Come è noto, le esigenze della persona con demenza comportano un lavoro di cura costante e crescente, che coinvolge innanzitutto i familiari e quindi le assistenti familiari e che può avvalersi, per alcuni aspetti, di servizi presenti sul territorio, fin dalla fase di esordio della malattia. Attraverso la realizzazione di un sistema organico di servizi sociosanitari e promuovendo il mantenimento degli anziani nel proprio contesto abitativo, familiare e sociale, la Regione Emilia-Romagna intende sostenere i cittadini ultrasessantacinquenni (quasi il 24% della popolazione), sia in buona salute che non autosufficienti, nel trovare risposte adeguate alle loro esigenze.
Le indicazioni Regionali
Il Piano Attuativo Regionale (PAR) per la popolazione anziana è la principale sede regionale di confronto e di dialogo tra istituzioni, organizzazioni sindacali dei pensionati e rappresentanti del terzo settore; ha l’obiettivo di elaborare progettualità condivise e partecipate, in risposta ai molteplici bisogni della popolazione anziana. Nell’ottica del rafforzamento dei servizi, il PAR rappresenta uno strumento integrato dedicato alla trattazione multidisciplinare e integrata delle tematiche concernenti l’età anziana, finalizzato a intervenire in modo propositivo nel predisporre attività, interventi e programmi in favore degli over 65, realizzando così “una società per tutte le età”. Fra gli obiettivi strategici del PAR rientrano rafforzare le cure territoriali primarie e intermedie, potenziare gli interventi di promozione della domiciliarità, potenziare le attività di sostegno del caregiver, rafforzare i servizi sociali e sanitari territoriali, qualificare il sistema dei servizi residenziali e semiresidenziali.
Riguardo in particolare alla demenza, con la DGR 990/2016 la Regione Emilia-Romagna ha recepito il Piano Nazionale Demenze – approvato nel 2014 dalla Conferenza Unificata Stato-Regioni come cornice di riferimento unitaria per successivi Piani Regionali Demenze più specifici e operativi – e nel contempo aggiornato il Progetto Regionale Demenze precedentemente approvato (DGR 2581/1999), grazie al quale era stata sviluppata negli anni una rete di servizi e interventi dedicati, con l’ottica di garantire opportunità per le persone e le famiglie con demenza su tutto il territorio regionale.
Uno sguardo ad alcuni servizi di Bologna
L’avvicinamento alla rete dei servizi cittadini può avvenire tramite gli Sportelli sociali, che costituiscono la porta di accesso ai servizi sociali e socio-sanitari del territorio. Presenti nei diversi quartieri (Borgo Panigale-Reno, Navile, Porto-Saragozza, San Donato-San Vitale, Santo Stefano, Savena), gli Sportelli sociali offrono informazioni sui servizi sociali e socio-sanitari e sulle risorse presenti nel territorio che possono essere utili per affrontare le esigenze personali e familiari nelle diverse fasi della vita, oltre che – in caso di necessità – accesso alla presa in carico da parte del Servizio sociale professionale.
Facendo riferimento alla normativa Regionale riguardo al caregiver familiare (LR 2/2014 “Norme per il riconoscimento e il sostegno del caregiver familiare”, DGR 858/2017, DGR 2318/2019, DGR 15465/2020), il Comune di Bologna ha approvato, con Delibera di Giunta Comunale 73865/2021, un progetto specifico rivolto ai caregiver familiari: questo si sostanzia in uno sportello telefonico di informazione, orientamento, consulenza (su modalità di accesso a servizi, attività, prestazioni erogati da soggetti pubblici o privati, su opportunità e risorse di assistenza e supporto, su gestione di pratiche INPS o altre pratiche amministrativo-burocratiche) e in interventi assistenziali di sollievo e supporto (cura della persona, interventi educativi, supporto relazionale, riattivazione motoria). Tutti i servizi offerti sono gratuiti; unico requisito di accesso è la residenza a Bologna (del caregiver o dell’assistito); la procedura di accesso è estremamente semplice: viene richiesta solo la compilazione on line di un modulo, definito “autodichiarazione del caregiver”.
Un servizio specifico è rappresentato dal Café Alzheimer, luogo di incontro che si colloca all’interno della rete di servizi di presa in carico di persone con deterioramento cognitivo lieve o moderato. Si tratta di un luogo sicuro dove poter trovare ascolto e conforto, relazioni sociali che contrastino il vissuto di isolamento e solitudine e lo stigma, riconoscimento e accettazione nonostante la malattia, condivisione con chi vive un’analoga esperienza e sostegno reciproco, possibilità di confronto con professionisti esperti, conoscenze e strategie per affrontare e gestire meglio la malattia nel suo divenire. Un luogo dove ai malati vengono proposte attività di vario tipo (stimolazione cognitiva, intrattenimento ludico-socializzante, attività motorie, laboratori, ecc.) e dove i caregiver possono attingere energia e risorse per poter continuare a svolgere il proprio ruolo con maggiore serenità. A Bologna sono attivi 8 Alzheimer Café, metà gestiti dall’ASP Città di Bologna e metà gestiti da associazioni.
Una ricerca sul campo
La ricerca si è svolta presso alcuni servizi gestiti dall’ASP Città di Bologna, rivolti a malati in fase iniziale o moderata di malattia: due Café Alzheimer e un Centro d’incontro; complessivamente gli anziani in carico a questi servizi sono 24 (16 F e 8 M). Ognuna di queste realtà è attiva un mattino o un pomeriggio a settimana; l’accesso può avvenire tramite segnalazione del servizio sociale o del centro per i disturbi cognitivi e le demenze oppure per iniziativa personale.
Il Centro d’incontro si ispira al modello dei Meeting Center olandesi; intende operare in un’ottica preventiva, anticipando il disagio e la crisi del nucleo familiare, accompagnando un percorso di accettazione della malattia e di riadattamento dello stile di vita. Fornisce ascolto e sostegno nella delicata fase post-diagnosi, valutazione e orientamento verso l’inserimento nel Centro d’incontro o in altri servizi presenti sul territorio. È un servizio innovativo, gestito dall’ASP Città di Bologna in collaborazione con il Comune di Bologna, l’AUSL e l’Azienda Ospedaliera, l’Università di Bologna (Dipartimento di Psicologia), ARAD Associazione di Ricerca e Assistenza delle Demenze e l’associazione “Non perdiamo la testa”, che da anni operano sul territorio a sostegno delle persone affette dalla malattia di Alzheimer e dei loro familiari.
La ricerca si è avvalsa di osservazione partecipante (sia all’interno dei gruppi dei familiari, che all’interno dei gruppi degli anziani con demenza) e di interviste semi-strutturate somministrate a caregiver e a operatori. Complessivamente sono state effettuate 24 interviste a caregiver (17 F e 7 M, età fra 30 e 92 anni) e 9 interviste a operatori (coordinatrice responsabile, educatrice referente tecnica, psicologi dei gruppi di supporto per familiari, psicologi e operatori impegnati nelle attività dei gruppi di anziani).
Il punto di vista dei caregiver
Fin dall’esordio della malattia, prendersi cura di una persona con significativi problemi di memoria e di decadimento cognitivo può risultare piuttosto difficile; non solo la persona interessata, ma anche i suoi familiari si trovano a dover affrontare sfide molto complesse, legate all’accettazione della malattia e all’adattamento al cambiamento in atto. Nella fase iniziale del percorso di caregiving è ricorrente un vissuto di spaesamento; i caregiver intervistati riferiscono di rapporti faticosi con i servizi di diagnosi e cura, di indicazioni che vengono fornite se richieste, di tempi lunghissimi, di tanti referenti e iter non facili.
Nella maggior parte dei casi il suggerimento di inserirsi presso il Café Alzheimer è venuto dal medico di medicina generale o dal geriatra; altre indicazioni sono state fornite dall’assistente sociale del quartiere di residenza, laddove l’anziano è già in carico al servizio sociale professionale. In linea di massima, gli operatori che entrano in contatto con una famiglia in fase iniziale di fronteggiamento della malattia consigliano gli Alzheimer Café e non altri servizi o risorse presenti sul territorio: questo perché il Café viene considerato una sorta di “filtro informale”, un contesto amichevole che non provoca paura o riluttanza, attraverso cui anziani con demenza e familiari possono essere affiancati in una fase iniziale di adattamento alla malattia, osservati e ascoltati in rapporto ai loro bisogni specifici, per poi essere indirizzati – se necessario – verso servizi più strutturati.
Alla richiesta di esprimere un’opinione sul servizio di cui usufruiscono, le risposte sono state sempre positive: il Café Alzheimer e il Centro d’incontro sono percepiti come ambienti familiari e accoglienti, in cui è piacevole portare il proprio caro e in cui si trova un supporto importante per sé; ci si sente liberi di sfogarsi e di esprimere i propri pensieri e le proprie emozioni, non ci si sente soli ma confortati da altre persone che vivono la stessa situazione, ci si confronta con altri e con le loro esperienze, si ricevono dai professionisti suggerimenti fondamentali, che aiutano a cambiare il modo di vedere e di gestire la malattia.
Tuttavia, spesso emerge la necessità di maggiore supporto, tramite incontri di gruppo dei familiari condotti dallo psicologo – attualmente quindicinali – più frequenti o tramite frequenze plurisettimanali del servizio da parte dell’anziano. Per i caregiver che lavorano, è emersa l’esigenza di un supporto per gli accompagnamenti al servizio.
Talvolta i caregiver sono a conoscenza di opportunità che non utilizzano o che rimandano, per vissuti e prefigurazioni legati alla loro attivazione e per non compromettere l’equilibrio, sia pure precario, della situazione in essere; è emerso l’orientamento a preservare l’anziano da controlli e iter burocratico-amministrativi e a farlo sentire ancora protagonista attivo della propria vita. Fra gli intervistati, solo due caregiver (figli) usufruiscono di quanto previsto dalla legge 104/1992.
La disinformazione – sia sulla malattia, che sugli aiuti economici e sui servizi disponibili nel territorio – è piuttosto diffusa: in diverse interviste il caregiver ha palesato una conoscenza sommaria della malattia e una conoscenza scarsa o poco approfondita di diritti e possibilità di aiuto, esprimendo talvolta la richiesta di spiegazioni specifiche (ad esempio, su cosa sia un centro diurno e come funzioni).
Riguardo all’evoluzione della malattia, un numero ristretto di intervistati ha deciso l’inserimento dell’anziano in un centro diurno, per alcune ore del giorno durante la settimana, rendendosi conto che – nonostante il senso di vuoto provato inizialmente – ciò avrebbe contribuito ad alleviare lo stress e a garantire loro maggiore tempo libero; altri invece non escludono quest’opzione in un futuro prossimo, mentre solo un caregiver ha optato per una RSA. Nelle interviste è emerso più volte il tema della fatica a richiedere aiuto, per paura, vergogna, senso di colpa, sensazione di non prendersi abbastanza cura del familiare o fatica a delegare il prendersi cura del proprio caro.
I caregiver visti dagli operatori
Le interviste rivolte alle figure professionali hanno fatto emergere, fra l’altro, la visione dei caregiver da parte degli operatori. Comune denominatore alle narrazioni raccolte è la consapevolezza che la demenza è una malattia che colpisce l’intero nucleo familiare e che comporta un carico di cura molto elevato.
Sensazione diffusa fra gli operatori intervistati è che le famiglie arrivino al servizio quando sono già molto affaticate, al limite dello stress dovuto al carico di cura. Sempre più spesso le famiglie arrivano quando la malattia non è più all’esordio: la difficoltà nel chiedere aiuto, la paura di sembrare inadempienti o negligenti, la convinzione di potercela fare da soli, le carenze nella consapevolezza sulla malattia e nella conoscenza dei servizi producono un ritardo che fa sì che la demenza si trovi in uno stadio più avanzato; di conseguenza, ai Café Alzheimer arrivano famiglie che passano rapidamente a un servizio diverso, maggiormente strutturato e specializzato.
La triade anziano-caregiver-servizio
Nonostante il caregiving abbia aspetti gratificanti, come il mantenimento della continuità affettiva e della vicinanza con la persona cara ammalata, molto spesso impone richieste e costi elevati: prendersi cura di un membro della famiglia affetto da deterioramento cognitivo è stressante e gravoso e può portare a ripercussioni negative sulla salute fisica ed emotiva del caregiver, a stress cronico, sentimenti di burden, depressione, oltre che a compromissione della vita sociale e isolamento della diade malato-caregiver.
La ricerca svolta sul campo ha evidenziato come la maggior parte dei familiari si trovi in difficoltà e necessiti di supporti strumentali e psicosociali nell’affrontare le varie problematiche legate al cambiamento imposto dal nuovo ruolo assunto: assistenza del proprio caro nella quotidianità, gestione dei sintomi comportamentali e psicologici legati alla malattia, accettazione dei mutamenti strutturali e delle ripercussioni emotive e materiali, fatica fisica e mentale, rischio di annullamento delle proprie esigenze e priorità.
Dopo la diagnosi di demenza, quando si entra nel circuito dell’assistenza si viene a creare una triade composta da anziano malato, familiare e servizi: se il familiare si sente supportato, inevitabilmente migliorano l’umore e il rapporto con il malato, con un circolo virtuoso che riduce tensione relazionale e stress, ansia, depressione del caregiver. L’alleggerimento dell’enorme peso che grava sui caregiver si può ottenere solo con un vero e proprio gioco di squadra di tutti i soggetti coinvolti: per far questo è necessario raggiungere un’armonia, un corretto equilibrio e coordinamento tra le parti in gioco.
Risulta perciò imprescindibile lavorare in relazione alla triade, composta da anziano, caregiver e servizio, affinché gli obiettivi possano essere sostenibili, raggiungibili, efficaci ed efficienti. Si tratta di un lavoro di squadra dove risulta indispensabile la valorizzazione e il sostegno del caregiver, che si riflette direttamente in maniera positiva, oltre che sui servizi stessi, anche nel rapporto malato-caregiver.