L’arte ha conseguenze benefiche sul benessere della persona note fin dall’antichità; recentemente gli effetti dell’arte sulla salute vengono scientificamente misurati: ciò ha portato alla nascita di una nuova disciplina, la neuroestetica. Scoperte come l’effetto Mozart, legato alla musica, e l’effetto Michelangelo, legato alla pittura, possono migliorare l’efficacia dei protocolli già in essere di arte terapia e integrarli, anche tramite l’utilizzo delle nuove tecnologie digitali.
L’efficacia dell’arte terapia
Nel 2019 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha pubblicato un’ampia review della letteratura scientifica sull’efficacia dell’arte terapia: sono stati analizzati oltre 3.000 studi che hanno dimostrato l’efficacia di approcci basati sull’arte terapia, nella prevenzione e nella promozione della salute così come nella gestione e nel trattamento della patologia (Fancourt, Finn, 2019). Questa revisione ha messo in luce come l’arte implichi un coinvolgimento estetico e immaginativo, un’evocazione emotiva, una stimolazione cognitiva, un’attivazione delle aree cerebrali sensorimotorie, una possibilità di favorire l’interazione sociale, tutti elementi che possono essere utilizzati per promuovere il benessere e la salute.
Rispetto ad altri documenti discorsivi, questa review dell’OMS si distingue per il suo approccio scientifico, anche grazie al fatto che sempre più studi hanno introdotto misure quantitative per dimostrare l’efficacia degli interventi proposti. Tra queste vi è la misura delle risposte fisiologiche (frequenza cardiaca, conduttanza cutanea, livello di cortisolo salivare), risposte psicologiche (tempi di risposta a test espliciti e impliciti, test di attenzione, misure psicometricamente validate di qualità della vita), risposte cliniche basate su scale cliniche con variabili ordinali, risposte comportamentali (scelte, attività anche misurate con actigrafi), risposte sociali (numero di uscite da casa, interazioni).
La review dell’OMS include diversi tipi di arte: da quelle visive (es. pittura, fotografia) a quelle performative (es. recitazione, danza); da quelle legate alla letteratura (lettura, scrittura) a quelle digitali di ultima generazione che sfruttano la computer grafica e le animazioni. L’OMS suddivide l’arte terapia in protocolli che sfruttano la fruizione dell’arte (es. guardare un quadro, ascoltare una musica) e quelli che producono arte (es. dipingere, suonare uno strumento). In realtà però generalmente i pazienti, come la maggior parte dei soggetti sani, non sono in grado di produrre (o riprodurre) un’opera d’arte.
Vanno poi considerati altri due aspetti fondamentali che accomunano arte e neuroriabilitazione. Il primo è che entrambe sono in equilibrio tra oggettività e soggettività. L’arte ha una componente di bellezza oggettiva e una soggettiva: davanti alla Cappella Sistina tutti rimangono estasiati, ma c’è chi preferisce Raffaello e chi Caravaggio, chi Monet e chi Picasso. Anche la neuroriabilitazione deve muoversi tra la necessità di basarsi sui risultati oggettivi forniti dall’evidence based-medicine, che mette a disposizione dati statistici di studi sperimentali, misurati su gruppi di pazienti, e l’opportunità di personalizzare i programmi riabilitativi sulle necessità del singolo soggetto, sulle sue aspettative, i suoi bisogni, le sue possibilità di recupero.
L’altro aspetto in comune tra arte e neuroriabilitazione è quello dell’armonia. La bellezza nell’arte si è spesso basata sull’armonia, ma anche il movimento fisiologico è qualcosa caratterizzato da pattern armonici; un movimento disarmonico è quasi sempre sintomo di patologia. Questo concetto era già stato intuito dal neurofisiologo russo Aleksandr Romanovič Luria, che negli anni ‘70 parlò di “melodie cinetiche” per descrivere la fluidità dei movimenti della nostra mano mentre scrive, orchestrando in parole scritte in bella grafia le singole lettere che abbiamo imparato a realizzare fin da piccoli con dei movimenti precisi. La sua intuizione nel tempo è stata forse poco sfruttata; la scienza dell’analisi del movimento umano si è spesso concentrata nello spezzettare il movimento nelle sue componenti principali, per analizzarne specifici indici.
La neuroestetica, una disciplina emergente
Nella review dell’OMS non ci sono riferimenti alla neuroestetica, una scienza emergente che nasce dalla tradizione filosofica dell’estetica, ampiamente trattata da Immanuel Kant e Georg Wilhelm Friedrich Hegel, per affiancare strumenti psicometrici e fisiologici utili a misurare psicologicamente l’impatto dell’arte sulla persona. La neuroestetica è la disciplina che studia scientificamente i processi cognitivi e le basi neurali inerenti la percezione del bello, la fruizione e la creazione dell’arte; la psicologia dell’arte può essere definita come la branca della psicologia che studia le esperienze estetiche e il comportamento in relazione alla creazione e alla fruizione dell’arte.
Tra i principali risultati degli studi di neuroestetica rientrano quelli relativi all’osservazione di dipinti: davanti a un capolavoro dell’arte il cervello reagisce con un’ampia risposta neuronale, un arousal (stato generale di attivazione e reattività del sistema nervoso, in risposta a stimoli interni o esterni) di diverse aree cerebrali che includono i centri cerebrali alla base del nostro stato emotivo, i centri relativi alla ricompensa, e persino le aree sensorimotorie, come dimostrato da studi di neuroimmagini ed elettroencefalografici (Freedberg, Gallese, 2007). Grazie a questi studi, condotti in primis dal gruppo del neuroscienziato Vittorio Gallese (che aveva già contribuito alla scoperta dei neuroni specchio nel gruppo del neuroscienziato Giacomo Rizzolatti), e all’estero da ricercatori come il neurobiologo Semir Zeki (considerato il fondatore della neuroestetica) e il neurologo Anjan Chatterjee, le neuroscienze stanno svelando sempre più chiaramente come il cervello reagisca davanti alla bellezza dell’arte.
L’attivazione della corteccia motoria e pre-motoria è piuttosto sorprendente, se si pensa che il soggetto sta semplicemente osservando un’opera statica come un quadro. Tuttavia questa va intesa all’interno di quell’ampia e diffusa attivazione cerebrale che implica anche l’attivazione dei neuroni specchio (rispetto a scene in cui i soggetti rappresentati stanno compiendo un’azione), il riconoscimento delle intenzioni motorie, ma anche – nei quadri dove non sono rappresentate persone, ma paesaggi e ambienti con oggetti – l’attivazione cerebrale legata a programmi di immaginazione motoria relativi all’esplorazione di un ambiente o all’uso di un oggetto raffigurato nel quadro. Persino davanti a opere astratte, come ad esempio le tele con i tagli di Lucio Fontana, si sono osservate attivazioni delle aree motorie, probabilmente legate al coinvolgimento empatico con l’artista e all’immaginazione motoria legata al gesto compiuto per creare l’opera.
Effetto Mozart: musica e malattia di Parkinson
Nell’ambito degli effetti dell’arte sul cervello è importante citare il controverso effetto Mozart, piuttosto contestato in quanto i mass-media l’hanno spesso interpretato come un miglioramento dell’intelligenza (del quoziente intellettivo, nello specifico) derivante dall’ascolto della musica classica (di Mozart, nello specifico). In realtà lo studio originale riporta informazioni solo sulla prestazione in un compito di ragionamento spaziale, migliore durante l’ascolto di una sonata per due pianoforti di Mozart rispetto ad altre due condizioni acustiche: silenzio e istruzioni motivazionali (Rauscher, et al., 1995).
Peraltro l’effetto è immediato e non ha conseguenze a lungo termine. Se da un lato, quindi, l’effetto Mozart suggerisce che l’intelligenza aumenti ascoltando la musica classica, è pur vero che molti studi hanno mostrato effetti della musica su diverse prestazioni cognitive e motorie. Si pensi ad esempio al divieto per i corridori di partecipare alle maratone ascoltando musica attraverso delle cuffie. D’altronde già nell’antica Grecia i pitagorici usavano medicine per purificare il corpo e musica per purificare la mente; come ha affermato il filosofo e scrittore di teoria musicale Aristosseno (IV secolo a.C.) nella sua opera Elementi di armonia, “la musica è coesistenza: sensazione e memoria; bisogna infatti sentire ciò che accade e ricordare ciò che è accaduto”.
Nel 2013, nello SmArt Lab (Laboratorio per lo Studio della Mente e dell’Azione nella Riabilitazione Tecnologica) presso l’IRCCS Fondazione Santa Lucia, avevamo scoperto un altro inaspettato punto di incontro tra arte e movimento (Iosa, et al., 2013). Misurando tramite sensori il cammino di soggetti sani ci eravamo accorti che il rapporto tra la durata della fase in cui il piede è a contatto con il terreno e quella in cui il piede avanza in aria è sempre lo stesso e corrisponde a un numero particolare: la sezione aurea (circa 1,618).
Questo numero era già noto ai greci, per conferire proporzioni armoniche nelle statue (ad esempio la Venere di Milo e i Bronzi di Riace) e nelle facciate dei templi (ad esempio il Partenone), e fu ripreso, allo stesso scopo, da artisti rinascimentali quali Leonardo e Michelangelo. La sezione aurea permette di dividere un segmento in due parti in modo che la proporzione tra le due sia uguale alla proporzione tra l’intero segmento e la parte più grande, come spiegò geometricamente Euclide nel III secolo a.C..
Nelle opere d’arte che raffigurano persone la sezione aurea è il rapporto fra l’altezza totale dell’individuo e la distanza fra il suo ombelico e il terreno. Ebbene, anche il cammino, che nel soggetto sano è simmetrico, basa la propria armonia su questo numero: la sezione aurea è il rapporto fra la durata della fase di appoggio e quella di oscillazione del cammino (in figura 1 rappresentato tramite i segmenti rossi e i segmenti blu).
Dal 2013 il laboratorio SmArt Lab ha lavorato per approfondire il collegamento che l’armonia crea tra l’azione motoria e la percezione della bellezza e per sviluppare programmi riabilitativi in cui si sfruttasse questo approccio armonico (Iosa, 2018). Nel 2016, in collaborazione con il Laboratorio di Analisi del Cammino dell’IRCCS Fondazione Santa Lucia, abbiamo evidenziato come questa armonia fisiologica, basata sulla sezione aurea, fosse persa nei pazienti con malattia di Parkinson (Iosa, et al., 2016). Tanto più grave era la patologia, tanto più i passi dei malati si allontanavano dal rapporto aureo; la nostra ipotesi fu che in questi pazienti la riduzione di dopamina nei gangli della base diminuisse la capacità di riprodurre il ritmo fisiologico aureo del cammino.
Abbiamo dunque testato due protocolli, per fornire un ritmo esterno ai pazienti che restituisse simmetria al passo, nel tentativo di sopperire ai deficit di produzione di ritmo interno. Molti studi si sono occupati di questo, la maggior parte tramite un semplice metronomo. Assieme al bioingegnere Giuseppe Vannozzi dell’Università degli Studi di Roma Foro Italico abbiamo allora sviluppato una app, che permettesse di generare un ritmo acustico, adattabile in velocità alle condizioni del paziente ma con un’intrinseca armonia legata a quella aurea. Nei pazienti che camminavano ascoltando questo ritmo sono stati evidenziati alcuni piccoli miglioramenti; in particolare aumentava il sollevamento del piede da terra, una condizione cinematica in grado di ridurre il rischio di caduta in chi è affetto da malattia di Parkinson (Belluscio, et al., 2021).
Per motivare maggiormente i pazienti abbiamo utilizzato l’ascolto di musiche famose durante il cammino, partendo dalla musica classica (con circa 92 battiti per minuto), passando dalla musica pop dei Beatles fino alla musica rock dei Queen e persino all’Heavy Metal (120 bpm). I risultati sono stati molto interessanti: da un lato hanno mostrato un effetto della musica ascoltata simile, sia sui soggetti sani che sui pazienti (al netto dei loro deficit, ovviamente); è inoltre emerso che la musica classica, con meno battiti per minuto, era più utile per i pazienti con festinazione, mentre musiche con ritmi più sostenuti erano più efficaci per pazienti con bradicinesia (De Bartolo, et al., 2020).
Effetto Michelangelo: arte terapia nell’ictus
Nel 2021 abbiamo tentato di utilizzare le conoscenze derivanti dalla neuroestetica per migliorare i protocolli di arte terapia nella neuroriabilitazione di pazienti con ictus, specie di chi necessita una riabilitazione di alta specializzazione. Sono state messe in comune le competenze neuroriabilitative dell’IRCCS Fondazione Santa Lucia con quelle del Dipartimento di Psicologia dell’Università Sapienza di Roma, quelle ingegneristiche dello stesso ateneo romano, quelle del Laboratorio di Realtà Virtuale dell’Università Unitelma Sapienza: ne sono derivati diversi progetti (progetto NeuroArtifact, progetto Michelangelo di ricerca clinica traslazionale), dando vita all’ambiziosa idea di utilizzare l’arte visiva per riabilitare l’arto superiore dei pazienti con ictus.
L’ictus è una patologia cerebrovascolare che causa diversi gradi di disabilità, a seconda delle aree interessate dall’insulto; la maggior parte dei pazienti (dal 65 all’85%) va incontro a un recupero solo parziale dell’uso dell’arto superiore, mentre per il 20% circa il recupero non è proprio possibile. Attualmente la riabilitazione dell’arto superiore si sta aprendo sempre più a nuove tecnologie, al fine di aumentare le chances di recupero funzionale. Tra gli strumenti più innovativi e promettenti vi è la realtà virtuale, per la quale sono già stati riportati risultati positivi di esercizi basati sulla gamification o sulla riproduzione di attività della vita quotidiana.
L’idea alla base del protocollo proposto è stata quella di utilizzare la realtà virtuale affinché il paziente abbia l’impressione di realizzare qualcosa altrimenti impossibile: dipingere un capolavoro artistico. Tramite un caschetto di realtà virtuale il paziente viene immerso in una stanza – con una porta, una finestra, un divano, insomma una normale stanza di una casa – in cui vi è anche una tela bianca. Il paziente tiene in mano un joystick, che nel mondo virtuale simula un pennello; muovendolo sulla tela apparirà pian piano un capolavoro della storia dell’arte (ad esempio Nascita di Venere di Botticelli, Creazione di Adamo di Michelangelo, Girasoli di van Gogh, I tre musici di Picasso). Il paziente sarà così motivato a “dipingere” tutta la tela, muovendo il suo braccio (ovviamente con supervisione da un terapista), con l’obiettivo terapeutico di migliorare il controllo motorio dell’arto superiore e di aumentare il range di movimento di spalla, gomito e polso, aumentando l’attivazione cerebrale delle aree motorie ma anche di quelle coinvolte nei meccanismi di ricompensa e nell’emotività.
Il sistema è stato prima testato su un gruppo di soggetti sani, che in una sessione dovevano solo colorare la tela e in un’altra sessione, al muovere del joystick, facevano apparire sulla tela, uno per volta, diversi capolavori artistici. I soggetti sani hanno riportato di apprezzare molto il sistema; la loro fatica percepita è stata inferiore quando interagivano con capolavori artistici rispetto a quando veniva loro chiesto semplicemente di colorare la tela, sebbene – da un punto di vista motorio – il compito fosse identico.
Abbiamo poi sottoposto dei pazienti a dieci sedute di questo trattamento virtuale, in aggiunta alla classica neuroriabilitazione; nelle prime sedute la tela era più piccola e orizzontale, per poi passare a una tela verticale più grande. I pazienti hanno mostrato un miglioramento delle loro prestazioni motorie; soprattutto chi è stato sottoposto a stimolo virtuale ha espresso un migliore controllo motorio, come mostrato da traiettorie della mano sulla tela più efficienti.
Il sistema di realtà virtuale consente infatti di registrare la traiettoria dei movimenti della mano che hanno generato il quadro; nella figura 3 tali movimenti sono riportati in blu. La lunghezza della traiettoria, il tempo impiegato a completare l’opera e alcuni parametri legati alla fluidità della traiettoria possono essere misurati dal sistema stesso, fornendo importanti informazioni sulla prestazione del paziente e – nel corso delle varie sedute – sul suo miglioramento.
Abbiamo chiamato questo effetto positivo dell’arte sulla prestazione motoria “effetto Michelangelo”, analogamente al già citato “effetto Mozart” (Iosa, et al., 2021). Il successivo studio randomizzato controllato, condotto in collaborazione con la casa di cura Nomentana Hospital, ha mostrato un miglioramento significativo dell’indipendenza nelle attività di vita quotidiane per i pazienti con ictus che seguivano questo protocollo di arte terapia virtuale basato sull’effetto Michelangelo, rispetto ai pazienti che erano sottoposti alla terapia convenzionale (De Giorgi, et al., 2023).
L’arte, per il suo grande impatto sull’attività cerebrale, sembra dunque costituire una nuova frontiera della neuroriabilitazione, grazie anche alle potenzialità offerte dalle più moderne tecnologie che ci stanno facendo scoprire che certi capolavori non sono solo belli, ma possono essere anche utili, fonte di ispirazione e persino di cura.
Benessere culturale: i progetti NeuroArtifact e NeuroMuseum
In conclusione, l’OMS ha già riportato le evidenze scientifiche a supporto dell’arte terapia nel gestire e trattare la disabilità, nel favorire il benessere e la salute mentale della persona, nell’influenzare i ritmi biologici dell’organismo, nel migliorare le capacità funzionali, le strategie di coping e le capacità comunicative. L’arte infatti è un linguaggio potente, evocativo, trasversale e universale, che può portare a rivalutazioni cognitive e a una sublimazione aulica della propria condizione, delle proprie emozioni e in generale della propria persona nella sua interezza, ma ancora di più favorendo – attraverso il patrimonio culturale – la memoria collettiva e l’appartenenza sociale.
Iniziative come il Progetto NeuroArtifact del Dipartimento di Psicologia dell’Università Sapienza, ad esempio, hanno portato nei luoghi di cura come il servizio di Dialisi della casa di cura Nomentana Hospital la possibilità per il paziente di effettuare una visita virtuale a un museo mentre riceve la terapia, con riduzione di stress e ansia. Dall’altro lato, invece, gli studi sugli effetti dell’arte sul cervello possono essere usati dagli allestitori museali per migliorare l’esperienza estetica, così come nel Progetto NeuroMuseum – in collaborazione tra il Dipartimento di Psicologia dell’Università Sapienza e il Politecnico di Torino – che utilizzerà un caschetto per la registrazione dei segnali cerebrali mentre si passeggia per un museo, consentendo di valutare livello cognitivo ed emotivo durante la visita. Tutto ciò al fine di favorire il così detto Cultural Wellness, il benessere che nasce dalla cultura.
Bibliografia
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