Quando Domenica 4 febbraio il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, intervenendo a Trento in occasione dell’assegnazione alla città del titolo di capitale europea del Volontariato, ha sottolineato con enfasi il valore del lavoro di cura ho pensato a come questo valore, “l’I Care” di Don Milani, proprio nel centenario della sua nascita, fosse il punto focale del mondo dei servizi alla persona, in particolare il “mio” mondo dei servizi e della cura alla popolazione anziana, soprattutto se non autosufficiente.
Ho unito questo pensiero all’idea che per prendersi davvero cura di una società nuova, a curva invertita tra vecchi e giovani, non bastano più i continui allarmi riferiti “all’inverno demografico”, perché non credo che una nazione possa sopravvivere quando la popolazione ultrasessantacinquenne supera il 25% della popolazione totale, con punte di Indice di vecchiaia superiori a 280 (NB = 2,8 anziani ogni giovane presente) soprattutto in alcune zone del Paese, ad esempio la provincia di Biella ove vivo ed opero (Rapporto OsservaBiella 2023).
L’inverno demografico in Italia: quali sono le azioni concrete della politica per la sostenibilità del sistema?
L’allarmante situazione sociodemografica in Italia non può reggere da nessun punto di vista, come affermano tutti gli esperti, soprattutto economicamente. In particolare, allarma la sostenibilità del sistema pensionistico che non può socialmente reggere poiché vengono a mancare “le braccia” (e le menti) per sostenere il sistema socio-economico nella sua interezza e complessità (Marroni, 2023).
Ed ecco un fatto concreto: la Legge Delega n.33 del Marzo 2023, una cornice importante. Finalmente, anche il nostro Paese ha una norma che contemplerà tutti i diversi livelli di intervento per la popolazione anziana fragile nel senso più ampio ed esteso del termine. Tuttavia, il 25 gennaio 2024, il Decreto Legislativo del Consiglio dei Ministri, volto a dare attuazione alla Legge Delega 33/2023, non ha dato i risultati attesi (Saraceno, 2024; Gabanelli, 2024; Gori, 2024).
Ci aspettavamo Modello organizzativo e risorse
Nello schema di Decreto legislativo di attuazione della Legge delega n.33, non viene sviluppato adeguatamente il progetto per il futuro dell’assistenza agli anziani previsto dalla suddetta Legge, ciò nonostante i numerosi contributi portati all’attenzione dei legislatori da più parti della società civile (tra cui il Patto per un nuovo Welfare sulla non autosufficienza) sull’importanza di affrontare con realismo il nuovo assetto demografico con interventi a tutto campo1, dall’urbanistica ai servizi alle persone, ciò se vogliamo traghettarci dignitosamente in questo nuovo scenario tipico delle società occidentali.
Dall’osservatorio, direi privilegiato, delle organizzazioni che da tanti anni svolgono l’attività, in senso lato, di “Servizi per anziani e loro famiglie“2, ho potuto verificare che esistono soluzioni organizzative applicabili e, soprattutto replicabili, volte a fronteggiare il tema, affinché ciò che appare e che da tutti viene indicato come un grave problema, ossia l’inverno demografico, si trasformi in una opportunità per quei territori che sapranno essere capaci ed attrattivi. Mi sono domandata: “ora che accadrà? Ora la differenza la faranno le persone, al di là delle ricette economico-finanziarie o organizzative o normative, trovando soluzioni possibili alle criticità emergenti”.
Famiglie sempre più anziane, sempre più sole. Dove sono i modelli e le risorse per mettere in campo quanto previsto nella Legge delega 33?
Occupandomi soprattutto di “non autosufficienza”, in questa disamina aperta mi sono concentrata su questo tema, tralasciando altre parti ad altri esperti, consapevole però della crisi delle famiglie, quando in casa sopraggiunge una fragilità grave nei componenti anziani. Faccio riferimento, ad esempio, alle incombenze economiche legate all’assistenza di un membro non autosufficiente in presenza di famiglie italiane sempre più “povere”. Si tratta di persone con difficoltà sociali a cui si unisce la componente sanitaria (cronicità), ignorata sempre più dalla Sanità Pubblica. Nel Decreto attuativo non si riscontra la componente di compartecipazione sanitaria alle cure, a tutti i differenti livelli assistenziali, dal domicilio alla Residenzialità, in una giungla che necessita di un rapido e doveroso riordino nazionale considerando che ci sono 20 sistemi socio-sanitari in capo alle Regioni e non è più tollerabile che per avere una giusta assistenza, se sei vecchio e non autosufficiente, ti debba trasferire in un’altra Regione. La Sanità Pubblica dovrà “scegliere” di investire nella cronicità per sopravvivere nel suo ruolo universalistico, così come previsto dalla Costituzione Italiana, magari sostenendo ed implementando per le future generazioni formule assicurative obbligatorie legate alla lungodegenza (come avviene, ad esempio, in Germania).
Un altro elemento da attenzionare è la carenza di posti letto di LTC (Long -Term Care). Non si può pensare di intervenire con progetti esclusivamente mirati alla prevenzione e all’invecchiamento attivo ignorando di mettere, in primis, in sicurezza tutti coloro che, oggi e nel futuro, hanno e avranno diritto alle cure socio-sanitarie residenziali a tariffe accessibili e in strutture idonee, con la compartecipazione della sanità pubblica, evitando così ricoveri impropri nelle strutture ospedaliere (questa è una linea programmatoria in atto in quasi tutti i paesi europei). Solo dopo aver garantito questo livello minimo di protezione e sicurezza sarà possibile dedicarsi con attenzione ad implementare servizi alternativi, anche educativi, oltre che servizi domiciliari e semi-residenziali, al fine di allontanare il più possibile il ricorso alla istituzionalizzazione in un contesto di E, non di O!
Investire nelle strutture già esistenti
Il suggerimento è di cominciare a considerare le esistenti RSA aiutandole a trasformarsi in Centri Servizi. Per fare questo è necessario affrontare la carenza di personale socio sanitario: da un lato infatti, si assiste ad un aumento esponenziale del numero di persone che domandano servizi a più livelli proprio in virtù del crescente numero di persone anziane; dall’altro assistiamo contemporaneamente alla costante riduzione di “forza lavoro” che pone in seria difficoltà le organizzazioni di servizi alla persona chiamate a trovare soluzioni concrete e possibili, partendo dal fatto che “non ci si può permettere di non rispondere a bisogni così importanti”.
Oggi, nelle Imprese Sociali più del 30% del personale è rappresentato da stranieri, situazione che ha generato e genera straordinarie occasioni di integrazione ottimamente riuscite, nel nome di un obiettivo comune che unisce enti e persone: la cura. L’I Care di Don Milani “a 360°”, per coloro che sono assistiti e per coloro che assistono!
Ormai da decenni si è persa la valenza caritatevole che era tipica di queste organizzazioni con la loro trasformazione in Aziende moderne, con sistemi qualitativi certificati, orientati alla centralità delle persone (clienti/utenti) e a coloro che vi operano, attente a non perdere quella valenza etica che ha saputo produrre un modello socialmente vincente: servizi indispensabili, capaci di creare contemporaneamente lavoro e vita per i cittadini. Organizzazioni, aziende dove il 70% del bilancio è rappresentato dagli stipendi al personale e che, soprattutto nei territori periferici, rimane l’unica attività che garantisce lavoro alla gente che li abita. Un esercito di addetti oltre le 700.000 persone nei diversi aspetti disciplinari e professionalità, in organizzazioni che hanno sempre più necessità di accrescere le proprie maestranze, di avere più addetti con l’aumentare della domanda, di avere nuove persone interessate a formarsi per entrare in questo ambito.
Conclusioni
Dove sono i modelli e le strutture organizzative previste nella Legge delega 33? Nello schema di decreto attuativo il tutto viene liquidato con tre (3) laconiche righe, senza considerare invece le potenzialità di un sistema vincente, replicabile, semplicemente prendendo atto della composizione demografica delle nostre società, mettendo insieme domanda ed offerta, attrezzandosi e collegandosi con ciò che esiste anziché ignorarlo! Dedichiamoci concretamente a formare, integrare e inserire stranieri aumentando il saldo migratorio annuale, valorizziamo davvero il lavoro di cura e risponderemo così alla costante crescente domanda dei cittadini unendo virtuosamente continuità nei servizi per gli anziani con nuova linfa, con gioventù integrata, che abita, lavora, paga le tasse e che fa crescere i nostri territori. Potremmo pensare a questo insieme come ad una nuova “industria”!
Concludo questa mia lettera aperta, accorato appello a ripensare e rivedere la Legge 33/2023 e i suoi Decreti Attuativi, ascoltando la voce dei tanti, che come me, ogni giorno, da tanti anni si dedicano e si prodigano a “sostenere le persone fragili con servizi fragili”, ma indispensabili e vitali per il nostro futuro bene comune.
Note
Bibliografia
Gori C. (2024), note all’intervista di F. Riccardi alla viceministra Bellucci “La riforma è una svolta per tutti gli anziani”, in Avvenire, 3 febbraio.
Marroni C., (2023) , Nel 2050 un pensionato per ogni lavoratore: Finanze pubbliche e welfare non saranno più sostenibili con il calo delle nascite, in Il Sole 24 ore, 31 luglio.
Rapporto OsservaBiella, 2023.
Saraceno C.(2024), Quell’equivoco sul Bonus anziani, in La Stampa, 1 febbraio.