Gli anni che ci separano dal buio della pandemia hanno cambiato la nostra percezione del mondo. Molte lezioni sono state apprese e molti fenomeni sono stati compresi, in uno scenario dominato dalla complessità e instabilità che caratterizzano i contesti di vita contemporanei. Più chiara e diffusa è la nozione di Salute che ha rivelato – forse per la prima volta in modo così evidente – la sua natura multidimensionale, multifattoriale e dinamica.
Una visione moderna della salute
Questa rinnovata consapevolezza del concetto di Salute trova il suo fondamento nell’approccio olistico alla persona proprio del modello biopsicosociale, elaborato nel 1977 da George Engel, chimico e medico statunitense vissuto tra il 1913 e il 1999, che oltre agli aspetti biologici, presta attenzione anche a quelli psicologici e sociali, insieme alle barriere strutturali alla Salute, che si presentano come non facilmente risolvibili poiché coinvolgono più domini, compreso quello ambientale, con rilevanti ricadute a livello personale e collettivo (Grossi e Ravagnan, 2013).
Questo approccio considera ciascun individuo come il prodotto di due dimensioni: da un lato quella fisica (intesa come l’insieme dei processi fisiologici) e dall’altro, la dimensione esperienziale (ossia l’essere consapevoli di come ci si sente). Ne deriva che, secondo questo modello, la Salute è fortemente influenzata dall’ambiente sociale, politico, culturale e naturale in cui un individuo vive. Una visione che trova piena rispondenza nella definizione di Salute elaborata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che indica come la Salute sia “lo stato di completo ben-essere fisico, mentale e sociale e non consiste solo nell’assenza di malattia o infermità. Il possesso del massimo stato di salute che è capace di raggiungere costituisce uno dei diritti fondamentali di ogni essere umano”.
Tale concetto è stato ulteriormente sviluppato nella Carta di Ottawa per la Promozione della Salute, in cui si afferma che “per conseguire uno stato di completo ben-essere fisico, mentale e sociale, l’individuo o il gruppo devono essere in grado di identificare e realizzare le proprie aspirazioni, di soddisfare i propri bisogni, di modificare l’ambiente o di adattarvisi” (Prima Conferenza Internazionale sulla Promozione della Salute, Ottawa, Canada, 7-21 novembre 1986; X Conferenza Mondiale sulla Promozione della Salute, Ginevra, 13-15 dicembre 2021).
La Salute viene vista, dunque, come una “risorsa” e non come un obiettivo della vita quotidiana, chiamando in causa un’accezione positiva, che fa leva sulle risorse sociali e personali, oltre che sulle capacità fisiche, in linea con l’approccio salutogenico, elaborato nel 1979 dal sociologo medico Aaron Antonovsky, che focalizza l’attenzione sui fattori che creano Salute e non solo sui rischi e le malattie. Ne consegue che la promozione della Salute non è responsabilità esclusiva del settore sanitario, ma afferisce a una varietà di ambiti connessi ai determinanti sociali di salute potenzialmente modificabili, tra i quali rientrano il reddito e l’accesso alle risorse, il livello di istruzione, l’occupazione e le condizioni lavorative, l’accesso a servizi sanitari appropriati, l’ambiente urbano, l’inquinamento e i cambiamenti climatici (One Health, 2019).
A partire dalla consapevolezza che la sanità, da sola, non può promuovere la salute e il ben-essere di una comunità, l’Unione Europea, durante la presidenza finlandese del 2006, elabora i concetti e i metodi della strategia “Salute in Tutte le Politiche” con l’intento di contrastare le diseguaglianze di salute. Tale strategia si basa su un approccio multilivello (orizzontale e verticale), che aumenta la responsabilità per quanto riguarda gli impatti sulla Salute a tutti i livelli del processo decisionale, ponendo particolare attenzione alle conseguenze delle politiche pubbliche sui sistemi sanitari, sui determinanti di salute e sul ben-essere, in circolarità con l’ambiente e il pianeta.
La Salute, quindi, è influenzata dalle condizioni socioeconomiche e i fattori che la determinano sono fortemente legati ai contesti nei quali le persone nascono, vivono, crescono, lavorano e invecchiano. Se è vero – come rileva l’OMS – che i determinanti sociali sono responsabili fino al 50% dei risultati di Salute, è altrettanto vero che le diseguaglianze di opportunità si riflettono nelle diseguaglianze di Salute, iscrivendosi biologicamente già nei primi 1000 giorni, cruciali per lo sviluppo del patrimonio neuronale di ogni individuo, impattando sulle aspettative di vita in buona Salute. Così, per affrontare con efficacia i determinanti sociali, diviene indispensabile sviluppare politiche capaci di promuovere una maggiore integrazione fra diversi settori, in primis sanità, cultura, sociale ed educazione. Grande impatto lo hanno anche ambiente, famiglia e lavoro.
L’alleanza virtuosa tra cultura, salute e ben-essere
In questa direzione, oggi l’OMS e le principali istituzioni europee riconoscono il ruolo della partecipazione e dell’espressione culturale, a fianco dell’educazione, per la “fioritura” delle persone e delle comunità, assumendo il corpo crescente di evidenze scientifiche maturate nelle ultime due decadi (Fancourt e Finn, 2019): un potere trasformativo per la promozione della salute, nonché per lo sviluppo delle life skills, le abilità per la vita, ovvero abilità sociali centrali secondo l’OMS per la piena realizzazione del potenziale e dell’autodeterminazione di ogni individuo, che costituiscono la base per il ben-essere.
Da questa visione nasce il neologismo del “welfare culturale”, inteso come “un nuovo modello integrato di promozione del ben-essere e della salute degli individui e delle comunità, attraverso pratiche fondate sulle arti visive, performative e sul patrimonio culturale” (Cicerchia et al., 2020). La progressiva affermazione della prospettiva del welfare culturale – tema già affrontato nel Regno Unito e nei Paesi Scandinavi a partire dalla metà degli anni Novanta del secolo scorso – è stata favorita dalle nuove frontiere della ricerca scientifica – dalle neuroscienze, che hanno identificato le strutture neurali coinvolte nella sensazione di ben-essere e ricompensa, alla psicologia positiva che ha spostato dopo decenni l’enfasi dai deficit alle potenzialità di sviluppo individuale, all’epigenetica che ha evidenziato come gli stili di vita possano contribuire a modificare il comportamento dei geni che regolano la nostra esistenza – ed è rintracciabile sia nel crescente riconoscimento istituzionale sia nel moltiplicarsi di pratiche, progetti e iniziative che continuano a prendere vita, non solo all’estero ma anche in Italia.
In questa direzione, una svolta è stata generata dalla pubblicazione da parte dell’OMS Regione Europa, alla fine del 2019, della più grande scoping review mai realizzata in tema (Fancourt e Finn, 2019), che ha avuto sviluppi non solo in seno alla stessa OMS, impegnata in attività di ricerca e advocacy, ma anche in ambito europeo, con azioni preparatorie e programmi comunitari come il progetto “CultureForHealth” (Zbranca et al., 2022) e focus tematici su priorità di Salute pubblica come la sessione dedicata alla salute mentale dei giovani promossa dalla piattaforma “Voices of Culture” (Voices of Culture, 2023).
In merito al secondo aspetto, sono sempre più numerose le esperienze che vengono realizzate sia nei luoghi tradizionali della cultura, come biblioteche, musei, teatri, sia nei luoghi riservati alla cura delle persone, coinvolgendo ospedali, RSA, altre istituzioni assistenziali, carceri, centri culturali ibridi di nuova generazione, interi quartieri e aree fragili o degradate delle città. Si tratta di una costellazione variegata di realtà di diverse dimensioni e natura, che opera sui propri territori di riferimento per offrire una risposta concreta alle sfide della contemporaneità: dallo sviluppo infantile precoce alla genitorialità responsiva, dall’invecchiamento attivo al ben-essere dei curanti (compresi i caregivers non professionali), dalla tutela della salute mentale dei giovani all’umanizzazione dei luoghi di cura, dal contrasto alle disuguaglianze all’inclusione e all’empowerment delle persone, prestando particolare attenzione a coloro che vivono in contesti fragili e marginalizzati.
Una recente ricerca realizzata dal Social Biobehavioural Research Group – UCL conferma lo sviluppo promettente di queste prospettive, riassumendo i risultati di una serie di studi longitudinali condotti tra il 2017 e il 2022, nel Regno Unito e negli Stati Uniti, che hanno esaminato la relazione tra il coinvolgimento in attività artistiche e culturali e i benefici in termini di Salute e ben-essere (Fancourt et al., 2023). Le implicazioni per la Salute della popolazione sono profonde: lo studio indica che i benefici derivanti dalla partecipazione culturale iniziano nell’infanzia e proseguono nella prima e nella seconda adolescenza, agendo su l’iperattività e la disattenzione, il comportamento prosociale, l’autocontrollo, il sostegno sociale percepito, l’attività fisica, solo per citarne alcuni. Tra gli adulti, il coinvolgimento in attività artistiche e culturali può essere utilizzato per sostenere la regolazione emotiva, migliorare il ben-essere e la salute mentale, riducendo anche il rischio di sviluppare condizioni di disagio mentale. Tra gli anziani, oltre ai benefici psicologici, la partecipazione culturale presenta associazioni protettive contro il declino cognitivo, l’incidenza della demenza e molteplici aspetti della salute fisica e del funzionamento, tra cui la fragilità, il dolore cronico e la disabilità, nonché una migliore percezione dell’invecchiamento. Anche la durata della vita è associata positivamente: chi è impegnato culturalmente ha un rischio di mortalità inferiore.
Il nodo della (mancata) partecipazione culturale
In linea con questa visione, un aspetto che emerge come estremamente significativo è la garanzia di pari opportunità di accesso alla cultura e alle attività culturali. In tal senso, le diseguaglianze di opportunità, che partono dalle povertà esperienziali ed educative, rischiano di acuire ulteriormente le povertà sociali ed economiche. Nonostante le evidenze scientifiche mettano in luce il ruolo unico e importante che la cultura svolge nel corso della nostra vita, aiutandoci a stare bene e a vivere più a lungo, l’accesso alle esperienze culturali è ancora oggi diseguale e non tutti ne beneficiano come dovrebbero.
Focalizzando l’attenzione sul nostro Paese, le indagini Istat degli ultimi vent’anni sulle statistiche culturali invitano a riflettere sull’evoluzione dell’offerta, della fruizione e della partecipazione culturale. In particolare, l’ultima edizione del Rapporto BES sul Benessere Equo e Sostenibile mostra come, all’interno del panorama europeo, l’Italia si collochi agli ultimi posti per livello di partecipazione culturale fuori casa, seguita solo da Romania e Bulgaria. Se si prendono in considerazione attività culturali quali andare al cinema, visitare siti culturali o assistere a spettacoli dal vivo, la quota della popolazione italiana di 16 anni e più è inferiore di circa 12,7 punti percentuali rispetto alla media dei 25 Paesi Ue per i quali sono disponibili i dati più aggiornati (rilevati da Eurostat nel 2022). Nel nostro Paese, tutte le singole attività culturali fuori casa risultano essere svolte da una quota minore di residenti rispetto alla media europea, e un analogo andamento si osserva analizzando il comportamento dei giovani di 16-24 anni nel confronto con i loro coetanei europei.
Anche per quanto riguarda la lettura di libri, nel 2022, l’Italia si colloca in terzultima posizione tra i Paesi europei, e solo a Cipro e in Romania la percentuale di persone che ha letto almeno un libro nell’ultimo anno è più bassa. Anche rispetto ai giovani tra i 16 e i 24 anni, che notoriamente leggono di più della media della popolazione, l’Italia è l’unico Paese europeo, insieme a Cipro, dove meno della metà dei giovani ha letto almeno un libro nel corso di un anno. Inoltre, analizzando l’intensità della lettura attraverso il numero di libri letti, l’Italia è all’ultimo posto per la quota di persone di 16 anni e più che legge almeno quattro libri l’anno, con una quota quasi dimezzata rispetto alla media europea. Appare chiaro come si tratti di uno scenario strutturale per il nostro Paese, che anche nel 2015 si collocava in fondo alla graduatoria europea per livello di partecipazione culturale, occupando pressappoco la stessa posizione del 2022. Non a caso la mancata partecipazione a qualsiasi tipo di attività culturale in casa e fuori casa tocca quasi un italiano su tre. A questo aspetto fa da sponda quello della cosiddetta “siccità culturale”, ossia aree e territori in cui “non piove” cultura. Un’assenza di offerta culturale che taglia trasversalmente il Paese, anche se è presente in misura maggiore al Centro Sud, nelle periferie urbane e in aree interne e scarsamente popolate.
Ne deriva che la grande sfida, una sfida etica, nonché una responsabilità collettiva, è la partecipazione piena di coloro che non hanno ancora colto questa opportunità perché impossibilitati a farlo. Una partecipazione culturale che deve essere anche partecipazione sociale, che necessita di conoscenza dei pubblici e di competenze, di pratiche e linguaggi declinati ad hoc.
Cinque possibili aree di intervento
In uno scenario caratterizzato da crescenti disparità economiche, sociali e culturali che si traducono a loro volta in disuguaglianze di Salute sempre più marcate, diviene indispensabile esortare i policy maker, gli enti finanziatori, le organizzazioni sanitarie e le istituzioni culturali a rendere la partecipazione culturale un pilastro della salute pubblica, con azioni sistematiche e sistemiche in quadri di politiche abilitanti, come indicato ad esempio dalla Nuova agenda europea per la cultura del 2018, che ha posto in evidenza il ruolo centrale dei cross-over culturali, i cui effetti nelle politiche si leggono nel Nuovo Piano di Lavoro della Cultura 2023-2026, che ha inserito il binomio “Cultura e Salute” tra i suoi ventuno assi portanti.
Riprendendo lo studio condotto da Fancourt e colleghi (2023) sull’impatto del coinvolgimento culturale sulla Salute e il ben-essere della popolazione, è possibile mettere in luce cinque aree d’azione su cui intervenire per assegnare alla relazione virtuosa tra cultura e Salute un ruolo sempre più centrale.
In primo luogo, il report sottolinea la necessità di rafforzare le collaborazioni con il settore dell’istruzione, in quanto le iniziative e i progetti culturali realizzati all’interno delle scuole sono essenziali per far entrare in contatto la fascia più giovane della popolazione con questo tipo di attività e promuovere comportamenti salutari ad ampio spettro. Accanto a ciò, un’altra area di intervento è rappresentata dal consolidamento delle connessioni tra assistenza clinica e comunitaria, attraverso il potenziamento, ad esempio, dei programmi di prescrizione sociale che indirizzano le persone verso attività artistiche e culturali in grado di sostenere la loro Salute e il loro ben-essere, ampliando sia l’accesso alla cultura sia il coinvolgimento della comunità nei programmi di cura dei pazienti. Altrettanto rilevanti sono le iniziative volte a normalizzare e facilitare l’impegno artistico e culturale come parte della vita quotidiana, soprattutto in un’ottica di prevenzione, in quanto incoraggiano strategie efficaci di regolazione delle emozioni, migliorano il coping, creano sostegno sociale e aumentano la resilienza.
Con particolare riferimento alle disparità di accesso alla cultura, la ricerca suggerisce di prestare particolare attenzione ai contesti territoriali svantaggiati, in quanto i dati mostrano che le persone che vivono in aree fragili traggono maggiori benefici dalla partecipazione culturale rispetto a coloro che vivono in aree più ricche. Ne deriva che la Cultura potrebbe svolgere una funzione sostanziale nella riduzione delle disuguaglianze di Salute. Infine, lo studio invita ad approfondire ulteriormente la conoscenza del rapporto tra Cultura e Salute, tramite il sostegno e l’avvio di nuove piste di ricerca volte a esplorare e confrontare diversi interventi artistici, con l’intento di comprendere come e perché certe attività culturali siano capaci di attivare determinati effetti. Da un punto di vista pratico, ciò si potrebbe tradurre in una promozione della ricerca valutativa, nel supporto alla progettazione, implementazione e monitoraggio delle iniziative e dei progetti, aiutando gli operatori coinvolti a considerare quali elementi includere in un intervento per ottenere il risultato desiderato, oppure a valutare quanto la realizzazione di una pratica abbia soddisfatto i benefici attesi (Warran et al., 2023; si segnala che è in corso la traduzione in italiano a cura di CCW-Cultural Welfare Center della guida Arts and Health Evaluation: Navigating the Landscape redatta da Warran e colleghe).
Come riportato nella nota introduttiva al numero speciale della rivista Economia della Cultura su “Cultura, ben-essere e salute”, anche se resta ancora molto lavoro da fare, il welfare culturale si presenta oggi come “una prospettiva capace di mobilitare energie di pensiero e di disegno di azioni, a fronte di grandi sfide sociali, in alleanza imprescindibile tra istituzioni pubbliche e investitori sociali, organizzazioni culturali, presidi sanitari e servizi sociali” (Cicerchia e Seia, 2024). La strada da seguire per la costruzione di ben-essere individuale e collettivo è indicata e punta verso il superamento delle singole progettualità a favore dello sviluppo di politiche, in un quadro di equità sociale e di contrasto alle crescenti disuguaglianze.
Bibliografia
Cicerchia A., Seia C. (2024), Nota introduttiva, in «Economia della Cultura, Rivista trimestrale dell’Associazione per l’Economia della Cultura», Speciale/2023, pp. 5-8, doi: 10.1446/112779. Il Numero Speciale/2023 sul tema Cultura, Ben-Essere E Salute / Culture, Well-Being And Health, a cura di Annalisa Cicerchia e Catterina Seia.
Cicerchia A., Rossi Ghiglione A., Seia C. (2020), “Welfare culturale”, in Atlante della cultura, Treccani, Roma 2020.
Fancourt D., Finn S., Health evidence network synthesis report 67. What is the evidence on the role of the arts in improving health and wellbeing? A scoping review, WHO Regional Office for Europe, Traduzione italiana a cura di CCW-Cultural Welfare Center.
Fancourt D., Bone J.K., Bu F., Mak H.W., Bradbury A. (2023), The Impact of Arts and Cultural Engagement on Population Health: Findings from Major Cohort Studies in the UK and USA 2017 – 2022, London, UCL.
Grossi E. e Ravagnan A. (a cura di) (2013), Cultura e salute: La partecipazione culturale come strumento per un nuovo welfare, Springer Verlag Italia.
Stahl T. (2006), Health in All Policies. Prospects and Potentials, Ministry of Social Affairs and Health, in European Observatory on Health Systems and Policies.
Voices of Culture, Brainstorming Report ‘Youth, Mental Health and Culture’, 2023. Traduzione italiana a cura di CCW-Cultural Welfare Center.
Warran K., Burton A., Fancourt D. (2022), What are the active ingredients of ‘arts in health’ activities? Development of the INgredients iN ArTs in hEalth (INNATE) Framework, in «Wellcome Open Res», 7 Oct.
Warran K., Daykin N., Pilecka A., Fancourt D. (2023), Arts and Health Evaluation: Navigating the Landscape, UCL. Si segnala che è in corso la traduzione in italiano a cura di CCW-Cultural Welfare Center.
Zbranca R., Dâmaso M., Blaga O., Kiss K., Dascal MD., Yakobson D., Pop O. (2022), CultureForHealth Report. Culture’s contribution to health and well-being. A report on evidence and policy recommendations for Europe, in CultureForHealth, Culture Action Europe. Traduzione italiana a cura di CCW-Cultural Welfare Center.