solitudine, isolamento, talvolta anche stigma e vergogna. In queste situazioni complesse, segnate da problematiche rilevanti, il lavoro di rete diventa la strategia più significativa per favorire il benessere delle persone, non sostituendosi ad esse bensì sostenendo i legami significativi e supportando – con interventi mirati – le risorse presenti e attivabili: queste vanno orientate verso soluzioni e scenari scelti dalla famiglia, opportunamente accompagnata prima nella conoscenza delle opportunità presenti nel territorio, poi nell’accesso e nell’uso di quanto disponibile.

 

Per l’assistente sociale che lavora con e per anziani, l’approccio unitario tipico della professione si caratterizza per molteplici azioni in un’ottica trifocale, rivolta cioè a tre dimensioni dell’intervento: verso la persona, per aiutarla, mantenere e valorizzare le risorse residue, sostenere (in caso di non autosufficienza) i caregiver; verso la comunità, per responsabilizzarla sul piano culturale, relazionale, di attivazione di risorse nei confronti degli anziani; verso l’organizzazione, il contesto sociopolitico e istituzionale di riferimento, per orientare, valutare, proporre risposte innovative, prima fra tutte la promozione di processi di integrazione tra servizi, tra interventi, tra professionisti e con i soggetti attivi della comunità locale, al fine di garantire unitarietà e continuità delle cure fra i diversi livelli degli interventi (domiciliare, semiresidenziale, residenziale) (Tonon Giraldo, 2022).

 

In ambito geriatrico, il concetto di rete è sempre più legato al concetto di integrazione sociosanitaria, tema ricorrente da tempo negli atti normativi – nazionali e regionali, di area sociale, sociosanitaria e sanitaria – che regolano i servizi per gli anziani fragili. Il concetto di integrazione tra servizi richiama in particolare il lavoro sulle e nelle reti secondarie, essenziale per l’esercizio del sistema di welfare a beneficio delle famiglie. Si tratta di un lavoro fondamentale, che non può prescindere da un lavoro – indispensabile – con la persona nelle sue relazioni primarie: ciò allo scopo di definire progetti integrati, calati sulla specificità di ogni situazione e coerenti con il progetto di vita della famiglia.

 

Natura e finalità dei centri diurni per anziani, nel loro sviluppo nel tempo

In Italia i primi centri diurni per anziani sono stati aperti negli anni ’80; avevano come target anziani per lo più autosufficienti, a cui venivano offerte possibilità di socializzazione e interventi di animazione; nel tempo sono aumentate le richieste per anziani con limitazioni dell’autosufficienza funzionale e/o deficit cognitivo, favorendo così l’offerta di centri che prevedessero anche interventi a carattere assistenziale e interventi a carattere sanitario, riabilitativo e infermieristico (Pesaresi, 2018).

 

 

Nell’articolo ci riferiamo, a titolo esemplificativo, al Centro Diurno Integrato (CDI) normato da Regione Lombardia. Si tratta di un servizio sociosanitario a carattere semiresidenziale destinato ad anziani non totalmente autosufficienti o ad alto rischio di perdita dell’autosufficienza, il cui declino funzionale e/o cognitivo comporta bisogni non adeguatamente gestibili al domicilio, ma non ancora tali da richiedere un ricovero stabile in una struttura residenziale. Gli obiettivi di questo servizio sono:

  • sostenere la domiciliarità, cercando di posticipare la scelta di un ricovero definitivo in RSA;
  • aiutare l’anziano a continuare a vivere nel suo ambiente di vita, tramite interventi diurni di varia natura e tipologia;
  • fornire un ambiente socializzante e protettivo, anche per il monitoraggio delle condizioni sanitarie;
  • offrire interventi sociosanitari mirati a mantenere e valorizzare le capacità residue dell’anziano, rallentare il processo di decadimento fisico e/o cognitivo, contrastare l’isolamento, favorire relazioni esterne al nucleo familiare, sostenere il caregiver.

 

Gli interventi erogabili da un CDI sono molteplici. La specifica normativa lombarda indica:

  • servizi alla persona: supporto e protezione nelle attività della vita quotidiana, nell’assunzione di cibi e bevande, nella cura e igiene della persona;
  • servizi sanitari e riabilitativi: assessment geriatrico e valutazione periodica, con conseguenti eventuali trattamenti farmacologici, medicazioni, controlli dei parametri biologici; interventi riabilitativi, occupazionali o di mantenimento delle abilità (individuali e di gruppo);
  • servizi di animazione e di socializzazione: interventi di gruppo o individuali (ad esempio giochi, attività manuali e pratiche, letture) per contenere il rallentamento psico-fisico e la tendenza all’isolamento sociale e culturale, nonché per favorire una concezione positiva della propria vita;
  • servizi di sostegno al contesto familiare o solidale: interventi di informazione ed educazione per supportare l’autonomia residua dell’anziano e le risorse assistenziali del nucleo familiare o solidale a cui appartiene e favorire l’utilizzo corretto al domicilio di presidi, ausili e procedure che adattino l’ambiente domestico al grado di non autosufficienza raggiunto.

Sono inoltre erogabili servizi di ristorazione e servizi di trasporto.

 

Questo servizio risponde quindi a variegati e differenti bisogni: sostiene il caregiver nella gestione assistenziale dell’anziano garantendo interventi diversificati e professionali, risponde ai bisogni di socializzazione di anziani che rischierebbero di trascorrere altrimenti gran parte della giornata in solitudine1(Gottardi, 2020); con il supporto del CDI, i caregiver possono continuare a esprimere il proprio ruolo di tutela, cura e mantenimento della persona anziana al domicilio, adeguatamente accompagnati e sostenuti attraverso interventi di informazione, formazione e sostegno psicologico, con un impatto positivo nella gestione del carico assistenziale, emotivo e relazionale.

 

La figura dell’assistente sociale nei centri diurni per anziani, fra vuoto normativo e opportunità

Il documento della Commissione nazionale LEA sulle prestazioni residenziali e semiresidenziali del 2007 ha proposto gli standard assistenziali minimi delle due tipologie previste (centro diurno per anziani non autosufficienti e centro diurno per persone con demenza), introducendo il concetto di assistenza globale. In sostanza la Commissione nazionale LEA ha proposto un minutaggio assistenziale minimo giornaliero per ospite, da garantire tramite un mix di figure professionali: almeno 50 minuti di assistenza globale giornaliera per ospite nei centri diurni per anziani non autosufficienti (tramite le figure di operatore socio-sanitario, infermiere, educatore/animatore), almeno 80 minuti di assistenza globale giornaliera per ospite nei centri diurni per persone con demenza (tramite le figure di operatore socio-sanitario, infermiere, psicologo). Le Regioni e Province Autonome hanno definito propri standard, in alcuni casi ampliando il minutaggio settimanale di alcune figure e introducendo nel mix altre figure professionali, quali ad esempio il fisioterapista o il terapista occupazionale; l’assistente sociale è incluso nel mix dalle regioni Campania e Sicilia (Pesaresi, 2018).

 

Riguardo al coordinamento dell’équipe e del servizio, sono interessanti le indicazioni del Gruppo Italiano Centri Diurni Alzheimer, composto da professionisti e operatori di diverso tipo (fra cui medici, infermieri, fisioterapisti, educatori professionali, psicologi, assistenti sociali, coordinatori e direttori di servizi sociosanitari) di varie regioni. Tale gruppo realizza dal 2009 convegni nazionali dedicati e ha elaborato specifiche linee di indirizzo sui Centri Diurni Alzheimer: in queste la figura dell’assistente sociale è indicata – in alternativa a un professionista sanitario – per la funzione di coordinamento dell’équipe e del servizio (Razzi, et al., 2013). Sul piano normativo, e con riferimento a tutte le tipologie di centri diurni, la Regione Campania prevede un medico direttore sanitario quale responsabile di aspetti igienico-sanitari, assistenza sanitaria e gestione dei farmaci, e un assistente sociale quale responsabile dei servizi assistenziali, sociali e di animazione; la Provincia Autonoma di Trento include l’assistente sociale fra le figure che possono rivestire le funzioni di responsabilità e coordinamento nei centri diurni, a eccezione dei centri diurni Alzheimer dove è prevista la figura dell’infermiere (Pesaresi, 2018). Lo scenario relativo all’organizzazione e alla regolazione del funzionamento dei Centri Diurni Integrati si presenta quindi estremamente eterogeneo sul territorio nazionale.

 

Lavorare con le reti primarie e secondarie, dall’accoglienza alla dimissione

Nell’esercizio della professione all’interno del CDI, l’assistente sociale, per mandato professionale e deontologico, è chiamato a prendersi carico della situazione dell’anziano con una tensione metodologica che supera il servizio effettuato nel CDI e pone la famiglia al centro di uno sguardo, volto a individuare – sulla base della conoscenza della storia di vita – le soluzioni più adatte, presenti e future, da suggerire al caregiver: ciò affinché la famiglia possa considerare consapevolmente tutti i possibili percorsi da intraprendere nella cura del proprio familiare anziano.

 

Le famiglie infatti faticano a muoversi nella rete dei servizi, conoscono solo i servizi di cui hanno sentito parlare, vivono le istituzioni pubbliche come assenti o lontane. Quando approdano ai servizi, i caregiver possono sembrare, metaforicamente, su una zattera in un mare in tempesta: occuparsi delle famiglie significa aiutarle a trasformare la zattera in una barca, che possa essere un po’ più robusta per affrontare un mare che resta comunque, il più delle volte, agitato; una barca che possa far compiere loro un viaggio meno burrascoso e, quando possibile, far trovare un po’ di sosta in un porto sicuro. Nelle situazioni di demenza, significa anche indicare un faro (l’équipe di operatori, un’associazione di familiari, un gruppo di auto mutuo aiuto per caregiver), a cui riferirsi nel buio del percorso di malattia.

 

Quando la famiglia arriva al CDI, spontaneamente o su indicazione di un medico o di un altro soggetto delle reti secondarie, le informazioni raccolte inizialmente riguardano non solo l’anziano e le sue problematiche, ma anche le relazioni tra l’anziano e il suo ambiente. La valutazione dell’assistente sociale si allarga infatti alle relazioni che l’anziano sta sperimentando con il sistema familiare o con altri soggetti significativi, alla sua storia e alle riorganizzazioni messe in atto dall’anziano e dalla famiglia in risposta alla sopraggiunta non autosufficienza. Già nella fase di primo contatto con il CDI le famiglie esprimono la necessità di informazioni e, al contempo, di orientamento e supporto: si tratta di un’occasione preziosa per l’assistente sociale, da un lato per illustrare finalità e organizzazione del servizio, dall’altro lato per comprendere, attraverso il dialogo con il caregiver, se la richiesta di inserimento è appropriata oppure se il CDI non risulta essere adatto alla situazione. In quest’ultimo caso l’incontro con la famiglia è una opportunità da trattare con molta attenzione, per informare e indirizzare i familiari ad altri servizi sul territorio, più idonei e potenzialmente più efficaci nella risposta al bisogno: il tutto attraverso un processo di conoscenza dell’esperienza in corso, di riconoscimento delle difficoltà e risorse presenti e di ri-orientamento verso possibili scenari supportivi. La valutazione di appropriatezza delle richieste di accesso al CDI, effettuata in setting multiprofessionale, risulta essere fondamentale sia per la possibilità di accoglienza presso il servizio, sia per conoscere in modo più approfondito la situazione (ad esempio riguardo ad aspettative e motivazioni che accompagnano la richiesta di accesso al CDI, al grado di consapevolezza rispetto alle condizioni di non autosufficienza dell’anziano, ai vissuti e alle prefigurazioni riguardo al futuro).

 

Il lavoro di raccordo con l’assistente sociale del Comune di residenza dell’anziano, con il MMG e con altri operatori (ad esempio di SAD o di ADI2) è fondamentale nella buona presa in carico e nella gestione di un progetto di cura integrato, anche quando altri servizi della rete (anche informali) sono già attivi nella famiglia. Questo lavoro di cura e gestione delle relazioni esterne ha inizio sin dalla fase di presentazione della richiesta, talvolta quando assistenti sociali o medici che già conoscono la famiglia segnalano al CDI l’opportunità di una presa in carico, e prosegue fino alla fase della dimissione.

 

L’assistente sociale può rivestire un ruolo centrale come “connettore” tra la famiglia dell’anziano e l’équipe del CDI e tra il CDI e il territorio circostante. Il CDI si configura come servizio sociosanitario a carattere semiresidenziale e, pertanto, i fruitori del servizio sono di norma residenti nel territorio dove è ubicato o nel territorio limitrofo. La conoscenza del territorio e delle sue risorse consente di valutare l’appropriatezza del servizio non solo con uno sguardo bifocale servizio-anziano, ma anche tenendo conto delle opportunità o alternative disponibili, nell’interazione con i servizi sociali Comunali e con servizi e interventi attivabili dagli Ambiti Territoriali Sociali e dai Distretti Socio Sanitari: all’assistenza dell’anziano per cui si chiede l’inserimento in un CDI potrebbero infatti concorrere altri servizi e risorse del territorio. In assenza di interventi assistenziali già attivi, per la sua conoscenza della rete territoriale l’assistente sociale può indirizzare il caregiver ad altri servizi: può ad esempio concordare con la famiglia un contatto con il servizio sociale del Comune di residenza, per l’attivazione di un servizio domiciliare o di trasporto.

 

Per l’assistente sociale che opera in un CDI, oltre al lavoro con le reti secondarie formali risulta straordinariamente prezioso il lavoro con i soggetti informali del territorio tra cui, a titolo di esempio, i circoli di quartiere, le associazioni di volontariato, la parrocchia di riferimento, il portiere del palazzo ove risiede la persona, i negozianti (panettiere, barista, farmacista, ecc.). Il coinvolgimento di questi soggetti nei progetti di presa in carico degli anziani fragili consente di dare continuità al processo delle relazioni primarie dell’anziano, anche in termini di sicurezza e di maggiore monitoraggio. Poter collaborare con attività legate al servizio ma realizzate con i soggetti informali che hanno caratterizzato l’esperienza di vita della persona, oltre a offrire più opportunità di socializzazione, consente di continuare a mantenere l’identità sociale dell’anziano all’interno del contesto abitativo di appartenenza. Significative sono le esperienze realizzate con questa finalità, generative di idee e di legami positivi per la comunità intera.

 

Questa funzione assume piena centralità per l’assistente sociale che ricopre anche il ruolo di coordinatore del CDI. In questi casi, oltre alle funzioni di management organizzativo proprie della gestione di un servizio sociosanitario3, per l’assistente sociale coordinatore promuovere uno stretto collegamento con la rete dei servizi territoriali e con il contesto comunitario più ampio (associazionismo e volontariato, parrocchie, ecc.) diventa una linea mirata strategica di management il cui obiettivo è mettere a disposizione della comunità intera e delle persone anziane un servizio connesso alle realtà che hanno caratterizzato la loro vita, un servizio aperto alle interazioni sociali con il contesto territoriale e pronto ad essere di supporto e sostegno a chi è chiamato a vivere l’esperienza della fragilità e della non autosufficienza.

 

Quando le condizioni dell’anziano o del caregiver non consentono più un’appropriata frequenza, l’assistente sociale è chiamato ad accompagnare i familiari alla dimissione dal CDI. Il lavoro di rete risulta funzionale e proficuo anche in questa fase, in cui è necessario farsi carico dell’orientamento e supporto alla famiglia verso altre soluzioni appropriate e sostenibili, favorendo il passaggio a un altro servizio della rete sociosanitaria o l’attivazione di servizi e risorse della rete sociosanitaria e sociale necessarie per un altro tipo di assistenza. Il momento della dimissione dal CDI rappresenta un evento delicato nella storia del percorso assistenziale e nel rapporto con la famiglia. Ogni situazione va affiancata e orientata secondo specificità definite dalla famiglia, dall’anziano e dai suoi bisogni, dalle offerte del territorio locale e dalle opportunità messe a disposizione dalla normativa. Si tratta pertanto di realizzare un progetto specifico chiamato a definire, in collaborazione con anziano e caregiver, i bisogni attuali a cui garantire una risposta e i desideri per il nuovo percorso di vita dell’anziano. Alla famiglia va proposto un affiancamento nella definizione e realizzazione del nuovo progetto assistenziale, realizzando un percorso di continuità assistenziale verso una struttura residenziale (attraverso passaggi di consegna e contatti supportivi) o verso un’assistenza domiciliare (informando sui servizi e sugli interventi disponibili nel territorio di residenza e mediando i contatti per le attivazioni), a seconda delle condizioni di non autosufficienza attuali e delle scelte familiari.

Note

  1. Il rischio di isolamento sociale aumenta infatti all’avanzare dell’età, essendo determinato e amplificato da fattori oggettivi che si esprimono e intensificano nel processo di invecchiamento: riduzione di autosufficienza, minori possibilità di movimento, perdita (per morte o malattia grave) di persone di riferimento significative, conseguente riduzione della rete familiare o amicale di relazione e di supporto; questi fattori possono risultare aggravati da limiti o condizionamenti ambientali, notevole lontananza dalla residenza dei figli, scarsa presenza di servizi di prossimità e di sostegno, condizioni economiche difficili.
  2. In Lombardia, l’esercizio e l’accreditamento delle cure domiciliari, già erogate attraverso l’Unità d’Offerta ADI, sono stati ridefiniti sull’Unità d’Offerta C-DOM (DGR Regione Lombardia XI/6867 del 2/8/2022).
  3. Coordinamento del personale, garanzia di presenza dello standard gestionale previsto dalla normativa regionale, pianificazione di turni e attività, garanzia e monitoraggio della qualità, gestione del debito informativo e dei rapporti con l’azienda sanitaria territoriale di riferimento e la Regione, ecc.

Bibliografia

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Consiglio Nazionale Ordine Assistenti Sociali (2020), Codice deontologico dell’assistente sociale.

Gottardi F. (2020), Abbiamo risposte alla solitudine?, in I luoghi della cura, n. 3.

Gruppo Anziani – Ordine Assistenti Sociali Lombardia (2022), L’assistente sociale nei servizi per anziani e per anziani con demenza. Percorsi di ruolo, riflessioni e strumenti a partire dall’esperienza, Quaderni dell’Ordine.

Merlini F. (2020), Responsabilità dell’assistente sociale verso la società, in Filippini S., a cura di, Nuovo Codice Deontologico dell’assistente sociale: le responsabilità professionali, Carocci Faber.

Ministero della Salute – Progetto Mattoni SSN (2007), Relazione finale (Mattone 12 – Prestazioni residenziali e semiresidenziali).

Pesaresi F. (2018), Manuale del centro diurno. Anziani non autosufficienti e anziani affetti da demenza, Maggioli.

Razzi E., Caleri V., Calvani D., Nesti N. (2013), Requisiti di personale, in Gruppo Italiano Centri Diurni Alzheimer, Linee di indirizzo per i Centri Diurni Alzheimer, 4° convegno nazionale sui Centri Diurni Alzheimer, Pistoia.

Tonon Giraldo S. (2022), Servizio sociale e anziani, in Campanini A.M., a cura di, Nuovo dizionario di servizio sociale, Carocci Faber.

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