14 Febbraio 2024 | Recensioni

Cronaca di una strage nascosta. La pandemia nelle case di riposo

Recensione: “Cronaca di una strage nascosta. La pandemia nelle case di riposo”, di Costanzo Ranci, edizione Mimesis, 2023


Il libro di Costanzo Ranci “Cronaca di una strage nascosta” tratta delle vicende delle RSA italiane messe a dura prova dalla pandemia di COVID 19. Già il titolo afferma il punto di visto sotto cui l’autore ha voluto analizzare il fenomeno. Ma è comunque riduttivo rispetto ai dati su cui si basano le considerazioni critiche e le linee interpretative che il libro offre. Non si tratta infatti solo di una “fotografia” di quanto è accaduto ma vi è una tesi principale che viene svolta in più capitoli: quanto accaduto nelle RSA non riguarda le RSA, ma l’intero servizio sanitario nazionale e i servizi sanitari e socio sanitari regionali e, di conseguenza, l’intero sistema del welfare italiano. Il libro quindi ha l’obiettivo di motivare la necessità un deciso cambiamento della organizzazione sociale e sanitaria nei confronti delle RSA per aiutarle a migliorarsi.

 

Non si tratta nemmeno di un pamphlet di difesa delle RSA, che pur sono state oggetto di una ignobile campagna di colpevolizzazione da parte della stampa e di altri media. Infatti, nel libro molto chiaramente è ribadito che debolezze e criticità erano e purtroppo sono presenti nelle RSA italiane, e parte degli effetti devastanti registrati sono da attribuirsi a questa pre-condizione di debolezza, che la pandemia ha solo messo in evidenza. Ma la analisi che accompagna la alta morbilità e mortalità degli anziani in RSA evidenzia come lì abbiano agito, moltiplicandosi, le debolezze del nostro sistema sanitario e sociale, presenti in generale, ma che hanno pesato specialmente nei confronti delle strutture di assistenza degli anziani, sempre tenute ben lontane dall’interesse collettivo. Quindi, in nessuna parte il libro di Ranci invoca uno status quo a cui tornare dopo la pandemia, ché anzi il problema è stato proprio lo status quo.

 

La struttura del libro

Il libro si articola in otto capitoli più una introduzione e una conclusione (consta di 167 pagine). Il primo capitolo è una specie di analisi di caso sociale, ottenuto esaminando da vicino la storia di una singola ma importante struttura di Milano, l’ASP “Pio Albergo Trivulzio”, che è stato al centro di inchieste giornalistiche su tutti i media, e che sembra aver riassunto tutto il male e il bene di quanto successo. Da una parte il grave ritardo nel rendersi conto di quanto stava succedendo, con le conseguenti scelte sbagliate, e dall’altra l’impegno e l’abnegazione di tanta parte del personale di cura che ha sopportato solitudine, critiche, mancanza di mezzi senza mai abbandonare i propri assistiti, ma alle volte condividendone i rischi. Si ricava la netta impressione che gli organi dirigenti di regione e ASP non siano stati all’altezza del compito.

 

I successivi capitoli seguono la vicenda storica con ricchezza di dati e di osservazioni in una successione logico – storica. Ci si chiede quanto ci si era preparati prima della esplosione dei contagi, quanto cioè i primi allarmi e avvisi avessero avuto conseguenze operative di preparazione ai successivi eventi: il bilancio è naturalmente sconsolato, anche più di quanto ci si aspetterebbe, pur alla luce dei tristi avvenimenti succedutosi. In effetti nel 2006 viene redatto un “Piano nazionale di preparazione e risposta alle epidemie influenzali” ricco di raccomandazioni ( ad esempio su mascherine e altri mezzi di protezione individuali) per le strutture ospedaliere e dove le strutture di ricovero per anziani sono nominate fra i luoghi “comunitari” (come le scuole ad esempio), ove le azioni raccomandate sono di prevenzione e controllo e riguardano solo le soluzioni per limitare il contagio (ambienti aerati, evitare assembramenti etc.).

 

Nello stesso documento, in un secondo punto vengono addirittura individuate come possibili soluzioni di appoggio a eventuali difficoltà degli ospedali (senza che sia detto di quali mezzi dovessero essere dotate per adeguare a ciò il personale e i residenti)! Peggio di così! In effetti già da queste prime battute si possono leggere importanti premesse a quello che le RSA subiranno. Inutile dire che il “Piano”, che andava aggiornato ogni tre anni, non è più stato toccato. Poi il 31 gennaio viene dichiarato lo stato di emergenza, ma la cosa non ha praticamente conseguenze sulle RSA, né comunque sul resto, ci si limita a controllare chi proviene dalla Cina.

 

Sussurri e grida: i numeri della strage

Il 21 Febbraio 2020 viene scoperto il “paziente zero”, viene istituita la zona rossa a Codogno ma solo interventi blandi e inefficaci negli ospedali, quando già il 25 Febbraio sui giornali vi erano articoli che parlavano della possibile alta mortalità per gli anziani. Tutti sappiamo come è andata in Lombardia, con le due successive settimane che hanno visto un allentamento dell’allerta, con aperte le chiese, addirittura gli stadi. Il 4 marzo inizia il confinamento con chiusura di scuole, e in seguito, di tutte le attività produttive. E le RSA? L’autore intitola “Sussurri e grida” il capitolo che ne parla: prima silenzio o qualche sussurro, sostanziale solitudine delle strutture che, mentre il virus è ovunque non hanno mezzi di protezione individuali (DPI), per non parlare della vicenda dei tamponi, e inizia anche fra il personale a diffondersi il contagio, con la conseguenza di più bisogni dei residenti e meno persone per rispondervi.

 

I morti sono tanti e dal silenzio si passa velocemente alle grida colpevolistiche nei confronti delle strutture di ricovero, per l’alta mortalità ivi riscontrata, a cominciare dal mese di aprile. Si costituiscono comitati di parenti che trovano ampio spazio nei media, con molti articoli che mettono sotto accusa le RSA. A questo punto Ranci si chiede: abbiamo davvero la possibilità di conoscere i numeri di questa catastrofe per definirla una “strage”? La risposta è che questi numeri in Italia per le RSA non esistono e quelli che ci sono non sono affidabili (ad esempio: se un residente moriva senza aver fatto il tampone veniva classificato come non Covid). Per questo un’idea vicina alla realtà ce la può dare solo una analisi indiretta e comparativa, verificando retrospettivamente l’eccesso di mortalità. La tabella, inserita nel libro, che mostra i numeri di questa mortalità in eccesso nel periodo pandemico nei diversi luoghi di residenza o di cura è evidente: media globale + 47%, nelle RSA + 157 %! In tutti i paesi del mondo in realtà la percentuale di malati e morti nelle residenze è più alta e strettamente correlata con quella del territorio. Le differenze però, anche a livello internazionale rimangono, per cui ad esempio Germania e Danimarca hanno avuto un eccesso di mortalità, corretto per quello territoriale, molto più basso di Italia, Spagna e Regno Unito. Quindi la virulenza territoriale non spiega tutto, ma ha contato molto anche il tipo di organizzazione delle residenze.

 

Dunque che fare? Come si è risposto all’emergenza?

Il paradigma operativo è stato soprattutto uno, dice il libro: la chiusura, cui dedica il quinto capitolo. Dalla “peste” di Camus in avanti, la prima risposta è quasi necessariamente questa, da noi immediatamente conosciuta come “lockdown” e che negli ospedali ha significato diminuzione dei flussi e riorganizzazione dei reparti di cura in funzione della cura dei contagiati sintomatici gravi. Ma nelle RSA? Già dalle vicende analizzate in Lombardia è evidente che nelle strutture di ricovero per anziani l’approccio è “morbido”, con anche molti colpevoli ritardi delle autorità regolatorie e di chi doveva fornire gli strumenti di fronteggiamento della pandemia, demandando di fatto alle strutture (in particolare alle direzioni sanitarie) la decisione sulle intensità delle restrizioni da attuare.

 

Questo quasi “lavarsene le mani” delle autorità pubbliche scarica sulle singole RSA la decisione, generando inevitabilmente, oltre alla conflittualità con i famigliari, una vasta eterogeneità di soluzioni e di applicazioni, dal quasi nulla al quasi tutto. Benzina sul fuoco butta poi la delibera regionale della Lombardia dell’8 marzo che indica nelle RSA il luogo ove trasferire dagli ospedali, in modo prioritario, pazienti COVID 19 “a bassa intensità assistenziale” ma comunque sicura fonte di contagio! Le RSA come “valvola di sfogo”! In effetti avrebbe dovuto succedere il contrario, cioè che venisse regolato e favorito il supporto dell’ospedale nei confronti delle RSA, mentre nessun documento nazionale lo prevede. Al contrario una DGR lombarda del 30 marzo stabilisce che dalle RSA possono andare a farsi curare in ospedale solo i residenti con meno di 75 anni, mentre gli altri devono essere curati con l’ossigeno nella struttura! Tutto questo mentre le RSA sono state lasciate prive dei mezzi di base e di protezione del proprio personale e dei residenti. A questo il libro dedica un intero capitolo, in cui viene drammaticamente riportata l’angoscia generata dalla mancanza di mezzi e le pesanti conseguenze che questo ha avuto.

 

Lo stesso è successo per la disponibilità dei tamponi per la diagnosi. Il capitolo dedicato è significativamente intitolato “Navigare al buio”. Anche per questo aspetto le RSA sono state penalizzate: il primo documento nazionale ispirato dall’Istituto Superiore di Sanità che indica la necessità di usare i tamponi in modo estensivo nelle RSA è del 18 aprile, quando ormai la massima intensità epidemica era stata superata. In questo come in altri aspetti della vicenda pandemica ricorre un aspetto proposto come cruciale, la irrilevanza, quasi la invisibilità delle strutture di ricovero per le istituzioni sia nazionali che regionali. Ma questo, viene ribadito, non è un “prodotto” della pandemia, anzi al contrario è stata la pre-condizione che ha consentito le catene di errori ed omissioni che hanno portato alla “strage nascosta” nelle RSA.

 

Nelle RSA le cose da cambiare erano e sono ancora molte

Prima del capitolo conclusivo viene riproposta e analizzata proprio questa condizione precedente. “Come eravamo” è il titolo del capitolo che cerca, in una prospettiva anche storico geografica, di analizzare l’evoluzione delle strutture nei loro diversi aspetti, che tuttavia le hanno fatte giungere in ritardo all’appuntamento con la pandemia. Sia sul piano della tipologia edilizia che su quello della dotazione del personale e degli altri aspetti organizzativi e gestionali, nonostante gli sforzi fatti, le cose da cambiare erano e sono ancora molte. Questi adeguamenti sono resi difficili da una parte dall’aumento dei bisogni sanitari e assistenziali dei residenti, dall’altra dal non disporre di risorse economiche sia per gli investimenti che per il miglioramento della gestione.

 

In questo la pandemia è stata una specie di tempesta perfetta, che in molti casi ha devastato economicamente le strutture per il mancato introito derivante dal dimezzamento del numero dei residenti, proprio nel momento in cui sarebbe stato necessario investire per adeguare struttura e gestione alle lezioni che il COVID ha impartito. Si scrive a pag. 151: “…l’assenza di regole nazionali, la forte frammentazione delle classificazioni e degli standard hanno senz’altro contribuito a rendere difficile un governo emergenziale di questo sistema. Ma la vicenda che abbiamo raccontato…dice qualcosa di più. Racconta l’opacità di questo sistema, il silenzio che l’ha avvolto che ha reso invisibile, se non addirittura nascosta la strage compiuta dal Covid-19. Un aspetto allineato all’oblio regolativo e finanziario in cui queste strutture sono relegate da lungo tempo…”. L’analisi basata sui dati si conclude qui. Il capitolo successivo, di conclusione, volge uno sguardo d‘insieme a quanto scritto, che, dice l’autore, conferma e rafforza l’indubbia verità sia della “strage” sia del suo essere “nascosta” ma anche l’ipotesi interpretativa della invisibilità delle strutture di ricovero.

 

Nel finale il testo non si limita a cercare o a ribadire cause prossime di cui già ha trattato. Va bene la responsabilità politica, evidente sia a livello nazionale che regionale, e anche la lontananza delle istituzioni e il loro mancato appoggio alle RSA, ma in questo Costanzo Ranci vede qualcosa di più, una lontananza dalla morte, un affievolimento verticale del senso collettivo legato allo spegnersi della vita, la individualizzazione spinta della nostra società che arriva fino alla vita e alla morte degli anziani malati e non autosufficienti. Questa cosa coinvolge anche tutti noi cittadini italiani contemporanei di questa strage. Sembra dire quindi che è per questo che politica e istituzioni hanno potuto non investire e considerare invisibili le RSA. La campana che suona per i morti in RSA non suona per noi.

 

Vi sarà un riscatto da tutto ciò?

In realtà ben poco è stato fatto e i segnali non sono positivi. Da una parte le proposte al limite dell’assurdo e anzi pericolose come “chiudere le RSA”, dall’altra vi sono certamente opzioni diverse, si scrive: “…L’esperienza traumatica del marzo-aprile 2020, ma anche quella dei paesi che hanno saputo evitare che la pandemia si espandesse nelle strutture di ricovero …. Ci dice soprattutto che è la marginalità istituzionale delle case di riposo a fare problema. È l’oblio istituzionale e pubblico in cui esse versano ad aver contribuito in modo sostanziale alla strage… L’impatto è stato sensibilmente meno traumatico in quei paesi in cui le strutture residenziali sono considerate parti integranti del sistema sanitario…”.

 

Non si può non condividere questo punto di vista, che pur non esaurisce né contraddice altre possibili letture, legate anche alle utopiche ideologie del domicilio, della famiglia e della casa come entità a- storiche e quasi assolute nel loro significato di contesto dell’individuo. È certamente difficile rimanere ottimisti e prevedere, come si scrive, “un riscatto” visti i segnali negativi che si susseguono, come la scarsa rilevanza data al settore delle RSA dalla recente legge quadro sulla non -autosufficienza, così come il mancato finanziamento da parte del PNRR di qualunque progetto che riguardasse le residenze.

 

Tuttavia le RSA si stanno ancora una volta risollevando, cercando di adeguarsi alle nuove esigenze e ad affrontare meglio il futuro, come sempre è successo, con le proprie forze. Fra le RSA vi è anche chi è stato in questi mesi capace di rilanciare e migliorare il proprio status operativo e assistenziale, riuscendoci non grazie ai sostegni istituzionali, ma nonostante la loro mancanza.

Bibliografia

Ranci C. (2023), Cronaca di una strage nascosta. La pandemia nelle case di riposo, ed. Mimesis

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