1 Giugno 2010 | Strumenti e approcci

Complessità e assistenza

Complessità e assistenza

In questi ultimi anni si è molto parlato di complessità assistenziale e sono stati proposti e sperimentati anche nel nostro Paese più strumenti di valutazione (Cavaliere e Susmel, 2001; Silvestro et al., 2009; Moiset e Vanzetta, 2009) con lo scopo di misurare e “pesare” la complessità e allocare le risorse necessarie. Con l’avvio, negli anni 90 del secolo scorso, del processo di aziendalizzazione si è di fatto superato il rigido concetto di “pianta organica” definita sulla base dei minuti/posti letto e sono state introdotte sostanziali trasformazioni sulle modalità di calcolo del fabbisogno di personale infermieristico che identificano nella misurazione del carico di lavoro la metodologia per la definizione del fabbisogno di personale.

 

Più recentemente, la necessità di ridefinire lo standard di assistenza infermieristica nelle degenze ospedaliere è conseguenza di due importanti evoluzioni: evoluzione della normativa della professione infermieristica, che ora garantisce all’infermiere la diretta responsabilità e la gestione delle attività di assistenza e delle funzioni di supporto, ed evoluzione degli ospedali verso un modello per complessità/intensità di cura e di assistenza. Nel frattempo in letteratura sono apparsi più lavori che documentano l’evidenza di un rapporto tra il numero di ore di assistenza erogate da infermieri e i risultati di salute per il paziente (Needleman et al., 2002; Aiken et al., 2002a; Aiken et al., 2002b; Cho et al., 2003). Si è avviato così il dibattito sul “nurse-to-patient ratio” ottimale, ovvero quale deve essere il numero di pazienti affidato a ciascun infermiere per minimizzare il rischio che una situazione di “understaffing” sia causa diretta di outcome negativi (mortalità e eventi avversi).

 

A ciò si aggiunge la necessità per il singolo infermiere, e per l’unità operativa, di stimare il bisogno e l’intensità dell’assistenza in tempo reale, attraverso uno strumento di valutazione semplice, affidabile, che richieda un tempo ragionevole per la compilazione. Vi sono a questo proposito alcuni aspetti da chiarire anche attraverso il contributo dei nostri lettori: complessità dell’assistenza o complessità dell’assistito? Non si tratta di un gioco di parole, ma di definire qual è il focus della valutazione. Ovvero è ciò che l’infermiere fà o piuttosto la condizione clinica, la prognosi, la dipendenza, la capacità di collaborare e autodeterminarsi dell’assistito, che concorrono a definire la complessità? Nel primo caso il rischio è di descrivere e pesare l’assistenza erogata, che non sempre corrisponde all’assistenza necessaria.

 

Alcuni strumenti oggi presenti in letteratura descrivono l’assistenza erogata: Oulu Patient Classification (O.P.C.) (Fagerstrom et al., 2000), Zebra System (Levenstan e Engberg, 1997). Nel secondo caso sono probabilmente necessari più strumenti in relazione al setting (residenza, domicilio, ospedale), al target di riferimento (bambini, anziani, adulti) e alle variabili che concorrono a definirne la complessità. La definizione delle variabili è certamente l’aspetto determinante.

 

  1. Relazione tra complessità e organizzazione: qual è il ruolo della dirigenza, dei coordinatori e delle équipe di professionisti rispetto ad un’organizzazione che renda possibile pianificare ed erogare l’assistenza in relazione alla complessità clinica degli assistiti? Come integrare i concetti di flessibilità organizzativa e personalizzazione dell’assistenza, che conseguono la valutazione della complessità, nell’organizzazione del moderno ospedale, dove la diffusione e l’importanza crescente degli standard, dei protocolli, dei clinical pathway costituiscono elemento determinante per la riproducibilità delle procedure, l’efficienza del sistema e la sua equità?

 

  1. Valutazione della complessità e outcome: il “nurseto-patient ratio” è finalizzato a ridurre il rischio del verificarsi di eventi avversi. La valutazione della complessità clinica (o assistenziale) quali obiettivi si prefigge nei diversi setting e nei diversi target di pazienti?

Bibliografia

Aiken LH, Clarke SP, Sloane DM, et al. Hospital nurse staffing and patient mortality, nurse burnout, and job dissatisfaction. JAMA 2002a;288(16):1987-93.

Aiken LH, Clarke SP, Sloane DP. Hospital staffing, organization, and quality of care: cross-national findings. Intl J Qual in Health Care 2002b;14(1):5-13.

Cavaliere B, Susmel M. La qualità nell’assistenza infermieristica: uno strumento di rilevazione e di elaborazione dell’Indice di Complessità Assistenziale (I.C.A). Nursing Oggi 2001(2).

Cho SH, Ketefian S, Barkauskas VH, et al. The effects of nurse staffing on adverse outcomes, morbidity, mortality, and medical costs. Nurs Res 2003;52(2):71-9.

Fagerstrom L. et al., Validation of a new method for patient classification, TheOulu Patient Classification, Journal Adv Nursing 2000;31(2):481-90.

Levenstan A. K. Engberg I.B., How to translate nursing care into posts and staffing requirements: part two in The Zebra System. J Nurse Management 1997;5(2):105-14.

Moiset C, Vanzetta M, Misurare l’assistenza. Un modello di sistema informativo della performance infermieristica. McGraw-Hill, Milano 2009.

Needleman J, Buerhaus P, Mattke S, et al. Nurse-staffing levels and the quality of care in hospitals. N Engl J Med 2002;346(22):1715-22.

Silvestro A. et al., La complessità assistenziale, McGraw-Hill, Milano 2009.

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