In questa stagione di importanti riforme per la vita delle persone, la sfida è riuscire a realizzare quanto previsto e ridisegnato affinché sia effettivamente disponibile e incida positivamente nei percorsi di chi ha necessità di sostegni. L’esperienza tragica della pandemia – da cui sono nate le Missioni 5 (Coesione e inclusione) e 6 (Salute) del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), con l’obiettivo di migliorare l’insieme dei servizi per la salute e il benessere – ha svelato la distanza esistente tra il sistema sociosanitario disegnato post legge 833/1978 e le reali necessità dei territori e delle persone.
Sono stati chiari a tutti i punti deboli, le aree su cui agire e da attivare: percorsi ospedale-territorio, assistenza territoriale, prossimità dei luoghi di cura e presa in carico, punti unici di accesso e ricomposizione degli interventi sociali e sanitari, valutazione della dimensione sociale nella vita di chi è in percorsi di cura. Da qui l’impegno assunto dallo Stato di intervenire sul sistema di welfare e sul suo funzionamento, con l’obiettivo di colmarne i vuoti e armonizzare i diversi punti di accesso e di erogazione dei servizi, nonché le funzioni e le responsabilità dei differenti attori che lo compongono, finanziando il nuovo impianto strutturale e organizzativo in parte con risorse messe a disposizione dall’Unione Europea, in parte con fondi propri.
Lo sguardo degli assistenti sociali sulle recenti riforme
Con questi presupposti sono nate le riforme dell’assistenza sociosanitaria territoriale (DM Salute 77/2022), della non autosufficienza (legge delega 33/2023 e decreto legislativo 29/2024) e della disabilità (legge delega 227/2021 e decreto legislativo 62/2024) che, giunte ora alla fase della messa a terra, richiedono un’importante attività a livello regionale e locale per armonizzare il sistema.
Il CNOAS Consiglio Nazionale Ordine Assistenti Sociali – in quanto ente sussidiario dello Stato e in rappresentanza di più di 47.000 assistenti sociali, impegnati in tutte le articolazioni del sistema sociosanitario e socioassistenziale – ha seguito tutto l’iter che ha portato alle riforme; ha presentato richieste e proposte, dati ed esperienze ai Ministeri titolari della materia, ad AGENAS Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali, alla Conferenza Stato Regioni e alle singole Regioni, insieme ai CROAS Consigli Regionali Ordine Assistenti Sociali. Continua a farlo intervenendo come componente effettivo del Tavolo del Ministero della Salute per la valutazione del DM Salute 77/2022 e del DM Salute 70/2015, del Gruppo di lavoro di AGENAS per l’attuazione delle Case di Comunità, dell’Osservatorio Disabilità del Ministero per le disabilità e partecipando al Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza.
Un’azione che è sostenuta dalla produzione di documenti e approfondimenti che traggono contenuti e indirizzi anche dalle realtà regionali, come avvenuto di recente con l’approvazione del documento Il servizio sociale professionale nei processi di continuità assistenziale. Un approfondimento sul servizio sociale professionale negli ospedali e nelle COT.
In questo progetto di riforme, i professionisti hanno il compito di coniugare le esigenze di programmazione e gestione proprie degli organi di governo, ai diversi livelli, con i bisogni e i diritti dei cittadini e dei diversi contesti sociali. Un compito quotidiano per il professionista assistente sociale, che nella messa a terra di queste riforme è figura centrale: laddove si mettono in campo processi per attuare le dimissioni protette/complesse, per costruire progetti con le persone anziane non autosufficienti e con le persone con disabilità – sia che ciò avvenga a partire da un servizio comunale o in un ambito territoriale, o in un’azienda sanitaria locale o in un ospedale – il servizio sociale professionale è presente. Si tratta di progetti che richiedono competenze specifiche nell’agire dei professionisti e quindi l’offerta di percorsi formativi dedicati, sia nei corsi di laurea triennale e magistrale, che in master di I e di II livello.
Sono due gli aspetti che emergono dalla lettura dei provvedimenti e di cui, a nostro parere, occorre tener conto nella fase di implementazione delle riforme; aspetti che – se non gestiti – avranno un impatto importante sull’effettivo superamento della frammentarietà che caratterizza l’assistenza di cui ha diritto chi vive in una situazione di non autosufficienza. Le riforme, strutturate a conclusione di percorsi differenti e governate da Ministeri diversi:
- presentano processi, punti erogativi/gestionali e interventi che necessariamente devono essere messi in connessione tra loro, in modo da evitare sovrapposizioni e duplicazioni;
- stabiliscono ex lege cambiamenti sostanziali nell’approccio ai problemi e ai bisogni della popolazione più fragile che, per realizzarsi, richiedono nella fase operativa una nuova visione, concretezza, competenze, azioni consapevoli e appropriate che sostanzino una reale integrazione sociosanitaria.
È a livello regionale che dovrà essere gestita la ricomposizione programmatoria e organizzativa degli interventi a sostegno della non autosufficienza e disabilità, in una situazione che sappiamo essere molto frammentata: a monte per la divisione delle fonti di finanziamento statali, a valle per la diversa titolarità nell’erogazione dei servizi a sostegno della salute dei cittadini (ai Comuni per gli aspetti socioassistenziali, alle aziende sanitarie per gli aspetti sanitari e sociosanitari). Pertanto le politiche per la salute e le scelte di governance del sistema sociosanitario messe in campo dalle Regioni sono determinanti per favorire l’unitarietà degli interventi e la ricomposizione integrata dei LEPS Livelli Essenziali delle Prestazioni Sociali1 e dei LEA Livelli Essenziali di Assistenza2, che insieme realizzano i progetti e i piani di intervento individualizzati delle persone con bisogni di salute complessi.
L’affermazione “non c’è salute senza sociale” è ormai riconosciuta quasi in ogni ambito, nonostante si rilevi ancora, in alcuni settori, il persistere di resistenze a integrare la dimensione sociale e quella sanitaria; vi sono contesti nei quali i percorsi di cura, sostegno e assistenza sono letti con una visione ancora sanitario-centrica, se non medico-centrica: un approccio che deve essere superato, a partire dai servizi che si occupano di dimissioni protette/complesse.
Dal nostro punto di osservazione vediamo che, ancora una volta, le Regioni si stanno muovendo in ordine sparso e a diverse velocità. Quadro che è confermato dal Monitoraggio Fase 2 relativo all’attuazione del DM 77/2022 pubblicato da AGENAS nell’ottobre 2023: a giugno 2023 solo 6 Regioni avevano attivato delle Case della Comunità con alcuni servizi previsti dal decreto (in ordine decrescente, Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte, Toscana e Molise, Umbria), per un totale di 187 Case della Comunità dichiarate dalle Regioni come funzionalmente attive sulle 1.430 da attivare entro il 2026 quale target PNRR. Non tutte le strutture avevano la presenza del PUA Punto Unico di Accesso (155 su 187 Case della Comunità attive); non in tutte era presente l’équipe multiprofessionale minima (137 su 187 Case della Comunità attive).
La situazione per le COT Centrali Operative Territoriali non differiva di molto: solo 7 regioni avevano attivato le COT con alcuni dei servizi previsti dal decreto (in ordine decrescente, Lombardia, Lazio, Veneto, Piemonte, Emilia-Romagna, Provincia Autonoma Bolzano, Umbria), per un totale di 77 Centrali Operative Territoriali dichiarate dalle Regioni come attive sulle 611 da attivare entro il 2024 quale target PNRR.
Le dimissioni protette tra PUA e COT
Le dimissioni protette sono un esempio paradigmatico dell’unitarietà del percorso per la continuità assistenziale per le persone con bisogni di salute complessi, nei percorsi ospedale-territorio e territorio-ospedale. Infatti le dimissioni protette, inserite tra i LEPS con la legge 234/2021, si integrano con i LEA, area assistenza distrettuale e assistenza sociosanitaria, attraverso percorsi assistenziali integrati.3 Ma di fronte all’unitarietà del percorso invocata troviamo punti di accesso distinti:
- il PUA, con sede operativa presso le Case di Comunità previste dal DM 77/2022, la cui funzionalità è garantita dal Servizio Sanitario Nazionale e dagli ambiti territoriali sociali mediante le risorse umane e strumentali di rispettiva competenza, con il compito di garantire l’accesso ai servizi sociali e sociosanitari; un luogo che si vuole chiaramente identificato, dove operano per le situazioni con bisogni di salute complesse “équipe integrate, nel rispetto di quanto previsto dal citato decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 12 gennaio 2017 per la valutazione del complesso dei bisogni di natura clinica, funzionale e sociale delle persone” (art. 1, comma 163, legge 234/2021);
- la COT, una ogni 100.000 abitanti o comunque a valenza distrettuale, con una funzione di coordinamento della presa in carico della persona e raccordo tra servizi e professionisti coinvolti nei diversi setting assistenziali (attività territoriali, sanitarie e sociosanitarie, ospedaliere); la COT dialoga con la rete dell’emergenza-urgenza. Obiettivo della COT è assicurare continuità, accessibilità e integrazione dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria, ma attraverso un modello organizzativo definito dal DM 77/2022 a impronta esclusivamente sanitaria, come si coglie dallo standard di personale4 e dalla descrizione delle attività.
Un segnale di come sia ancora lontano un pieno e convinto approccio integrato sociosanitario alla non autosufficienza: l’assenza della figura dell’assistente sociale nell’équipe delle COT mina l’unitarietà della prima risposta nell’individuazione dei percorsi per le persone al domicilio e in dimissione dall’ospedale e ritarda, se non esclude, l’avvio di un percorso integrato sociosanitario a garanzia della continuità dell’assistenza. Questo è ciò che ha evidenziato il CNOAS a livello centrale, a suo tempo nella fase di stesura del DM 77/2022 e poi all’interno del Tavolo istituito presso il Ministero della Salute, per la verifica dell’impatto dello stesso decreto e del DM 70/2015 relativo all’assistenza ospedaliera.
Collegare e coordinare i servizi domiciliari con vari servizi territoriali, sociosanitari e sociali, con l’ospedale e con la rete di emergenza richiede, infatti, la presenza di un’équipe multiprofessionale nella quale sia presente l’assistente sociale, per valutare gli aspetti sociali e stabilire il raccordo con i servizi socioassistenziali; i problemi di passaggio da un setting a un altro all’interno del sistema riguardano una popolazione che si caratterizza per una complessità spesso non solo di carattere sanitario, che richiede un approccio personalizzato e integrato. Ma ancora troppo spesso ci si dimentica la dimensione sociale della vita delle persone, l’attenzione al contesto, alla rete sociale in cui si svolge la loro esistenza e in cui costruire i percorsi di accompagnamento e assistenza.
Per le COT, il CNOAS ha proposto una chiara indicazione normativa circa la presenza dell’assistente sociale, di norma dipendente della sanità, al fine di facilitare quelle connessioni previste dal nuovo modello dell’assistenza territoriale. Una posizione rafforzata anche dal fatto che nella programmazione delle Regioni la strutturazione delle COT sta andando in questa direzione, come emergerà dall’esperienza dell’Emilia-Romagna (oggetto di un successivo articolo su questa rivista) e da due sperimentazioni, in Regione Abruzzo (finanziata dal Ministero della Salute) e in Regione Piemonte (con la partecipazione di AGENAS), nelle quali il modello implementato vede nelle COT un’équipe multiprofessionale con l’assistente sociale dell’ASL.
È evidente come il campo di azione del PUA e della COT sia per gran parte lo stesso: per questo, nel momento in cui a livello territoriale si è cominciato a definire i contenuti, le funzioni dei professionisti e delle équipe dei due servizi e i percorsi per le persone, si è ben presto posta la domanda sul come mettere in connessione i due punti di accesso, per evitare duplicazioni e frammentazioni. La risposta è diversificata, come sono diversi i sistemi regionali, le storie dei territori e i modelli costruiti nel tempo; per dare continuità al percorso, per fornire risposte efficaci e sostegni adeguati per la non autosufficienza, sono strategiche le intese da sottoscriversi a livello territoriale tra ambiti territoriali sociali e aziende sanitarie5. Un’indicazione molto precisa per costruire tali intese è contenuta nel Piano 2022/2024 per la non autosufficienza: fissa obiettivi di servizio e di processo importanti, che non dovrebbero essere mancati dalle Regioni.
Riferimenti normativi
Legge 23/12/1978 n. 833, Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale.
DM Salute 2/4/2015 n. 70, Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera.
DPCM 12/1/2017, Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all’art. 1 comma 7 del decreto legislativo 30/12/1992 n. 502.
Legge 22/12/2021 n. 227, Delega al Governo in materia di disabilità.
Legge 30/12/2021 n. 234, Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2022 e bilancio pluriennale per il triennio 2022-2024.
DM Salute 23/5/2022 n. 77, Regolamento recante la definizione di modelli e standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale nel Servizio Sanitario Nazionale.
DPCM 3/10/2022, Adozione del Piano nazionale per la non autosufficienza e riparto del Fondo per le non autosufficienze per il triennio 2022-2024.
Legge 23/3/2023 n. 33, Deleghe al Governo in materia di politiche in favore delle persone anziane.
Decreto legislativo 15/3/2024 n. 29, Disposizioni in materia di politiche in favore delle persone anziane, in attuazione della delega di cui agli articoli 3, 4 e 5 della legge 23/3/2023, n. 33.
Decreto legislativo 3/5/2024 n. 62, Definizione della condizione di disabilità, della valutazione di base, di accomodamento ragionevole, della valutazione multidimensionale per l’elaborazione e attuazione del progetto di vita individuale personalizzato e partecipato.
Note
- Art. 1, comma 159, legge 234/2021: “I livelli essenziali delle prestazioni sociali (LEPS) sono costituiti dagli interventi, dai servizi, dalle attività e dalle prestazioni integrate che la Repubblica assicura, sulla base di quanto previsto dall’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione e in coerenza con i principi e i criteri indicati agli articoli 1 e 2 della legge 8 novembre 2000, n. 328, con carattere di universalità su tutto il territorio nazionale per garantire qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione, prevenzione, eliminazione o riduzione delle condizioni di svantaggio e di vulnerabilità”.
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Art. 1 comma 1, DPCM 12/1/2017: “Il Servizio Sanitario Nazionale assicura, attraverso le risorse finanziarie pubbliche e in coerenza con i principi e i criteri indicati dalla legge 23 dicembre 1978, n. 833 e dal decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modifiche e integrazioni, i seguenti livelli essenziali di assistenza:
a) Prevenzione collettiva e sanità pubblica;
b) Assistenza distrettuale;
c) Assistenza ospedaliera.” - DPCM 12/1/2017, art. 21 “Percorsi assistenziali integrati”, comma 1: “I percorsi assistenziali domiciliari, territoriali, semiresidenziali e residenziali di cui al presente Capo prevedono l’erogazione congiunta di attività e prestazioni afferenti all’area sanitaria e all’area dei servizi sociali.”
- DM Salute 23/5/2022 n. 77, allegato 1 “Modelli e standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale nel Servizio Sanitario Nazionale”, punto 8.
- Riferimenti: art. 1, comma 163, legge 30/12/2021 n. 234; art. 21, comma 1, DPCM 12/1/2017.