1 Giugno 2010 | Programmazione e governance

L’anziano al Pronto Soccorso: problemi e possibili soluzioni

L’anziano al Pronto Soccorso: problemi e possibili soluzioni

L’anziano è tradizionalmente visto come un paziente che, per la cronicità della sua patologia, riveste scarsa importanza per la Medicina d’Urgenza. Tuttavia, la letteratura dimostra che gli anziani rappresentano una percentuale rilevante degli utenti del Pronto Soccorso (PS) (McCaig e Burt, 2004;Shah et al.,2001) e che sono caratterizzati da un elevato grado di complessità ed urgenza medica (Nawar et al., 2007), una più lunga permanenza in PS, un cospicuo consumo di risorse per l’elevato impiego di esami diagnostici radiologici e laboratoristici (Beland et al., 1991), e frequenti visite di ritorno (McCusker et al., 2001). Una revisione di 14 studi prospettici ha mostrato che, dopo una visita al PS, circa il 10% degli anziani muore e il 24% fa nuovamente ricorso all’ospedale entro tre mesi, mentre la dipendenza funzionale aumenta nel 10-44% dei pazienti (Aminzadeh e Dalziel, 2002).

 

L’accesso al PS è, dunque, un marcatore, ma probabilmente anche una concausa, di una grave destabilizzazione clinica del paziente anziano. Se alla base del sempre più frequente ricorso al PS da parte degli anziani sta, in tutte le popolazioni occidentali, la progressiva espansione della popolazione anziana, con il suo carico di comorbosità ed il rischio di scompenso acuto (Richardson, 2003), il ricorso all’ospedale è tanto maggiore in quei Paesi, come gli USA, nei quali non esiste un sistema universale di cure primarie, paragonabile a quello che contraddistingue gran parte dei Paesi europei. Lì dove viene a mancare il filtro delle cure primarie, lo scompenso diventa facilmente emergenza e impone il ricorso alle cure ospedaliere. Sebbene gli anziani vi stiano esercitando una pressione crescente, il PS non è costruito sulla base delle loro esigenze, né ha modalità operative ad esse adeguate.

 

Non deve sfuggire che aspetti logistici, e la stessa architettura di questo servizio, sono potenzialmente inadatti all’anziano:

  • Il PS è invariabilmente al piano terra ed è spesso privo di finestre, così che l’illuminazione è prevalentemente artificiale, cosa che favorisce il disorientamento spazio-temporale.
  • Gli spazi sono organizzati per accelerare valutazione e turnover dei pazienti, a discapito della privacy.
  • Talvolta i pazienti passano molte ore sdraiati su barelle strette e rigide con materassini sottili, con evidente rischio di insorgenza di ulcere da pressione.
  • I pavimenti in linoleum sono facili da pulire, ma anche scivolosi, e rappresentano così un pericolo per l’anziano con andatura instabile.
  • Infine, il rumore pressoché costante, provocato da allarmi dei monitor, annunci vari, voci del personale, di altri pazienti e degli accompagnatori, è un ulteriore elemento che contribuisce al disorientamento spaziotemporale (Hwang e Morrison, 2007).

 

Il PS non è un ambiente favorevole agli anziani anche dal punto di vista degli operatori: gli stessi medici che vi lavorano ammettono di sentirsi frequentemente inadeguati nei confronti di tale tipologia di pazienti. Un campione di oltre 400 medici di PS del New England, ai quali era stato sottoposto un questionario sulla loro attività ed attitudine nei confronti dei pazienti, sovrastimava nettamente la percentuale degli ultrasessantacinquenni tra i propri pazienti (39.4% dichiarato, rispetto a valori effettivi compresi tra l’11.6 e il 23%). Il grado di sicurezza percepita nel trattare pazienti in diverse fasce di età, espresso in una scala da 1 (per niente sicuri) a 10 (nessun problema), era inferiore di fronte a pazienti anziani (valore medio 7.5) che per gli adulti (8.5). Infine, quasi l’80% dei medici riteneva utile una maggiore formazione in senso geriatrico durante la specializzazione in Medicina d’Urgenza.

 

I fattori che, secondo gli intervistati, rendono gravosa la cura dell’anziano sono i maggiori tempi richiesti, la presenza di problemi non medici non coperti dall’assicurazione e le difficoltà comunicative (Schumacher et al.,2006). Molti studi indicano che un atteggiamento discriminatorio, se non addirittura pregiudizialmente ostile, nei confronti dell’anziano, definito ageism, orienta comportamenti clinici e scelte terapeutiche in ospedale e anche al PS, a prescindere da considerazioni di efficacia, sicurezza ed eticità. In uno studio retrospettivo statunitense su oltre 2000 pazienti con infarto miocardico in fase acuta, al crescere dell’età (da <50 fino a 90+ anni) si riduceva la percentuale di pazienti che ricevevano farmaci di assoluta efficacia (aspirina e β-bloccanti); addirittura, i pazienti ultranovantenni venivano sottoposti a riperfusione coronarica quattro volte meno spesso di quelli di età <50 anni (Magid et al.,2005).

 

Risultati molto simili sono stati osservati nello studio AMIFlorence, registro dell’infarto miocardico acuto nell’area fiorentina, che ha identificato nella comorbosità associata all’età avanzata un importante fattore di discriminazione per l’applicazione della riperfusione coronarica (Balzi et al., 2006a). Questo risultato appare paradossale quando si consideri che, nello stesso studio, erano proprio i pazienti con un maggior livello di comorbosità a giovarsi maggiormente, in termini di sopravvivenza ad un anno, dell’applicazione dell’angioplastica primaria (Balzi et al., 2006b).La discriminazione sembrava incominciare già in fase pre-ospedaliera, in quanto meno spesso gli anziani venivano indirizzati ad ospedali dotati di tecnologie e competenze per procedure interventistiche coronariche, ma – come già detto – proseguiva in PS, dove il ricorso all’angioplastica diminuiva progressivamente al crescere dell’età (Balzi et al., 2008).

 

La valutazione del paziente anziano

Se ci chiediamo quali siano i fattori che rendono così problematico, per il personale del PS, gestire in modo adeguato i pazienti anziani, non sarà difficile individuarli nelle caratteristiche tipiche dell’anziano, che possono provocare ansia e incertezza in professionisti senza specifiche esperienze e competenze geriatriche: fragilità, comorbosità, presentazioni cliniche spesso atipiche, deficit cognitivi e, più in genere, difficoltà a riferire i propri sintomi.

 

Presentazioni cliniche atipiche

Le malattie si presentano spesso nell’anziano con quadri clinici meno caratteristici che nel giovane. A titolo esemplificativo, consideriamo l’infarto miocardico in fase acuta. In uno studio italiano, svoltosi tra il 1999 e il 2003 tra gli ultrasettantacinquenni con infarto, fino al 50% non presentava il sintomo classico di dolore toracico, mentre erano frequenti la dispnea (30%) e sintomi neurologici (25%): probabilmente a causa di tale atipia, l’intervallo tra esordio dei sintomi e arrivo in PS era più lungo rispetto al giovane adulto (9,0 vs. 4,5 ore) (Corsini et al., 2006).

 

• Comorbosità

La comorbosità, cioè “l’esistenza o la comparsa di ogni distinta entità clinica aggiuntiva durante il decorso di una specifica malattia (malattia indice) per la quale il paziente sia seguito”, è particolarmente frequente nell’anziano (Yates, 2001).Inquadramento diagnostico e successive decisioni terapeutiche sono comprensibilmente più complessi in anziani con un grado elevato di comorbosità, al punto che la causa determinante il ricorso a cure ospedaliere può essere difficilmente identificata. Uno studio su 116 molto anziani (età media 86 anni) che, al termine di un ricovero ospedaliero, venivano dimessi con diagnosi finale di scompenso cardiaco, ha descritto come le manifestazioni cliniche iniziali fossero state quelle tipiche dello scompenso in una minoranza di casi, con prevalenza di quelle di patologie associate (ad esempio, respiratorie), di sintomi neurologici (confusione mentale) o, più spesso, di un aspecifico peggioramento dello stato funzionale (Lien et al.,2002).

 

Un altro esempio è fornito da uno studio condotto a Barcellona durante l’epidemia influenzale del 1999-2000, nel quale sono stati arruolati 136 pazienti che si presentavano al PS per sintomi tipici di sindrome influenzale, o esacerbazione di una precedente malattia cronica (respiratoria o di altra natura), o brusca insorgenza di sintomi come dispnea, delirium, sincope, vomito o incontinenza urinaria. In tutti i casi, veniva ricercato il virus influenzale nelle vie aeree. Dei 99 pazienti che albergavano il virus, quelli più anziani e con comorbosità più grave non presentavano i sintomi caratteristici della sindrome influenzale, spesso non erano vaccinati e sviluppavano complicanze che richiedevano il ricovero (Monmany et al.,2004).

 

Polifarmacoterapia

I pazienti anziani assumono più farmaci contemporaneamente della popolazione generale (Hohl et al., 2001), condizione denominata polifarmacoterapia. La letteratura documenta che la polifarmacoterapia è gravata da alcune conseguenze importanti durante un accesso al PS:

  • Gli anziani frequentemente non sono in grado di riferire correttamente tutti i farmaci che assumono, il dosaggio e le rispettive indicazioni (Chung e Bartfield, 2002);
  • Al PS, farmaci vengono aggiunti al regime esistente in più del 40% dei casi e, secondo alcuni autori, con scarsa attenzione a interazioni potenzialmente avverse (Beers et al.,1990). Secondo uno studio del 2006, dal 6 al 10% dei pazienti anziani al PS riceve una prescrizione di farmaci che, secondo criteri comunemente accettati (Terrell et al., 2006), sono inappropriati;
  • Gli anziani sono a maggior rischio di reazioni avverse da farmaci, che si stima, addirittura, costituiscano il motivo di circa il 10% delle visite al PS, e di interazioni farmacologiche (Hohl et al.,2001). Al PS sono diagnosticate soprattutto le reazioni avverse di maggiore entità, mentre quelle più lievi spesso non vengono riconosciute (Hohl et al.,2005).

 

Decadimento cognitivo

Se la prevalenza di demenza negli ultrasessantacinquenni è del 6-8%, maggiore nel sesso femminile e progressivamente più elevata con l’età (The Italian Longitudinal Study on Aging Working Group, 1997), quasi il 10% degli anziani al PS presenta uno stato confusionale acuto (delirium), condizione spesso determinata da motivi internistici e, per sua definizione, potenzialmente reversibile (Meagher et al.,2008). Nel PS la distinzione tra delirium e demenza può risultare particolarmente difficile: il delirium viene diagnosticato al PS solo nel 35% dei casi e la mancata diagnosi rende impossibile l’identificazione, e l’eventuale rimozione, della causa scatenante (Elie et al., 2000). La presenza di delirium è un fattore predittivo indipendente di morte durante l’ospedalizzazione successiva alla visita al PS (Drame et al., 2008).

 

Difficoltà comunicazionali

L’anziano può avere difficoltà a comunicare con il personale sanitario, per motivi di ordine sensoriale (ipoacusia o afasia) o cognitivo (demenza o delirium). Gli effetti di queste limitazioni si fanno maggiormente sentire quando manca un accompagnatore, situazione particolarmente frequente per i pazienti provenienti da Residenze Sanitarie Assistenziali. Paradossalmente, anche l’eccesso di informazioni – il paziente che arriva al PS con una gran mole di documentazione clinica, in genere ancora una volta per la presenza di grave comorbosità può creare difficoltà e imbarazzo ai medici.

 

Pronto soccorso (e ospedale) a misura di anziano

Un PS concepito per risolvere nel minor tempo possibile l’urgenza o emergenza medica in atto può non soddisfare le molteplici esigenze del paziente anziano. È stata da più parti proposta la creazione di centri di PS geriatrici, analogamente ai modelli pediatrici e traumatologici già esistenti, ed alcuni esperimenti sono stati realizzati (ad esempio la Geriatric Emergency Room a Nassau, Long Island, USA), ma l’effettiva utilità di questi servizi è dubbia. Inoltre, questo modello difficilmente può essere applicato in ospedali piccoli e periferici. Una proposta più realistica è quella di una maggiore collaborazione tra personale del PS e geriatri per creare o riadattare nuovi modelli gestionali, grazie ai quali la permanenza dei pazienti anziani al PS ed i possibili rischi connessi ad un’attesa troppo lunga siano minimizzati, vengano messi in atto interventi diagnostici e terapeutici realmente appropriati, sia favorita la precoce dimissione dei pazienti che non richiedono il ricovero e siano rapidamente individuati quelli che devono essere affidati alle Unità Geriatriche per Acuti, rispetto a coloro che possono invece essere ricoverati in tradizionali Unità di Medicina Interna.

 

Le Unità Geriatriche per Acuti sono dirette da un geriatria e si ispirano ad un principio di collaborazione interdisciplinare tra figure professionali diverse (medici, infermieri e fisioterapisti). Mettono in atto una Valutazione Geriatrica Multidimensionale (VMD) di tutti i disturbi del paziente, la prevenzione delle complicanze e delle patologie iatrogene, la mobilizzazione e riabilitazione precoce e l’elaborazione di un piano di dimissione in collaborazione con i caregiver.

 

Studi randomizzati di confronto con Unità di Medicina Interna dimostrano che anziani selezionati per caratteristiche di maggiore fragilità, ricoverati in Unità Geriatrica per Acuti hanno una mortalità più bassa a tre, sei e dodici mesi (Saltvedt et al., 2002), tempi di degenza più brevi, meno ricoveri di ritorno a un anno e spese sanitarie più contenute (Jayadevappa et al.,2006). Si può pertanto auspicare una più rapida ed efficace selezione dei pazienti anziani che, dopo un accesso al PS, necessitano di ricovero in Unità Geriatriche per Acuti. I tradizionali sistemi di triage non consentono di rispondere a questa esigenza. Tra i più aggiornati algoritmi di triage, l’Emergency Severity Index è stato validato in un campione di oltre mille pazienti ultrasessantacinquenni (Baumann e Strout, 2007).

 

Ciononostante, esso non tiene conto delle specifiche caratteristiche del paziente anziano per avviarlo ad un percorso differenziato: il suo scopo, infatti, è quello di permettere ad un infermiere specializzato di attribuire a ciascun paziente un codice di priorità, indipendentemente dall’età (Gilboy et al.,2005). Dato che il paziente anziano spesso presenta più patologie, e di solito richiede tempi di accertamento più lunghi, un modello organizzativo molto utile potrebbe essere quello delle Unità di Osservazione, reparti a degenza breve (fino a 24 ore) all’interno del PS, che permettono sia l’osservazione dell’evoluzione clinica che l’attuazione di esami laboratoristici e strumentali e trattamenti urgenti, evitando così degenze più prolungate. Nel corso della degenza nell’Unità di Osservazione è, inoltre, possibile applicare procedure di VMD.

 

Vari studi dimostrano che un approccio basato sulla VMD permette una riduzione della mortalità, dell’istituzionalizzazione e del declino delle capacità funzionali e cognitive dell’anziano e, secondo alcuni autori, anche il PS potrebbe essere un luogo idoneo alla sua applicazione (Rubenstein, 1996). Al fine di consentire un’applicazione rapida della VMD al PS, sono stati messi a punto diversi strumenti, alcuni dei quali validati anche in studi randomizzati: l’Identification of Seniors at Risk (ISAR) (McCusker et al., 1997)e il Triage Risk Screening Tool (TRST) (Meldon et al., 2003), riportati rispettivamente in Tabella 1 e Tabella 2. L’ISAR è stato ideato in Quebec nel 1999 e validato anche in una versione italiana (Salvi et al., 2009). Due o più risposte positive implicano:

  • un aumentato rischio di mortalità, di ricovero in istituto e di declino delle capacità funzionali (McCusker et al., 1997; Salvi et al., 2009);
  • un’aumentata probabilità di nuova visita al PS od ospedalizzazione nei sei mesi successivi (McCusker et al., 2000a; Salvi et al., 2009;McCusker et al.,2000b);
  • un’associazione con una significativa compromissione funzionale e/o uno stato depressivo grave al momento della visita indice al PS, a cui segue un rischio elevato di sindrome depressiva nei quattro mesi successivi ed un eccessivo utilizzo dei servizi sanitari nei cinque mesi successivi (Dendukuri et al.,2004).

 

Il TRST, sviluppato negli Stati Uniti, si considera positivo quando il paziente presenta deficit cognitivi o due o più dei rimanenti fattori di rischio. Predice il rischio di nuova visita al PS, ospedalizzazione e ricovero in casa di cura a uno e quattro mesi (Meldon et al., 2003; Mion et al., 2008). Per quanto questi strumenti si siano dimostrati validi, di semplice utilizzo, non hanno trovato una loro ampia applicazione in ambito di PS perché comunque richiedono una certa disponibilità di tempo, difficile da trovare nella frenetica attività di quel servizio. È interessante osservare che, di recente, è stata dimostrata la possibilità di un’iniziale stratificazione prognostica degli anziani che afferiscono al PS per motivi medici, basata su soli dati amministrativi, che si traduce nell’assegnazione di un punteggio di rischio, denominato “Codice Argento”.

 

Mediante questo approccio, le informazioni contenute in archivi informatizzati che ospedali e Aziende Sanitarie Locali utilizzano per loro attività gestionali e amministrative possono essere utilizzate per identificare, sin dal loro affacciarsi al PS, i soggetti anziani bisognosi di percorsi diagnostico-terapeutici differenziati. Mediante il Codice Argento, è stato inoltre confermato che in anziani definiti ad alto rischio, l’assegnazione ad una Unità di Geriatria per Acuti comporta una migliore sopravvivenza a distanza, rispetto ai pazienti ricoverati in Medicina Interna (Di Bari et al.,2010).

 

Stratificazione prognostica mediante database amministrativi: il “Codice Argento”

I dati utilizzati per produrre il Codice Argento sono stati ricavati mediante record linkage in un unico database di quattro archivi amministrativi mantenuti dall’ASL 10 di Firenze.

 

Tali archivi contengono, rispettivamente:

  1. l’anagrafica dell’ASL,
  2. i dati della scheda di dimissione ospedaliera (SDO),
  3. i dati del servizio farmaceutico territoriale, relativi alle prescrizioni terapeutiche al di fuori dell’ospedale,
  4. i dati provenienti dal certificato di morte ISTAT, che riporta data e causa di morte.

 

Il linkage si basava sul numero di codice sanitario, rilasciato dalla ASL, o sul codice fiscale, secondo un approccio ampiamente validato. È stato condotto uno studio di coorte retrospettivo con un anno di follow-up, selezionando tutti i soggetti ultrasettantacinquenni che nell’anno 2005 accedevano per motivi medici a presidi ospedalieri dell’ASL 10 tramite PS. La casistica così selezionata è stata suddivisa in modo casuale in un sottogruppo “sviluppo” ed in uno “validazione”, nei quali i modelli predittivi sono stati sviluppati e, rispettivamente, testati, rispetto all’esito mortalità generale ad un anno (chiusura dello studio nel dicembre 2006). Le variabili utilizzate per predire la sopravvivenza erano l’età, il sesso, lo stato civile (coniugato rispetto a non coniugato/vedovo/divorziato), il numero di farmaci assunti nei 3 mesi precedenti (nelle categorie 0-2, 3-4, 57, 8+ farmaci), la presenza di ricoveri ordinari e, separatamente, in Day Hospital nei sei mesi precedenti, e la categoria diagnostica principale dell’eventuale ricovero ordinario precedente (neoplasie, malattie dell’apparato cardiocircolatorio, respiratorio e altre).

 

Nel sottogruppo di sviluppo è stato condotto uno screening, mediante confronti bivariati, delle variabili predittive della mortalità nei 12 mesi successivi al ricovero indice, seguito da analisi multivariata mediante regressione di Cox. A ciascuno dei predittori multivariati di mortalità è stato assegnato un punteggio, espresso dal rapporto arrotondato tra il coefficiente di regressione b, spettante a quella variabile nella regressione di Cox, e il più piccolo dei coefficienti b significativi, che è risultato essere quello relativo alla variabile “stato civile”. È stato così possibile calcolare, per ogni partecipante, un punteggio cumulativo, dato dalla somma dei punti attribuiti a ciascuno dei fattori di rischio presenti.

 

Il valore predittivo del modello è stato analizzato rispetto alla mortalità ad un anno, separatamente nel sottogruppo sviluppo ed in quello di validazione, attraverso il calcolo dell’area sottesa dalla curva Receiver Operator Characteristics (ROC) e, dopo categorizzazione in quattro livelli, in modelli di regressione di Cox. Analogamente, è stato condotto il confronto della sopravvivenza in funzione dell’Unità di assegnazione (Medicina Interna o Geriatria), controllando per il punteggio di rischio ovvero dopo stratificazione in quattro livelli di punteggio di rischio. Attraverso record linkage dei quattro archivi, sono stati identificati 10.913 ricoveri in area medica di altrettanti soggetti ultrasettantacinquenni, di cui 6.034 (55%) erano donne. Circa il 29% aveva un’età compresa tra 75 e 79 anni, mentre i rimanenti si distribuivano equamente nelle due classi di età 80–84 e 85+ anni. Il 18% del campione aveva avuto un ricovero ordinario, nei sei mesi precedenti, che, nella maggior parte dei casi, era dovuto a malattie cardiocircolatorie. La metà dei soggetti era in trattamento, nei 3 mesi precedenti il ricovero indice, con almeno 5 farmaci (Tab. 3).

 

La gran parte dei ricoveri (93%) era indirizzata verso unità di Medicina Interna, mentre solo 750 soggetti (6.9%) erano stati ammessi in Geriatria. Nel periodo compreso tra il giorno di ammissione ospedaliera per il ricovero indice e i 12 mesi successivi, la mortalità osservata nell’intera casistica era del 34%. In un modello di regressione di Cox relativo al sottogruppo di sviluppo dell’equazione, erano predittori multivariati di morte l’età avanzata, il sesso maschile, lo stato civile, la presenza di un precedente ricovero con la rispettiva categoria diagnostica, il numero di farmaci assunti e i precedenti accessi in Day-Hospital. La Tabella 4 riporta i coefficienti b attribuiti a tali variabili e i rispettivi punteggi, calcolati come multipli del più basso coefficiente significativo, che risultava essere quello assegnato allo “stato civile vedovo/non coniugato/divorziato”, rispetto a “coniugato”. Nel sottogruppo sviluppo, il punteggio di rischio individuale di morte, calcolato sulla base dei punti così assegnati a ciascuna variabile, aveva una performance prognostica globale accettabile, come risultava da un’area sottesa dalla curva ROC pari a 0.66 e da un progressivo e significativo aumento della mortalità ad un anno (20, 28, 42 e 51%) in strati definiti sulla base di valori soglia del punteggio di rischio (0-3, 4-6, 7-10, 11+).

 

Tali risultati erano pienamente confermati nei 5.456 soggetti del sottogruppo validazione, in termini di curva ROC (Fig. 1) e di analisi di sopravvivenza: in particolare, il modello di Cox mostrava un progressivo incremento del rischio di morte al crescere del punteggio Codice Argento, indicato da valori di HR (95% CI) pari a 1,5 (1,31,7), 2,2 (1,9-2,6) e 3,0 (2,6-3,4) negli strati di punteggio 0-3, 4-6, 7-10 e 11+, rispettivamente (p<0,001) (Fig. 2). Infine, la mortalità a lungo termine dei soggetti ricoverati in Geriatria era del 17% inferiore a quella dei ricoverati in Medicina Interna (HR 0,83, 95% CI 0,72-0,94; p=0,004). Il ricovero in Geriatria si associava ad un vantaggio prognostico lieve e non significativo nei primi 3 strati, mentre nello strato di rischio più elevato tale vantaggio era molto evidente, pari ad una riduzione del 33% del rischio di morte (HR 0,67, 95% CI 0,53-0,84; p=0,001) (Fig.3).

 

Conclusioni

Di fronte alla crescente richiesta di cure da parte di anziani complessi, con grave comorbosità, disabilità e deficit cognitivo, i servizi di PS sono spesso in difficoltà e talvolta si dimostrano inadeguati. L’esigenza di un approccio specifico, che applichi alla realtà del PS i principi della VMD, rimane il più delle volte insoddisfatta per motivi di tempo ma, probabilmente, anche di scarsa attitudine culturale. D’altra parte, esistono prove che sia possibile prevedere la prognosi a lungo termine di anziani che giungono al PS per motivi medici utilizzando semplici dati di tipo amministrativo, in parte meramente anagrafici (sesso, età, stato civile), in parte di tipo sanitario (precedenti ricoveri e numero di farmaci assunti).

 

L’indicatore prognostico Codice Argento si è dimostrato in grado di individuare precocemente quei soggetti anziani che, nel momento in cui varcano la soglia dell’ospedale per motivi medici, necessitano, durante la loro permanenza al PS, di attenzioni particolari e, nella successiva degenza, delle competenze e della cultura professionale del Geriatra. Su impulso del Ministero della Salute, è in corso uno studio di validazione nazionale del Codice Argento, che verificherà la sua possibilità di applicazione in realtà diverse da quella dove esso è stato inizialmente sviluppato. NB: Le Tabelle 1, 2, 3, 4 e le figure 1, 2, 3 saranno pubblicate online sul sito www.grg-bs.it alla voce “letteratura” – “riviste” – “I Luoghi della Cura”.

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