2 Maggio 2024 | Strumenti e approcci

Il dolore e la sofferenza nella malattia

L’articolo esplora l’importanza della spiritualità nella cura del malato oncologico, focalizzandosi sul dolore fisico e psicologico, e sottolineando l’essenziale ruolo dei caregiver e della famiglia nell’assistenza. Affronta la necessità di comprendere e accettare profondamente il dolore del paziente, offrendo un sostegno incondizionato e un ambiente di ascolto empatico per affrontare le sfide della malattia. Questo approccio, integrando cure fisiche e sostegno emotivo, mira a garantire dignità e conforto nel percorso di cura.

Il dolore e la sofferenza nella malattia

Nelle cure del malato oncologico, soprattutto in quelle palliative, è di fondamentale importanza prestare grande attenzione alla spiritualità, intesa come considerazione delle attese e delle domande umane più profonde. È cruciale distinguere tra il dolore fisico e la sofferenza, poiché concentrarsi esclusivamente sul primo può portare a trascurare la complessità emotiva e psicologica del paziente, delineando così la differenza tra curare la malattia e curare il malato.

Il dolore in questi pazienti è spesso terribile e lo si deve curare, ma occorre anche ricordare che la sofferenza, l’angoscia e la solitudine del malato diventano comportamenti comunicativi  e, necessariamente, diventa basilare sapere e conoscere in che modo e a chi è diretta tale comunicazione di sofferenza da parte del malato, al fine di mettere in campo la specifica tipologia di intervento.

 

Il silenzio della malattia

Il malato, spesso, si ritira su sé stesso, isolandosi in un profondo silenzio e in una solitudine che non riguarda solo il suo stato psicologico, ma anche le sue relazioni. È importante che si senta accompagnato da persone che si prendono cura non solo del suo corpo, ma anche delle sue emozioni, delle relazioni e del suo spirito, affinché possa affrontare la sofferenza nel modo più sereno possibile, secondo i suoi desideri e modalità.   È un tempo speciale, questo, inquietante ma anche ricco di risorse vitali che, se valorizzate, possono garantire alla persona malata dignità. Nel suo dolore, nella sua sofferenza, il malato ha bisogno di essere ascoltato, ha bisogno di atteggiamenti affettivi, di sentirsi valorizzato e accolto, coinvolgendolo in un processo di cura e di calore non possessivo. Si tratta di un’accettazione dell’altro attraverso atteggiamenti che non variano né in funzione dello stato emotivo e comportamentale del malato, né dell’atteggiamento di quest’ultimo nei nostri confronti. Una incondizionalità intesa come una costante accettazione, mediante una valutazione senza “se” e senza tendere subito a pensare “è ingiusto”, “è stupido”, “è anormale”, “è irragionevole”, “è scorretto”, “non è gentile”. Molto di rado ci si permette di “capire” esattamente quale sia per la persona il significato dell’affermazione (Rogers,1970).

 

La persona malata deve avvertire che siamo al suo fianco che non verrà abbandonata, nonostante la sua inquietudine, il suo comportamento e le difficoltà della relazione. Questo richiede una “considerazione positiva incondizionata” che favorisca un coinvolgimento più profondo e una maggiore fiducia nell’altro. Nella persona vi è una forza che ha una direzione fondamentale positiva. Più l’individuo è capito e accettato profondamente, più tende a lasciar cadere le false “facciate” con cui ha affrontato la vita e più si muove in una direzione positiva, di miglioramento. Il sofferente deve poter sperimentare la libertà di esprimere e sentire le proprie emozioni, avendo la certezza che siamo aperti completamente alla sua esperienza e non la giudichiamo (Rogers,1970). Il sofferente deve poter sperimentare la libertà di provare e di sentire che c’è completa apertura, da parte nostra, alla sua esperienza e non la giudichiamo. La persona, in tal modo, sarà capace di esplorare meglio e di vivere più intensamente quelle esperienze di malattia e dolore che gli provocano angosce, paure ed atteggiamenti di chiusura.  In tal senso si rivela essenziale essere capaci di entrare nel mondo percettivo privato dell’altro, essendo in grado di essere sensibili, ai cambiamenti, alla rabbia, alla paura, alla tenerezza e alla confusione o a qualsiasi altra cosa l’altro stia provando. Significa vivere temporaneamente nella vita di un altro, delicatamente, senza esprimere giudizi (Rogers,1980).

 

Il ruolo del personale

Il personale medico, infermieristico, gli operatori e, nondimeno, i volontari, sentono di dover offrire insieme al loro lavoro specifico la loro umanità per il raggiungimento di una competenza relazionale che renda possibile un lavoro interpersonale e di équipe veramente costruttivo. Tutto ciò viene fatto con l’obiettivo di aiutare le persone a trovare un significato per la loro sofferenza, una finalità e una direzione dignitosa al loro profondo dolore esistenziale. Questa è un’importante finalità da perseguire, altrimenti si aggiunge un ulteriore sofferenza, ovvero il non trovare un senso alla malattia e al dolore.

 

Si tratta, insomma, di valorizzare al massimo tutte le risorse e le professionalità anche a livello dichiaratamente educativo e spirituale al fine di rendere attiva la vita delle persone malate, di fare in modo che esse passino dall’atteggiamento di “patiens” a quello di “agens”, per realizzare valori e per dimostrare loro che il compito cui debbono dedicarsi e della cui attuazione ed esecuzione sono responsabili, è un compito specificatamente personale (Frankl,1977).

 

L’esperienza familiare e domiciliare

Una sofferenza che, però, non è solo un’esperienza personale ma si inserisce nel contesto familiare. Infatti, i pazienti non affrontano la malattia da soli, indipendentemente dalle dimensioni della famiglia o dalla presenza di reti di supporto formali o informali, affrontano la malattia nel contesto dell’unità familiare (Welch-McCoffrey,1988).

 

Nell’esperienza degli incontri a domicilio e presso un Centro di Assistenza e Ascolto per le Famiglie, è emerso che a volte i familiari inizialmente si sentono sicuri riguardo a un buon esito della malattia, ma già il giorno successivo, sopraffatti dalla loro impotenza, si sentono privi di speranza. Questo ciclo di speranza e disperazione mette a dura prova le relazioni all’interno della famiglia, portando inevitabilmente a tensioni che possono causare problemi di salute familiare. Quando la tensione raggiunge livelli troppo elevati, le reazioni dei familiari si manifestano in varie forme. Molti mettono in secondo piano le loro esigenze e aiutano attivamente nella cura del malato (ipercoinvolgimento). Per altri la tensione diventa insostenibile e avvertono senso di solitudine o si sentono lasciati in disparte (ostilità, distacco). Magari perdono il controllo proprio perché si vergognano di questi loro sentimenti. Famiglie che, con l’aumentare della solitudine, percepiscono quotidianamente una diminuzione della speranza, della capacità di “essere per l’altro”, di mettersi in relazione con il malato.

 

A volte, il familiare inizia a percepire la situazione con estraneità, ostilità e critica, cercando disperatamente un rapporto che ha poco da offrire al familiare malato. Questo diventa inevitabilmente il punto di partenza per situazioni di disagio personale che si manifestano all’interno della famiglia in modi vari e non sempre prevedibili. Ci sono molti motivi per cui molte famiglie sentono fortemente, anche se non esplicitamente, l’esigenza e il bisogno di aiuto e sostegno educativo, di migliorare la comunicazione in famiglia e di pianificare in modo da affrontare i bisogni e le difficoltà del parente ammalato, cercando di gestire le diverse manifestazioni emotive.

 

Il ruolo dei caregiver

Già nella fase della diagnosi si osserva che all’interno della famiglia in cui è presente il malato, il lavoro di cura e assistenza tende ad essere svolto principalmente da una sola persona, comunemente denominata caregiver. La convivenza, il livello di intimità relazionale, la capacità di gestire situazioni stressanti e di mediare tra le esigenze della famiglia e la rete sociale sono tutti fattori che contribuiscono alla designazione del compito di caregiver nei confronti del paziente. Tuttavia, ciò che emerge è che il costante carico di assistenza nel tempo porta a un notevole affaticamento, soprattutto per il caregiver, il quale può sviluppare disturbi di una certa rilevanza. Questo caregiver diventa il fulcro dell’assistenza del malato, e spesso l’ospedalizzazione del paziente non è tanto dovuta al peggioramento della malattia, ma piuttosto alla difficoltà del caregiver di far fronte, a un certo punto della malattia, alle esigenze del paziente a causa del carico fisico e psicologico eccessivo.

 

I caregiver desiderano fornire ai loro familiari una cura competente e amorevole. Tuttavia, per raggiungere questo ambizioso obiettivo, spesso trascurano di identificare e soddisfare i propri bisogni. È essenziale incoraggiare i caregiver a prendersi cura anche di sé stessi e a trovare un equilibrio tra i propri bisogni e quelli degli altri. Troppo spesso, di fronte alle responsabilità legate all’assistenza del parente e agli impegni familiari e lavorativi, i caregivers dimenticano i loro bisogni (Toseland, 1990). È stato osservato che le diverse manifestazioni emotive dei familiari sono strettamente correlate tra loro. Più i familiari sono in grado di comprendere e sostenere il caregiver, migliore è la gestione della relazione con il paziente. La malattia ha un impatto significativo sul funzionamento familiare, causando non solo un aumento considerevole del lavoro di cura, ma anche un cambiamento sostanziale nelle dinamiche relazionali familiari.

 

Un aspetto molto significativo nella relazione tra i familiari e la persona malata è il cambiamento dei ruoli che inevitabilmente si verifica. Modificare i ruoli in un momento così doloroso, soprattutto quando si è in età avanzata, può essere estremamente difficile e provocare disagio e fatica psicologica. Inoltre, accettare un ruolo diverso dal proprio significa confrontarsi nuovamente con il fatto che il proprio congiunto non può più essere come una volta, e significa dover affrontare l’inadeguatezza dell’altro che diventa sempre più evidente. Questo elemento può causare tensione nei familiari e richiede una maturità interna e un equilibrio non sempre facile da raggiungere. Alcuni conflitti connessi al passato di queste famiglie possono emergere proprio per l’elevato stress a cui sono sottoposte. In questa fase è importante che la famiglia sia accompagnata nell’accettazione della diagnosi, nella ricerca delle informazioni relative la patologia e nell’aiutarla a prefigurarsi eventuali necessità future del malato che inevitabilmente insorgeranno nel decorso della malattia e che richiedono un’organizzazione familiare specifica.

 

Solo i familiari che riescono ad adattare la propria modalità interattiva alle mutate caratteristiche del malato mantengono un livello di soddisfazione relazionale discreto. Quelli che, viceversa, non adeguano le proprie modalità comportamentali al decorso della malattia sono più in difficoltà ad espletare i compiti assistenziali necessari. Il clima di sofferenza ed il peso che grava sulla famiglia, non vanno sottovalutati. Una delle cause di insuccesso di un programma integrato di cure dipende, infatti, dalla “non tenuta” emotiva della famiglia. Ci vogliono spazi per comunicare, il nucleo familiare deve poter esprimere i propri sentimenti, le proprie paure, le emozioni ed essere preparato ad affrontare i contraccolpi psicologici, le crisi ed il dolore. Un aiuto esterno può alleggerire il carico dei caregiver, consentendo loro di prendersi cura anche degli altri membri della famiglia. Idealmente, ci si aspetta che parenti e amici possano offrire questo tipo di supporto. Tuttavia, questa situazione non è sempre realizzabile. Coloro che non possono riposare a lungo termine rischiano la propria salute fisica e mentale. L’isolamento e la sensazione di essere trascurati possono farli sentire frammentati, insoddisfatti e indifesi, alla continua ricerca di comprensione. Altri lottano per il diritto di parlare e chiedere aiuto, ma spesso non vengono ascoltati abbastanza.

Bibliografia

Crescenzo R. (1997), Relazione incontro sul tema: “Problemi di Riabilitazione e Rieducazione del Paziente Oncologico”, Sala Convegni – A.S.n.2 – Castrovillari (CS).

Crescenzo R. (2007), Il Caregiver: l’esperienza di un “Centro Ascolto Psicoeducativo” in un Servizio di Assistenza Domiciliare Integrata, PsicoLAB.

Crescenzo, R. (2007), Sofferenza in famiglia ed interventi di aiuto, in Educare.it, (7):10-11.

Fizzotti E., (a cura di) (1993), Chi ha un perché nella vita… Teoria e pratica della logoterapia, LAS-Roma.

Frankl V.E., 1977, Logoterapia e analisi esistenziale, Morcelliana, (pag.91-92).

Rogers C. (1970), La terapia centrata sul cliente, Martinelli Editore.

Toseland, Ronald W. (1990), Group Work with Older Adults,  New York University Press.

P.I. 00777910159 - © Copyright I luoghi della cura online - Preferenze sulla privacy - Privacy Policy - Cookie Policy

Realizzato da: LO Studio