5 Marzo 2024 | Residenzialità

Leggere “Cronaca di una strage nascosta”: riaprire una ferita mai rimarginata

L’articolo propone una riflessione sugli eventi drammatici che hanno colpito le RSA durante la pandemia da COVID 19, trattati nel libro di Costanzo Ranci “Cronaca di una strage nascosta. La pandemia nelle Case di riposo”. In particolare, il contributo mette a fuoco la situazione vissuta nella Regione Lombardia.


Leggere l’ultimo libro di Costanzo Ranci “Cronaca di una strage nascosta” è stato come riaprire una ferita che, in fondo, non si è mai rimarginata, uno di quei tormenti che ti accompagnano durante le tue giornate e che non riesci a sedare. Il libro rappresenta non solo una minuziosa e curata ricostruzione storica degli avvenimenti, ma riesce anche nell’operazione di collegare i fatti ai ritardi, alle decisioni politiche, agli errori, dando delle risposte a chi ancora oggi si chiede come possa essere successo.

 

 

Il dramma vissuto dagli anziani ricoverati nelle RSA durante la pandemia: la situazione in Lombardia

È indubbio che la pandemia abbia colto tutti impreparati, ma è altrettanto vero che il dramma che si è verificato in Lombardia non è stato una casualità. E la ragione non sta nemmeno nell’alta densità di popolazione e dei correlati numerosi spostamenti, come qualcuno ha tentato di giustificare. La verità è che in Lombardia il virus ha potuto diffondersi rapidamente e indisturbato grazie alle sfaldature presenti nel nostro sistema sanitario, un modello fortemente ospedalocentrico, da sempre concentrato sulle prestazioni più che sulla prevenzione oltre alla pressoché inesistente rete territoriale di servizi di cura e assistenza. Ricordo ogni singolo giorno di quel drammatico periodo, ma soprattutto ricordo il senso di frustrazione di tutti noi allo SPI, mentre assistevamo impotenti ad una sorta di “tempesta perfetta”, dove decisioni politiche assolutamente sbagliate si innestavano su una situazione già fortemente critica.

 

La nostra prima lettera di richiesta di incontro a Regione Lombardia volta ad affrontare il problema della sicurezza e della protezione delle persone anziane fragili, in particolare coloro che erano ricoverati nelle RSA, è datata 26 febbraio 2020, solo cinque giorni dopo il primo caso di Codogno. In quel momento non potevamo immaginare quello che poi sarebbe successo: proprio alla luce delle iniziali chiusure delle RSA la nostra prima preoccupazione era che venisse data garanzia di assistenza nelle attività quotidiane, prime fra tutti la somministrazione dei pasti, nella consapevolezza che in molti casi questa azione era (ed è tutt’ora) affidata a volontari o a parenti. A questa prima richiesta ne seguirono altre, almeno quattro, alle quali Regione Lombardia non ha mai risposto. La prima convocazione dell’Osservatorio RSA arrivò solo il 21 maggio, quando ormai la tragedia si era consumata. E anche nel corso di quell’incontro, nessun dato ci fu fornito. Assistemmo semplicemente al solito siparietto del rimpallo di responsabilità tra Enti gestori e Regione Lombardia dato che il sistema di gestione delle strutture residenziali per anziani lombardo è un sistema pressoché totalmente affidato a privati che forniscono il servizio avendone ottenuto l’accreditamento).

 

 

Oltre 700 strutture per più di sessanta mila posti letto accreditati

Stiamo parlando di oltre 700 strutture per più di sessanta mila posti letto accreditati, con forti disuguaglianze tra i territori e lunghe di lista di attesa per quanto riguarda le richieste di ingresso. Queste RSA oggi ospitano anziani con caratteristiche profondamente diverse da quelli che ospitavano quaranta anni fa, tuttavia né le strutture, né tantomeno i modelli organizzativi si sono adeguati a questi nuovi bisogni. L’età media degli ospiti, che si aggira intorno agli 85 anni, e le loro condizioni cliniche, fortemente compromesse, rendono gli anziani nelle RSA persone molto fragili. Quindi le RSA sembrano una brutta copia dei piccoli ospedali, senza però averne le medesime caratteristiche in termini di capacità di cura ed assistenza. La pandemia ha fatto emergere le criticità pre-esistenti di un modello di residenzialità “formalmente” integrato nel servizio sanitario regionale, ma collocato in posizione marginale e con un sistema di controlli molto lacunoso.

 

Nella fase più critica, tra tentativi di sminuire la gravità della situazione e la quantomeno stucchevole discussione tra morti “per” covid e “con” covid, due delibere di Regione Lombardia si sono rivelate determinanti per il prezzo pagato dagli anziani all’interno delle RSA. La prima è la scellerata delibera dell’08 marzo 2020 con la quale, al fine di liberare posti letto negli ospedali, si prevedeva il trasferimento di pazienti Covid a bassa intensità assistenziale all’interno delle RSA dotate di precisi requisiti strutturali ed organizzativi. Non risulta tuttavia che nessuno abbia mai effettuato verifiche e per di più, in quel periodo, come tutti ricordiamo, c’era grande scarsità di tamponi.

 

In aggiunta, il successivo 30 marzo, venne emanata un’altra delibera regionale in cui si stabiliva il divieto di trasporto in ospedale per gli anziani over 75 positivi o con sintomatologia simil-influenzale, in presenza di plurimorbilità. Sostanzialmente, veniva deciso che gli anziani ospiti delle RSA con quelle specifiche caratteristiche definite dalla norma, non avessero diritto di accesso alle cure appropriate, creando un’inaccettabile discriminazione rispetto agli anziani che vivevano al di fuori. Cosa sta dietro a queste due delibere se non la decisione politica che quegli anziani, fragili e indifesi, invisibili e chiusi all’interno di quelle strutture, potessero essere sacrificati per salvare l’immagine delle istituzioni regionali, in quel momento molto compromessa? È ignobile pensare che quello che è successo possa essere archiviato come “inevitabile”, senza riconoscere alcuna responsabilità.

 

 

Le richieste di protezione degli anziani fragili rimaste inascoltate

Nella primavera del 2021, come sindacati unitari dei pensionati, abbiamo avviato una raccolta firme su una proposta di riforma delle RSA che affrontava il tema dei minutaggi assistenziali, della valorizzazione del personale, della sostenibilità delle rette, del rafforzamento del governo pubblico e della trasparenza dei dati. Furono consegnate a Regione Lombardia circa 26 mila firme, ma purtroppo la nostra proposta è rimasta lettera morta.

 

Manca tuttora una reale volontà di affrontare il tema della non autosufficienza e di riformare il sistema della residenzialità. Le criticità permangono, a partire da una vera e propria emergenza che riguarda oggi la forte carenza di personale sanitario, con ripercussioni pesanti sui livelli di assistenza. Lo SPI rimane impegnato quotidianamente nell’intento di tutelare gli anziani e le loro famiglie. Per questo motivo abbiamo deciso di costituirci parte civile in ogni causa legale che riguardi le RSA ed è veramente desolante il fatto che solo in un’aula giudiziaria emergano dati che dovrebbero invece essere forniti dalle stesse RSA o da Regione Lombardia.

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