20 Giugno 2024 | Programmazione e governance

Qual è il futuro delle RSA?

La costruzione di servizi in grado di offrire risposte adeguate agli anziani fragili richiede oggi un forte investimento in risorse e in modelli organizzativi. Servono risorse, ma serve innanzitutto chiarezza riguardo ai contenuti e agli obiettivi da raggiungere. L’articolo, partendo da una riflessione sulla realtà delle RSA, evidenzia la necessità di superare i nodi critici presenti nel sistema delle politiche e dei servizi nel nostro paese, allo scopo di garantire un’assistenza appropriata ai diversi bisogni di cura delle persone anziane fragili e alle necessità dei loro caregiver.

 


In tutto il mondo occidentale, le istituzioni che accolgono gli anziani (in Italia erroneamente accomunate, tutte, nell’acronimo di RSA) sono state i principali bersagli dell’epidemia causata dal Covid dato che, al loro interno, sono ospitate persone particolarmente fragili per età avanzata e, spesso, per la presenza di più patologie. In conseguenza alla pandemia, in molti Paesi, e nel nostro, in particolare, si è sviluppato un acceso dibattito sulla necessità di una diversa organizzazione dell’assistenza da prestare agli anziani e sulla configurazione delle strutture destinate ad accoglierli.

 

 

Le ambiguità del processo di istituzionalizzazione: tenere conto del passato con lo sguardo rivolto ai nuovi bisogni

In un passato ancora relativamente recente (fino alla chiusura degli Ospedali psichiatrici nel 1978), la perdita di autonomia poteva essere rappresentata dalla semplice povertà. In questo caso, ma anche nelle situazioni in cui era presente una componente medico-clinica di tipo neurologico (demenza), psichiatrico (psicosi) o tossicologico (alcolismo) le cose non cambiavano e la soluzione era sempre la stessa, e consisteva nell’internamento in manicomio, con la conseguente concentrazione aspecifica di problemi di natura diversa nello stesso luogo (Basaglia, 1968)1.

 

Alcune posizioni che, a seguito della pandemia, si sono definite contro le RSA identificando quest’ultime – tutte e indipendentemente dai bisogni degli ospiti e dalla qualità della assistenza offerta – quali Istituzioni “totali” (Goffman, 1969)2, hanno sostenuto il bisogno di un totale superamento delle istituzioni residenziali per anziani attraverso una radicale revisione del modello assistenziale attuale, ritenendo possibile l’assolvimento delle funzioni da parte di servizi di assistenza domiciliare, potenziati e interamente rinnovati. Il timore dell’istituzionalizzazione di un numero troppo elevato di anziani3, (preoccupazione che, in quanto psichiatra, sento di condividere), unitamente ad una visione delle problematiche degli anziani (visione che non condivido in quanto semplicistica) che implica la finalità, quasi mai esplicitata, di demedicalizzare l’assistenza ai pazienti in età avanzata4sono due delle motivazioni, più o meno esplicite, che afferiscono a queste posizioni.

 

Marco Trabucchi su Avvenire del 31.10.2022 ha risposto con chiarezza all’idea di una assistenza agli anziani che non contempli anche forme di sostegno intensivo e permanente, sostanziandosi per alcuni di loro, quali luoghi di ricovero; molti sono infatti i cittadini, avanti negli anni, affetti da molte patologie, con importanti deficit cognitivi e talvolta senza familiari di riferimento, che necessitano di assistenza per 24 ore ogni giorno, e che hanno bisogno di interventi terapeutici assidui, indispensabili per la sopravvivenza, di una complessità tale da essere difficilmente organizzabili a domicilio.

 

L’inserimento di una persona in un’istituzione di ricovero in modo permanente è motivato da ragioni che abitualmente oggi vengono definite “multifattoriali”: i motivi che determinano il fenomeno che porta come esito finale al ricovero (definitivo) di un disabile o di un anziano sono molteplici e spesso intricati. In questa multifattorialità gioca quasi sempre un ruolo importante la variabile economica: è provato cioè che l’istituzionalizzazione definitiva5non è dettata puramente (e spesso neppure principalmente) da ragioni medico-cliniche (come avviene per la ospedalizzazione) ma da un complesso di fattori di tipo sanitario e di natura psicosociale che determinano, come condizione finale, la perdita di autonomia.

 

Attualmente, quando si parla di RSA ci si riferisce ad un universo caratterizzato da una grande eterogeneità (nella natura giuridica e nelle finalità delle strutture, nei livelli di assistenza garantiti, nel numero e nella tipologia dei pazienti ospitati, ecc). In particolare, negli ultimi decenni le necessità sociali e i bisogni sanitari sono di molto cambiati rispetto al passato. L’allungamento della vita media della popolazione ha comportato un aumento consistente di patologie croniche nella popolazione anziana (in particolare la demenza) e la presenza di pluripatologie, sia a carico del corpo che della mente dei “nuovi” anziani, spesso molto avanti negli anni. Inoltre, sono gli stessi progressi in campo medico a sollecitare la necessità di luoghi in grado di occuparsi di malati con patologie croniche persistentemente attive perché, se da una parte, la medicina garantisce una maggiore sopravvivenza negli anni, dall’altro sono aumentati i pazienti che richiedono una assistenza complessa e spesso permanente.

 

Le Residenze per anziani, sotto l’elemento comune dell’età avanzata, accolgono persone con livelli di disabilità diversi (per qualità) e differenti (per natura) e questo rende molto più complesse le risposte da fornire sul piano assistenziale. Ad esempio, il livello di non autosufficienza può variare molto da persona a persona, e questo fattore ha un notevole peso nel determinare i loro bisogni (e quindi, il tipo di assistenza da erogare). Anche le cause che determinano la non autosufficienza o la disabilità di un ospite presuppongono strategie assistenziali diverse. Il fatto che le Residenze per anziani accolgano, anche in Italia, persone che provengono da altri settori specialistici quali la psichiatria (Priebe et al., 2003), la disabilità intellettiva (Habler et al., 2019), l’area delle patologie neurologiche cronico-degenerative (Heffels et al., 2020) ha reso molto più complessi i loro compiti. All’eterogeneità dei bisogni dovrebbe ovviamente corrispondere un aumento dell’articolazione e delle strategie assistenziali, cosa che è avvenuta solo in alcuni luoghi di ricovero mentre in altri le risposte risultano inadeguate o del tutto inesistenti.

 

Le strutture residenziali per anziani: contenitori o contenuti?

Per tornare al dibattito a cui si è accennato, è evidente che la discussione non possa concentrarsi solo sulle RSA come contenitori: questa è una prospettiva limitata, che alimenta l’idea che la soluzione del problema sia rappresentata dal costruire buoni contenitori (o, in un’altra direzione, di eliminarli del tutto) a cui si accompagni una buona organizzazione interna, secondo uno stereotipo molto diffuso in questi tempi, che vede l’aspetto della organizzazione come la soluzione di ogni problema assistenziale (Cocco, 2021). Sarebbe invece più adeguato partire dalle persone e dai loro bisogni assistenziali, che non sempre sono solo di natura sociale ma che spesso hanno ragioni cliniche.

 

In queste situazioni parrebbe utile affidarsi alle competenze dei tecnici chiamandoli a formulare risposte adeguate a questi bisogni. In altre parole, un nesso solido con la clinica e la epidemiologia potrebbe apportare alla discussione contributi meno ideologici e fumosi, in grado di garantire sia l’accesso alle cure, sia di indirizzare le risposte assistenziali e riabilitative adeguate alle necessità dei pazienti. Per fare solo un esempio, sempre più i luoghi di ricovero permanente, sono chiamati ad accogliere malati neurologici gravi portatori di patologie croniche che occorre conoscere e accompagnare, e che richiedono interventi multiprofessionali (es. gli stati di minima coscienza, le malattie degenerative, associate o no al dolore neuropatico, etc) (Cocco, 2021)6.

 

Infine, se non si vuole dimenticare la lezione che ci è stata impartita dalla vicenda storica del manicomio, è assolutamente consigliabile limitare concentrazioni di pazienti che siano portatori di bisogni troppo diversi fra di loro e pertanto abbiano necessità assistenziali molto differenti. In questo caso infatti è quasi una regola che diventi impossibile fornire una assistenza personalizzata e differenziata a ciascun paziente, finendo così per trascurare le loro specifiche necessità e, di fatto, abbandonandoli.

 

L’assistenza domiciliare in Italia: utopie e realtà

Nell’attuale sistema italiano di assistenza agli anziani non autosufficienti non deve stupire che molti anziani vengano inseriti in RSA pur non presentando problemi assistenziali di particolare intensità: a casa sarebbero soli e trascurati. Si tratta di una soluzione quasi sempre sgradita e sgradevole sia per l’anziano sia per la sua famiglia (quando c’è), oltre che costosa per tutti e potrebbe essere evitata per quelle persone che potrebbero (e vorrebbero) vivere ancora a casa loro ma che invece vengono avviati alla istituzionalizzazione in mancanza di soluzioni alternative nella comunità. “Si tratta di non insistere solo sull’aspetto della istituzionalizzazione, come se fosse l’unica risposta praticabile” (Impagliazzo, 2020), dato che in Italia (salvo qualche modesta eccezione regionale) non c’è assistenza alternativa a quella residenziale perché non esiste alcuna forma di aiuto a domicilio dei pazienti. L’unica modalità diffusa di assistenza a casa dell’anziano è quella garantita (con livelli di qualità molto diversificati da caso a caso) dalle badanti. La assistenza domiciliare integrata rappresenta, quasi dappertutto, una intenzione dichiarata più che una offerta concreta di aiuto per gli anziani. E’ evidente infatti che non costituiscono una risposta adeguata ai bisogni degli anziani i pochi infermieri di comunità esistenti qua e là sul territorio nazionale, in grado al massimo di praticare qualche iniezione, o poche altre prestazioni limitate e “puntiformi”.

 

La costruzione di servizi di comunità per gli anziani in grado di offrire risposte adeguate ai pazienti che non necessitano di inserimento in strutture, richiede un forte investimento in risorse e in modelli organizzativi. In sintesi, nuovi servizi non nascono se non vengono messe a disposizione le risorse necessarie, ma è necessario affrontare anche l’aspetto che riguarda i contenuti perché i modelli organizzativi cambiano a seconda degli obiettivi che si intendono raggiungere. Soprattutto, non va dimenticato che la struttura familiare ha subìto profonde trasformazioni e che, spesso, essa non esiste oppure non è presente o non in grado di occuparsi del congiunto malato. Qualsiasi forma di assistenza intensiva domiciliare a pazienti gravi, presuppone l’appoggio (e la disponibilità) di una famiglia.

 

Quanto alle risorse, l’attuale Governo ha dato risposte molto chiare con l’approvazione del Decreto attuativo della Legge delega 33 che non provvede all’attuazione del disegno complessivo di riforma previsto dalla suddetta Legge Delega e mette a disposizione 150 milioni per una sperimentazione limitata, prendendoli dal Fondo nazionale per la non autosufficienza: cioè li toglie a coloro cui dovrebbe darne.

 

Conclusioni

Se da una parte dobbiamo registrare che il Decreto attuativo destina pochi spiccioli a poco più di 24 mila ultraottantenni poveri su una platea di oltre 2 milioni e mezzo di persone, dall’altra non si può dimenticare che il compito di pianificare la riforma promessa (e attesa da decenni) era stato affidato dal premier di allora ad una Commissione straordinaria che aveva promesso grandi novità nel campo dell’assistenza agli anziani e propugnato proposte caratterizzate, in alcuni casi, da una incomprensibile improvvisazione (ad esempio – come detto – la necessità di eliminare del tutto l’uso delle RSA nella assistenza agli anziani).

 

Il potere delle scelte è nelle mani dei decisori, cioè del Governo. Oggi, la sensazione profonda è quella di trovarsi di fronte a una montagna di cocci, sentimento che si accompagna alla delusione profonda per una speranza che non si è realizzata, al fallimento del lavoro della Commissione, alla preoccupazione di chi è convinto della necessità e della urgenza di una riforma della assistenza agli anziani. Infine anche alla comprensibile frustrazione degli operatori di molte RSA che sono stati feriti da frettolosi giudizi sul loro lavoro che peraltro (e fortunatamente per i pazienti) sono chiamati a continuare a svolgere anche in futuro. Infatti, nonostante le molte critiche rivolte alla RSA, queste non solo continueranno a svolgere le loro attuali funzioni, ma è facile prevedere che aumenteranno di numero: sia per l’incremento della domanda, sia per il perdurare della mancanza di forme di assistenza domiciliare che sarebbero in grado di evitare almeno una quota dei ricoveri.

Note

  1. Per ragioni che in questa sede verranno trascurate, le persone che erano sottoposte a questa misura non ricevevano né cure né alcuna forma di assistenza ma venivano semplicemente emarginate dal contesto sociale e abbandonate in luoghi in cui, di frequente, l’incuria si mescolava alla violenza.
  2. alla stregua dei manicomi chiusi dalla Legge 180
  3. che si accompagna alla necessità di una grande attenzione verso il fenomeno di nuovi “grandi internamenti”, per usare le parole con cui Michel Foucault ha definito le conseguenze della nascita del manicomio
  4. come se questa area problematica avesse solo connotazioni socioassistenziali e non anche (e spesso prevalentemente)sanitarie
  5. (quella temporanea nonostante vari tentativi e progetti rimane limitata a un numero troppo esiguo di casi quindi resta sostanzialmente un auspicio)
  6. Necessità assistenziali altrettanto impegnative seppure con finalità differenti, date la diversità delle problematiche cliniche, riguardano le persone traumatizzate sopravvissute a gravi incidenti stradali o lavorativi ma non più autosufficienti e una quota di pazienti psichiatrici divenuti anziani che presentano forme più o meno gravi di disabilità a causa dei loro disturbi originari.

Bibliografia

Basaglia F., (1968) (a cura di), L’istituzione negata, Einaudi.

Cocco E. (2021), Prospettive post-pandemiche nel settore socioassistenziale. Verso la fine della Medicina?, in Pathos, 28, 3: 3-6.

Goffman E. (1969), Asylums, Einaudi.

Habler T., Thimm A., Dieckmann F. (2019), Relocations of older persons with intellectual disability: A quantitative analysis, in Gerontol Geriatr; 52: 235-240.

Heffels J.C.F., Everink I.H.J., Oosterloo M., Roos R.A.C., Schols J.M.G.A. (2020), Measuring the quality of care in nursing home residents with early-onset neurodegenerative diseases: a scoping review, in BMC Palliative Care; 19:25.

Priebe S., Turner T. (2003), Reinstitutionalisation in mental health care, in BMJ; 326: 175-6.

 

Per una approfondita disamina sul Decreto attuativo della Legge delega 33/2023: Cembrani F., Vecchiato T., De Leo D., Trabucchi M. (2004),  Le politiche a favore degli anziani non autosufficienti, in Newsletter AIP, 5 aprile.

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