In Italia, i principali fornitori di cure primarie a persone che soffrono di patologie o disabilità che ne limitano l’autosufficienza sono le famiglie, le quali spesso cercano un aiuto esterno attraverso l’impiego di lavoratori domestici, soprattutto donne di minoranza etnica, migrate in Italia per lavoro. Per sostenere l’attività domestica di cura, alcune Regioni ed enti locali hanno promosso gli sportelli per l’assistenza familiare, che fanno parte della frammentata e disomogenea offerta di servizi, progetti e iniziative che tentano di governare il mercato privato di cura.
Il lavoro domestico di cura in Italia
Com’è noto, il regime di welfare italiano è definito da vari autori come “familistico” (Ferrera, 1996; Saraceno e Keck, 2008); infatti, anche nelle Regioni in cui la rete di prestazioni e servizi è più sviluppata, come in Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia, la gestione dell’assistenza alle persone anziane resta delegata alle famiglie, le quali sono chiamate a comporre un piano di cura che vede molto spesso presenti, al fianco dei caregiver familiari, i lavoratori domestici. Per questa ragione alcuni autori sostengono si sia passati da un modello di cure in famiglia ad un modello fondato sulle lavoratrici immigrate nelle famiglie (Bettio et al., 2006).
In Italia, il lavoro domestico di cura è svolto principalmente da persone provenienti da Paesi extra europei e, allo stesso modo di quanto avviene nel lavoro di cura non retribuito, sono le donne ad essere maggiormente impiegate (82,2%). L’assistente familiare, dunque, è nella maggior parte dei casi una donna, di minoranza etnica, migrata in Italia per lavoro, con un’età elevata, prevalentemente oltre i 50 anni (Vianello, 2019).
Rispetto al passato è utile notare due elementi di discontinuità:
- Il calo delle assistenti familiari: le famiglie, infatti, sono ancora il principale fornitore di assistenza agli anziani, anche nei Paesi di provenienza delle lavoratrici domestiche. Essendo migrata la componente femminile designata al lavoro di cura, le famiglie hanno dovuto riorganizzare le proprie pratiche di assistenza: alcune donne migranti sono dovute ritornare nel Paese di origine per prendersi cura dei propri genitori, altre hanno ricongiunto gli anziani in Italia, causando una diminuzione delle forze disponibili ad assistere gli anziani non autosufficienti nel nostro Paese, soprattutto per il lavoro in regime di convivenza.
- L’aumento dell’età delle lavoratrici: se dieci anni fa la maggioranza aveva un’età compresa tra 30 e 49 anni (54,0%), oggi la fascia più numerosa è quella delle ultra 50enni (52,4%). Contestualmente è diminuita anche la componente giovane (fino a 29 anni), passata dal 15% al 5% del totale (DOMINA, 2020).
Tra le altre peculiarità del lavoro domestico di cura, si richiamano brevemente: la casa come luogo di lavoro, che rende molto difficile regolare e controllare questo settore; la possibilità di lavorare non solo a ore ma anche in regime di convivenza, vivendo con le persone che si assistono; l’alta componente del lavoro irregolare, pari al 57,6% (ISTAT, 2020). I motivi del ricorso delle famiglie al lavoro irregolare sono soprattutto riconducibili alla scarsità di conoscenze e all’esigenza di contenere i costi, alla precarietà connaturata al lavoro domestico di cura, in quanto connesso al fragile stato di salute di una persona anziana o disabile, ai sistemi etico-valoriali; infine, all’assenza di supporti esterni e mediazioni terze. Dunque, questa relazione diretta tra lavoratrice e datore di lavoro fa sì che la decisione di avviare un rapporto di lavoro con o senza un regolare contratto di lavoro, così come l’organizzazione delle mansioni, siano regolate in modo informale, attraverso una contrattazione tra le parti guidata dai reciproci bisogni e interessi. Talvolta, l’alta deregolamentazione del lavoro domestico di cura viene compensata da caregiver e lavoratrici attraverso una regolamentazione sociale e informale creata attraverso l’interscambio, il cosiddetto “passaparola” (Marchetti, 2017).
Questi elementi evidenziano le complessità di questo ambito, nel quale tutte le parti coinvolte si trovano in una condizione di vulnerabilità: le lavoratrici possono sperimentare una vulnerabilità giuridica, professionale e soggettiva, soprattutto se sprovviste di un regolare titolo di soggiorno; i caregiver si trovano spesso a dover reggere in solitudine il peso della responsabilità dell’assistenza, dalla selezione delle persone alle quali affidare i propri familiari alla gestione del rapporto di lavoro; le persone assistite, persone fragili con un bisogno di assistenza continua, si ritrovano ad essere assistite e a condividere l’ambiente domestico con persone spesso non qualificate che lavorano prevalentemente per necessità economiche piuttosto che per scelta.
Gli sportelli per l’assistenza familiare: un quadro d’insieme
In questa prospettiva, gli sportelli per l’assistenza familiare, su cui insiste la ricerca qui presentata, possono giocare una parte importante. Questi servizi di welfare, infatti, operando a livello “micro” sociale per supportare e sostenere le relazioni con e tra le famiglie e le assistenti familiari, possono contribuire al superamento della dimensione individuale del lavoro domestico, potenziando tutte le istanze coinvolte nella cura affinché gli interventi formali (del mondo dei servizi) ed informali (del mondo della vita) possono compenetrarsi e coesistere efficacemente all’interno dello stesso progetto assistenziale. In base alla finalità, gli sportelli possono essere raggruppati in tre modelli (Pasquinelli e Rusmini, 2013): “modello informativo”, in cui gli operatori si limitano a segnalare i nominativi e il recapito delle persone che si propongono come assistenti familiari; “modello matching”, che facilita l’incontro tra domanda e offerta di lavoro; “modello integrato”, in rete con i servizi socio-sanitari territoriali e capace di offrire un sostegno nel tempo.
Nonostante gli sportelli siano realtà consolidate e diffuse in tutta Italia, non sono numerose le ricerche in questo ambito. Su questi servizi, esistono due rilevazioni sistematiche a livello regionale, realizzate dall’ Emilia-Romagna e dal Friuli-Venezia Giulia (Pasquinelli e Rusmini, 2013; Tomasin, 2014), e due studi di caso realizzati in Lombardia (Moscatelli, 2011) e Piemonte (Torrioni, 2015). I due monitoraggi regionali hanno evidenziato che gli sportelli sono utilizzati da lavoratrici e famiglie principalmente con lo scopo di trovare un punto di ascolto e orientarsi nell’informalità, meno per l’attività di matching. Gli studi di caso, invece, hanno evidenziano alcuni punti di forza e limiti degli sportelli, riportati nella tabella 1.
La ricerca su uno sportello per l’assistenza familiare
Sono dunque poche le ricerche che riflettano in maniera approfondita sugli sportelli per l’assistenza familiare, in particolare sul lavoro professionale degli operatori di questi servizi. Per questa ragione, si è deciso di realizzare lo studio di caso qualitativo di un particolare Sportello con l’intento di rispondere alla seguente domanda di ricerca: attraverso quali modalità operative e accorgimenti metodologici le operatrici dello Sportello curano la relazione con caregiver, persone assistite e lavoratrici e sostengono la relazione tra loro? Cosa rende valevole dal punto di vista umano e relazionale tale servizio? Quali sono le criticità dello Sportello riscontrate da caregiver e lavoratrici e quali i cambiamenti auspicabili?
Lo Sportello Assistenti Familiari del Centro di Solidarietà di Reggio Emilia
Nella ricerca, il caso è rappresentato dallo Sportello Assistenti Familiari del Centro di Solidarietà di Reggio Emilia, un servizio realizzato grazie ad una convenzione con le Farmacie Comunali Riunite (FCR), un’Azienda Speciale poliservizi del Comune di Reggio Emilia.
Lo Sportello si pone i seguenti obiettivi:
- accompagnare le famiglie nella stabilizzazione di un’attività assistenziale che non sono più in grado di svolgere in autonomia, sostenendole nella formalizzazione di un progetto assistenziale condiviso con il servizio;
- selezionare e formare delle persone al lavoro domestico di cura;
- realizzare l’abbinamento tra famiglie e lavoratrici, garantendo un supporto nel lungo periodo;
- fornire una consulenza a caregiver e lavoratrici rispetto alle conflittualità e mediare per ripristinare un equilibrio quando possibile.
Per la raccolta dei dati, gli strumenti adottati sono stati l’osservazione partecipante e l’intervista semi-strutturata. L’osservazione era finalizzata a conoscere maggiormente le fasi del percorso di aiuto, il clima degli incontri, le modalità di relazione adottate dalle operatrici e le funzioni messe in campo per sostenere i percorsi di famiglie e assistenti familiari. Sono stati osservati 52 incontri per un totale di 48 ore di osservazione. Le interviste semi-strutturate, invece, sono state 24: alla responsabile, alle due operatrici e a un campione di 10 caregiver e 11 assistenti familiari, in modo da acquisire punti di vista multipli sul caso studiato. La traccia per le professioniste era focalizzata su a come si sviluppano gli interventi e al significato che vi attribuiscono, mentre a caregiver e lavoratrici la traccia verteva sulla loro esperienza con il servizio.
La scelta degli intervistati è stata effettuata con la responsabile dello Sportello: per quel che riguarda i caregiver si è cercato di differenziare l’età delle persone da loro assistite, il tipo di assistenza richiesta e la durata della presa in carico. Le lavoratrici, invece, erano provenienti dai Paesi maggiormente rappresentati presso lo Sportello, diverse per età, per genere e disponibilità lavorativa.
Prima di passare ai risultati, si evidenziano brevemente i limiti della ricerca, alla luce dei quali i risultati vanno letti. Un primo limite è intrinseco alla ricerca qualitativa, i cui esiti non si prestano ad alcuna generalizzazione e possono riferirsi esclusivamente all’esperienza dello Sportello di Reggio Emilia. La conoscenza approfondita dei particolari di questo servizio, però, può produrre una conoscenza utile anche in altre contesti, ad esempio in servizi analoghi che, a partire dal riconoscimento delle differenze con l’esperienza di Reggio Emilia, possano comunque trarre spunti per riflettere sulle proprie prassi e modalità di lavoro. Un secondo limite riguarda la scelta degli intervistati effettuata con la responsabile del servizio, per cui potrebbero risultare sotto rappresentate le opinioni più critiche. Infine, la pandemia ha limitato la raccolta dei dati, avvenuta tra settembre 2020 e gennaio 2021.
I risultati della ricerca
Per esigenze di sintesi, si metteranno in luce gli aspetti più valevoli e critici più rilevanti, così come i suggerimenti per il miglioramento del servizio raccolti nelle interviste a caregiver e assistenti familiari.
1) L’importanza dell’ascolto
Nelle linee di indirizzo sull’emersione e la qualificazione del lavoro di cura, la Regione Emilia-Romagna intende promuovere punti d’ascolto per famiglie e lavoratrici. Quanto avviene allo Sportello studiato è in linea con la normativa regionale, infatti i primi colloqui di conoscenza e assessment garantiscono a caregiver e assistenti familiari uno spazio di ascolto e comprensione. Per le lavoratrici, inoltre, lo Sportello organizza incontri di gruppo mensili per potenziare la conoscenza e il legame con queste persone. Al contrario, per quel che riguarda i caregiver lo Sportello non propone attività di gruppo strutturate.
Dalle interviste a caregiver e lavoratrici è emerso che entrambi i gruppi percepiscono un ascolto attento da parte delle operatrici e si sono sentiti riconosciuti nelle loro fatiche e aspirazioni. Tra le indicazioni per migliorare il servizio, poi, alcuni caregiver hanno dichiarato di sentire il bisogno di confrontarsi non solo nei colloqui individuali con le operatrici, ma per un tempo più dilatato con altri familiari; per altri caregiver, invece, sarebbe utile il confronto con figure competenti, soprattutto su temi quali l’elaborazione del lutto e l’accettazione della malattia.
2) Un punto di riferimento per famiglie e lavoratrici
Nelle dichiarazioni dei caregiver intervistati emerge il bisogno di accompagnamento, ovvero di ricevere maggiori supporti non tanto in termini di servizi, bensì di informazioni, orientamento e sostegno emotivo. Nelle interviste, infatti, essi hanno segnalato la mancanza di una presa in carico continuativa da parte dei servizi sociali territoriali e l’esigenza di essere supportati nell’impostare l’assistenza a domicilio, poiché solitamente agiscono autogestendo i bisogni e le risposte nella cornice delle mura domestiche, affidandosi eventualmente al passaparola con tutte le difficoltà che questo può comportare. L’aiuto dello Sportello, dunque, si è rivelato un appoggio importante per contrastare stress e disorientamento.
Anche le assistenti familiari considerano lo Sportello un punto di riferimento non solo per il lavoro, ma anche per altri aiuti. Dai loro racconti emerge che hanno ricevuto sostegno, ad esempio, nell’acquisizione o rinnovo del permesso di soggiorno o nelle pratiche per il ricongiungimento familiare. Importante, in quest’ottica, è il fattore temporale (lo Sportello del Centro di Solidarietà è attivo da 20 anni) e il basso turnover del personale che ha permesso di stringere legami profondi e duraturi.
3) Il supporto alla continuità assistenziale
Il monitoraggio offerto dallo Sportello sulle attività lavorative avviate viene realizzato, nella maggior parte dei casi, attraverso colloqui individuali o telefonici al bisogno. Ogni tanto si realizzano degli incontri congiunti sul progetto assistenziale concordato. Dalla ricerca sullo Sportello – e anche da quelle disponibili su servizi analoghi – è emerso come il benessere delle persone coinvolte nell’attività di cura dipenda dalla qualità delle loro relazioni e dalla chiarezza della cornice entro cui tali relazioni hanno luogo. Infatti, per l’esperienza delle operatrici, gli abbinamenti tra famiglie e lavoratrici falliscono principalmente per la mancanza di riconoscimento del lavoro svolto dalle assistenti familiari da parte dei caregiver/datori di lavoro, per l’assunzione da entrambe le parti di atteggiamenti che impediscono il dialogo e la collaborazione e infine, per la definizione di accordi poco chiari o non formalizzati, che poi finiscono per essere disattesi nel corso dell’attività di cura. L’azione di monitoraggio e mediazione, dunque, può consentire alle parti coinvolte di trovare spazi di dialogo e confronto necessari per ridefinire e rinnovare gli accordi presi nella fase iniziale e garantire continuità all’attività lavorativa, centrale a causa della precarietà connaturata al lavoro domestico di cura perché rivolto a persone con una condizione di salute precaria.
Rispetto al monitoraggio, però, si è rilevato un disallineamento tra l’azione professionale delle operatrici e le esigenze espresse dai caregiver intervistati. Questi ultimi, infatti, hanno dichiarato di desiderare un monitoraggio più puntuale, che non si limiti ad una telefonata nel primo periodo o ad alcuni colloqui al bisogno, ma sia anche nel lungo periodo e preferibilmente domiciliare cosa che, secondo i caregiver, permetterebbe alle operatrici di coinvolgere nella verifica dell’andamento tutti i soggetti implicati nella cura, tra cui le persone assistite.
4) L’aiuto concreto della formazione
Lo Sportello eroga alle assistenti familiari una formazione gratuita e obbligatoria, suddivisa in seminari di due/tre ore, che si ripetono circa ogni mese. I contenuti riguardano quattro macro aree: l’ambito sanitario, gli aspetti relazionali, il mandato professionale e il contratto di lavoro. Nelle interviste le lavoratrici hanno dichiarato di apprezzare la formazione offerta e considerano i corsi come un momento utile per prepararsi psicologicamente al lavoro e prevenire incomprensioni e conflitti. Un’assistente familiare intervistata, poi, suggerisce di potenziare la formazione, non limitandola esclusivamente al periodo antecedente l’ingresso nel mondo del lavoro. Per la sua esperienza, infatti, la percezione del bisogno formativo è aumentata man mano che si sperimentava sul campo, nel momento in cui ha dovuto affrontare le prime difficoltà. Rispetto ai contenuti, l’intervistata propone di approfondire temi quali l’empatia e il gesto di cura, per imparare a «rispecchiarsi nelle persone», cosa che può rendere il lavoro meno pesante dal punto di vista psicofisico.
5) L’approccio relazionale delle operatrici dello Sportello
Dalle interviste è emerso come caregiver e assistenti familiari si siano sentiti parte attiva nell’indirizzare e orientare gli interventi. Le operatrici, infatti, considerano caregiver e assistenti familiari non come utenti, ma come “partner” fondamentali per la buona riuscita degli interventi, condividendo con loro la responsabilità del processo di aiuto, secondo il principio di reciprocità.
Le operatrici dello Sportello, grazie al confronto continuo con numerosi caregiver e assistenti familiari, sono nella posizione di rilevare condizioni e problematiche ricorrenti nelle persone che incontrano. È a partire da queste considerazioni che esse hanno organizzato incontri di gruppo per le assistenti familiari. Anche la facilitazione dei gruppi è una competenza tipica dell’operatore che lavori secondo un’ottica relazionale e tale modalità di lavoro può impattare anche su altre dimensioni del vivere, ad esempio attenuando il sentimento di solitudine delle lavoratrici domestiche e allargando la rete di persone a cui possono fare riferimento per ricevere aiuto e sostegno.
Conclusioni
In conclusione, i risultati della ricerca hanno permesso di identificare alcune indicazioni per il miglioramento dello Sportello di Reggio Emilia, che potrebbero essere valorizzate e capitalizzate anche da servizi analoghi.
1) La promozione degli sportelli
Il bisogno di ascolto e accompagnamento di caregiver e lavoratrici suggerisce di promuovere sportelli che siano in rete con i servizi socio-sanitari e capaci di offrire un sostegno nel tempo. Per l’esperienza dello Sportello, questo non si è rivelato facile perché l’assenza di supporti territoriali che, in collaborazione con lo Sportello, si occupino di monitorare il lavoro domestico appesantisce i compiti delle operatrici, carica le famiglie di ulteriori responsabilità e rafforza l’isolamento di queste situazioni. Questo comporta la necessità di lavorare per promuovere e integrare maggiormente lo Sportello nella rete dei servizi. Agire in questo senso potrebbe potenziare e ampliare la capacità di presa in carico del sistema socio-sanitario, perché molto spesso agli sportelli accede un target di popolazione che non sempre si reca ai servizi sociali.
2) Il supporto alle famiglie, in particolare ai caregiver
Per sostenere il lavoro domestico di cura è necessario rafforzare il sistema familiare, sempre più indebolito. Per fare questo, lo Sportello potrebbe organizzare e animare iniziative che rispondano ai bisogni espressi dai caregiver intervistati, visti in precedenza, facendosi promotore di momenti di incontro e confronto, ad esempio attivando gruppi di auto-mutuo aiuto.
3) La formazione continua per le assistenti familiari
A partire dalle considerazioni attorno alla formazione, deriva l’indicazione per lo Sportello di promuovere una formazione continua per le lavoratrici, per l’importanza che riveste per alcune di loro l’incontro e lo scambio nella dimensione di gruppo.
4) La formazione agli operatori
Benché abbiano una lunga esperienza di lavoro presso lo Sportello, la responsabile e le due operatrici non hanno ricevuto proposte di formazione, né di supervisione professionale. Pertanto, si suggerisce di promuovere una formazione su alcuni temi, quali: l’approccio relazionale di lavoro sociale e l’approccio interculturale, per comprendere come fronteggiare i pregiudizi e gli stereotipi, più o meno espliciti, nei confronti delle lavoratrici di minoranza etnica incontrati nella relazione con le famiglie, ma anche per riflettere sui propri stili operativi nei confronti della diversità etnica e culturale, che potrebbero, anche inconsapevolmente, influire sulla progettazione degli interventi. La formazione potrebbe servire per avviare percorsi che potrebbero permanere in attività stabili di supervisione.
5) Per una cura più etica e qualificata
Infine, lo Sportello riserva un’attenzione a chi cura e, di conseguenza, a chi è curato. Il servizio, infatti, è diventato un punto di riferimento per le assistenti familiari, per le quali rappresenta uno spazio di ascolto informale e facilmente accessibile in cui possono trovare formazione gratuita e un’ampia offerta di aiuti collaterali al lavoro domestico per bisogni spesso trascurati, come l’apprendimento della lingua, la salute, il tempo libero, eccetera.
In un momento come quello attuale, in cui le indicazioni contenute nel PNRR vanno nella direzione di evitare l’istituzionalizzazione, mettendo al centro la cura al domicilio, è particolarmente rilevante mappare e continuare a studiare questi servizi, nati proprio con l’obiettivo di supportare la permanenza al domicilio degli anziani. Ulteriori ricerche in questo ambito potrebbero aiutare a comprendere quali siano le buone prassi da mettere in campo per la promozione e tutela della salute delle persone anziane e per il supporto alle famiglie, anche alla luce dell’andamento demografico del nostro Paese, dei cambiamenti in atto nel settore del lavoro domestico di cura e delle sfide che il nostro sistema di welfare dovrà affrontare.
Bibliografia
Bettio F., Simonazzi A., Villa P. (2006), Change in care regimes and female migration: The ‘care drain’ in the Mediterranean, in Journal of European Social Policy, 16(3). 271–285. doi.org/10.1177/0958928706065598
Ferrera M. (1996), The Southern model of welfare in social Europe, in Journal of European Social Policy, 6(1), 17–37.
Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) (2020), Rapporto annuale. La situazione del Paese.
Marchetti S. (2017), Networks beyond nationalities? Relationships amongst Eastern European women workers in Italy facing the economic crisis, in Journal of Ethnic and Migration Studies, 43(4), 633–651. doi.org/10.1080/1369183X.2016.1249052
Moscatelli M. (2011), Famiglie con anziani non autosufficienti e lavoro privato di cura: lo sportello di assistenza familiare dell’ambito di Cinisello Balsamo, in Bramanti D, Carrà, C. E. (ed.), Buone pratiche nei servizi alla famiglia. Famiglie fragili. Famiglie con anziani non autosufficienti, (pp. 317–333), Osservatorio nazionale sulla famiglia, Roma.
Pasquinelli S., Rusmini G. (2013), Il punto sulle badanti, In NNA (a cura di) L’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia. Quarto rapporto, pp. 93-111, Maggioli.
Saraceno C., Keck, W. (2008), The institutional framework of intergenerational family obligations in Europe: A conceptual and methodological overview, Multilinks project.
Tomasin P. (a cura di) (2014), Servizi e interventi domiciliari per anziani non autosufficienti in Friuli Venezia Giulia. Analisi propedeutica alla progettazione di filiere di assistenza domiciliare, Istituto Regionale per gli studi di Servizio sociale, Trieste.
Torrioni, P. M. (2015), Sportelli e servizi per l’assistenza familiare. Sperimentazioni di welfare mix nella provincia di Torino, Celid, Torino.
Vianello F. A. (2019), The Health of Migrant Women Working as Home Care Assistants in Italy: An Analysis of the Most Hazardous Factors of Home Care Work, in Underserved and Socially Disadvantaged Groups and Linkages with Health and Health Care Differentials, Emerald Publishing Limited, Bradford. doi.org/10.1108/S0275-495920190000037019