Il progressivo invecchiamento della popolazione rappresenta una delle grandi sfide del XXI secolo, non solo per i Paesi economicamente sviluppati, ma anche per le economie emergenti e le aree più marginali.
Una popolazione che invecchia
L’Ocse indica come negli ultimi 30 anni il numero di persone con più di 65 anni per 100 persone in età lavorativa (20-64 anni) sia passato in media da 21 nel 1994 a 33 nel 2024, stimando che nei prossimi 30 anni raggiungerà le 55 unità e in Italia arriverà addirittura a 78 individui ogni 100 nel 2060. Il nostro Paese, infatti, non è solo quello che a livello europeo ha la più alta quota di persone di 65 anni e oltre sulla popolazione totale, ma le previsioni indicano anche un consistente aumento dei cosiddetti grandi anziani, ossia delle persone ultraottantenni e ultranovantenni, che nel 2041 supereranno i 6 milioni nel primo caso e arriveranno a 1,4 milioni nel secondo.
Inoltre, le cifre della demografia italiana mostrano che la popolazione ultrasessantacinquenne ammonti a 14 milioni 177mila individui al 1° gennaio 2023, mentre le persone ultraottantenni sono 4 milioni 530mila, rappresentando rispettivamente il 24,1% e il 7,7% della popolazione totale.
La sfida dell’invecchiamento attivo
Alla luce di ciò, come mette in evidenza anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), una questione che diventa cruciale è come trascorreremo questi anni di vita extra. A questo proposito, soprattutto nei contesti urbani, numerosi fattori possono influire, positivamente e negativamente, sulle opportunità, le decisioni e i comportamenti individuali e collettivi, con ricadute dirette e indirette sui determinanti sociali della salute. Ne deriva che “invecchiare in contesti complessi, quali le grandi città e le metropoli occidentali – luoghi di urbanizzazione crescente e tecnologizzazione imperante della vita quotidiana – solleva nuovi interrogativi” (Quattrocchi, 2022), connessi ai cambiamenti sociali repentini che la modernizzazione porta con sé.
Tali aspetti chiamano in causa la fondamentale distinzione tra invecchiamento attivo e invecchiamento non attivo, definito dall’OMS come quel processo di ottimizzazione delle opportunità di Salute, partecipazione e sicurezza, con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita delle persone anziane, rendendole protagoniste attive della propria vita nei contesti in cui agiscono e con cui interagiscono.
In questa direzione, sebbene vi sia una comprensibile tendenza a leggere gli impatti dell’invecchiamento attivo in termini sociali ed economici, altri importanti fattori sono connessi a questo fenomeno e riguardano la centralità della promozione della salute in tutto il ciclo della vita, partendo dallo sviluppo umano e dall’opportunità di mobilitare il potenziale individuale, risorsa cardine ancora sottovalutata, per contribuire ad affrontare in modo efficace le sfide sociali future. Questa visione invita a superare la concezione neoliberista di “successful ageing”, che non tiene conto dell’importanza della prospettiva intersezionale – che allarga la sfera delle disuguaglianze a dimensioni quali il genere, l’etnia, la disabilità, ecc. – e che tende a considerare come “colpevoli” o “perdenti” le persone anziane che per i motivi più disparati (fragilità fisica o psicologica, patologia, disabilità, marginalità sociale o economica, solitudine, ecc.) non rientrano nelle dinamiche consumistico-produttive tipiche del modello capitalista.
La cultura come risorsa di ben-essere
Qui entra in gioco il ruolo dell’espressione e della partecipazione culturale, che si configurano come una significativa leva strategica delle politiche a favore della salute – a partire dai primi 1000 giorni centrali per lo sviluppo neurobiologico per tutto l’arco della vita -, in virtù della loro capacità sia di contribuire a sviluppare le life skills, ossia “tutte quelle abilità e competenze che è necessario apprendere per mettersi in relazione con gli altri, per affrontare i problemi, le pressioni e gli stress della vita quotidiana”, sia di mantenere le persone cognitivamente e socialmente coinvolte, laddove supportate da contesti salutogenici e capaci di dare valore alle risorse di comunità.
In tal senso, a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, la relazione tra partecipazione culturale e longevità ha iniziato a suscitare interesse nel mondo scientifico, grazie agli studi pionieristici condotti in Svezia da Lars Olov Bygren, che nel 1996, in una ricerca miliare sul The British Medical Journal, ha dimostrato che “la cultura allunga la vita”. Da quel momento, molte ricerche hanno rafforzato la tesi e avanzato diverse ipotesi sui meccanismi biologici che concorrono al raggiungimento di tale risultato (Fancourt et al, 2023).
È crescente, infatti, la mole di evidenze, studi e ricerche che attestano i benefici della cultura sulla salute e il ben-essere delle persone in generale e delle persone anziane in particolare (Fancourt e Finn, 2019; Aula e Masoodian, 2023). È dimostrato che le attività creative e artistiche migliorano il senso di autostima e promuovono le interazioni sociali, due importanti fattori che contribuiscono a migliorare il ben-essere percepito e la capacità di reagire alle avversità (Price e Tinker, 2014). Un’ampia gamma di ricerche testimonia i benefici della musica per la salute neurologica (Fancourt, 2017). Oltre alla salute fisica, è stato messo in luce che i marcatori dello stress e i fattori di salute mentale migliorano con il coinvolgimento in diversi tipi di attività creative e artistiche (Corbin et al., 2021). Allo stesso modo, le attività artistiche di comunità che favoriscono la socializzazione sono state utilizzate efficacemente come strumento di prevenzione per contrastare l’esclusione sociale e la ricerca su questo tipo di pratiche ha mostrato il grande potenziale degli effetti positivi sul ben-essere (Archibald e Kitson, 2020).
La collaborazione con artisti professionisti, l’alta qualità della facilitazione e la sensibilità verso il vissuto dei partecipanti sono alcuni degli aspetti che contribuiscono al successo di questi interventi partecipativi. In questa direzione, ad esempio, si evidenzia come cantare regolarmente in un coro oppure frequentare una scuola di ballo siano pratiche che consentano di sviluppare un senso di identità collettiva attraverso cui le persone anziane si sentono legate le une alle altre. Visitare un museo ogni due mesi, o anche più spesso, in età avanzata è stato associato a un più lento declino cognitivo e a un minore rischio di sviluppare demenza. Attività culturali come il teatro e la danza, oppure le attività manuali, permettono alle persone anziane di vivere un’esperienza positiva con il proprio corpo. In aggiunta a ciò, pure la durata della vita mostra un’associazione positiva con il coinvolgimento in pratiche artistiche e culturali: coloro che sono culturalmente impegnati hanno un rischio di mortalità inferiore (Dowlen e Gray, 2022; Fancourt et al., 2023).
In linea con tali evidenze, una recente ricerca commissionata dal programma “Creative Ireland”, dal titolo Creative activity in the ageing population: Findings from Wave 6 of The Irish Longitudinal Study on Ageing, mette in luce come la partecipazione ad attività artistiche, creative e culturali sia associata a una maggiore qualità della vita e a livelli più bassi di depressione, stress, preoccupazione e solitudine. Lo studio indica che i benefici sono maggiori quando la partecipazione è continuativa e prolungata nel tempo. Gli anziani che non hanno mai partecipato ad attività artistiche e culturali riferiscono una qualità di vita inferiore e livelli più elevati di stress e preoccupazione rispetto a coloro che si dichiarano culturalmente attivi. Tra i fattori capaci di stimolare un coinvolgimento più frequente figura il livello di istruzione e il fatto di vivere in un contesto urbano, caratterizzato da una maggiore offerta culturale rispetto alle zone rurali. In particolare, le persone anziane con una formazione universitaria hanno una probabilità cinque volte più alta di prendere parte a iniziative culturali rispetto a coloro che hanno la sola licenza elementare. Infine, la motivazione più forte per la partecipazione è rappresentata dall’interesse nei confronti della pratica culturale svolta, seguita dal piacere/divertimento e dagli aspetti sociali/benefici.
Un tema questo che ne richiama un altro altrettanto significativo, ossia quello dell’accesso alla cultura e alle attività culturali, in quanto le persistenti e crescenti disuguaglianze di opportunità, di esperienza e di istruzione rischiano di lasciare fuori dal raggio d’azione di questi interventi ampi strati della popolazione. Tale criticità assume una portata non trascurabile in un Paese come l’Italia, tristemente noto per i suoi bassi tassi di partecipazione culturale: secondo i dati riportati nell’ultima edizione dell’Annuario Statistico Italiano, nel nostro Paese, nel 2022, la quota degli inattivi sotto il profilo delle attività culturali è del 29,3% e, a partire dai 45 anni, il tasso di astensionismo supera la media nazionale. I valori più elevati si rilevano tra gli over 65enni: tra i 65 e i 74 anni circa 4 persone su 10 non hanno fruito di alcun intrattenimento o spettacolo fuori casa e non hanno letto né libri né quotidiani negli ultimi 12 mesi, e tra coloro che hanno più di 75 anni il valore è pari a 5 persone su 10. A ciò si sommano ulteriori ostacoli e barriere – tra cui, vivere in un luogo isolato, costo e/o difficoltà di accesso ai mezzi di trasporto pubblico, condizioni di cattiva salute (mentale o fisica), assenza di reti sociali, ecc. – che possono dare vita a una sorta di circolo vizioso. Ne deriva che è soprattutto nei contesti economici marginali e meno abilitanti che le disparità di accesso alla cultura rischiano di esacerbare ulteriormente i divari di salute.
Invecchiamento attivo e welfare culturale
Una possibile risposta a tali criticità è rappresentata dalla prospettiva del welfare culturale, inteso come “un nuovo modello integrato di promozione del ben-essere e della salute degli individui e delle comunità, attraverso pratiche fondate sulle arti visive, performative e sul patrimonio culturale” (), in cui la cultura è vista come una risorsa per il raggiungimento del ben-essere e di una migliore qualità della vita. Verso la popolazione anziana, un caso internazionale che rappresenta una fonte di ispirazione è quello dei Paesi Bassi. Si tratta di un territorio che, in ambito europeo, può essere definito apripista per quanto riguarda le politiche a favore dell’invecchiamento attivo e che ha scelto di focalizzare la sua attenzione su alcuni temi chiave, quali: la lotta alla solitudine, affrontata grazie alla costruzione di reti e alleanze locali tra settore sociale e imprese, coordinate dai comuni e unite in una coalizione nazionale contro l’isolamento; il miglioramento delle strutture di assistenza, attraverso la cura dei luoghi e la formazione del personale delle case di riposo; l’attenzione alla qualità della vita domestica, con programmi di formazione per caregivers e volontari.
In questo contesto virtuoso è nato e si è sviluppato, ad esempio, il programma “Age Friendly Cultural Cities”, che si focalizza sui contesti urbani e in particolare sul rendere le città a misura di anziano attraverso la cultura. Il programma, che si ispira al più noto network “Age Friendly Cities and Communities” promosso dall’OMS, è stato sostenuto dal Fondo nazionale dei Paesi Bassi per la partecipazione culturale (Fonds voor Cultuurparticipatie) in un arco temporale di cinque anni, dal 2016 al 2021. Grazie a questa misura pubblica, 23 città hanno avuto la possibilità di stimolare e ampliare ulteriormente la propria offerta culturale, dedicando tutta una serie di interventi sistematici al coinvolgimento delle persone anziane. La caratteristica distintiva di questo programma è il fatto di includere in modo esplicito la cultura tra gli aspetti che contribuiscono a rendere una città a misura delle persone anziane. In particolare, questo percorso si è impegnato a conseguire tale risultato attraverso il consolidamento delle collaborazioni tra istituzioni culturali e organizzazioni sanitarie, con l’intento di abbattere le barriere tra arte, cultura, salute e welfare, instaurando delle relazioni stabili e durature tra ambiti di policy che sono soliti essere considerati come debolmente interconnessi. In un periodo di cinque anni, il programma ha realizzato complessivamente oltre 2000 attività, coinvolgendo circa 17.000 partecipanti e riuscendo a conseguire importanti risultati concreti, come testimonia il caso della città di Harlem che è riuscita a inserire il tema dell’invecchiamento attivo all’interno del proprio bilancio Cultura 2021 e ad assumere una figura dedicata all’implementazione di questi progetti e attività.
Spostando l’attenzione dal contesto europeo a quello italiano, pur in assenza di una politica integrata a livello nazionale, il nostro Paese presenta una molteplicità di pratiche sul tema dell’invecchiamento attivo. Si tratta in molti casi di realtà che progettano servizi culturali di carattere fortemente innovativo, con un alto impatto sociale e che creano su basi scientifiche nuove risposte a bisogni specifici di salute, ben-essere, inclusione ed empowerment. In particolare, queste esperienze rivolte principalmente, ma non esclusivamente, alle persone over60 offrono opportunità di una più intensa interazione sociale, favorendo la nascita di nuove amicizie oppure rafforzando quelle già in essere, acquistando una maggiore fiducia in sé stessi e nelle proprie abilità. Queste opportunità producono anche una diminuzione del senso di solitudine e isolamento. La più assidua interazione con gli altri porta a ricevere un maggior sostegno da parte dei pari durante i momenti difficili (come ad esempio un lutto), ad accedere a una più ampia gamma di risorse o servizi e a migliorare le relazioni con la propria famiglia e gli amici.
In tal senso, a partire dal 2022, nella città di Torino è attivo il programma La cultura dietro l’angolo, nato da un’idea di Fondazione Compagnia di San Paolo, con la collaborazione tra alcuni dei più importanti enti culturali della città e dieci presidi civici nelle periferie cittadine. Il programma – inserito nelle politiche territoriali e gestito dalla Città di Torino attraverso la Fondazione per la Cultura – si pone l’obiettivo di costruire una rete di collaborazioni con alcuni dei più importanti attori pubblici e culturali torinesi per estendere i benefici della partecipazione culturale a tutta la cittadinanza, portando la cultura a poca distanza da casa (in linea con la prospettiva della “città dei 15 minuti”), creando nuove occasioni di relazione, condivisione, aggregazione e partecipazione nelle case del quartiere, nelle biblioteche e negli spazi pubblici. Attraverso un ricco programma di oltre 240 attività culturali annuali, che si svolge nei diversi presidi con cadenza settimanale, le circoscrizioni torinesi favoriscono il coinvolgimento attivo di tutte le fasce d’età, con attenzione agli over 65, con concerti, spettacoli teatrali, performance artistiche, visite ai musei, giochi, laboratori, appuntamenti di divulgazione scientifica.
Sulla stessa scia, altre due esperienze che adottano la prospettiva del welfare culturale e che rappresentano un rilevante punto di riferimento, non solo in Italia, ma anche a livello internazionale, con un focus specifico sulla gestione degli effetti delle patologie neurodegenerative e il contrasto allo stigma, sono il Sistema Musei Toscani per l’Alzheimer (MTA) e la pratica Dance Well.
Con riferimento al primo caso, a partire dal 2013 alcuni musei toscani hanno iniziato a elaborare e proporre programmi dedicati alle persone che vivono con l’Alzheimer e altre forme di demenza, e ai loro caregivers (formali e informali). Dal 2020 per coordinare e intensificare la loro azione, capitanati dall’associazione culturale “L’immaginario” di Firenze, si sono costituiti in un sistema formalizzato, il Sistema MTA, che offre programmi museali rivolti a persone con demenza e ai loro caregivers, incentrati sul potere comunicativo ed emozionale dell’arte e del museo, con lo scopo di favorire relazioni tra i partecipanti, senza distinzioni tra accompagnati e accompagnatori. Ad oggi al Sistema MTA aderiscono ventiquattro istituzioni in Toscana che rappresentano cinquantanove musei e una biblioteca. Il metodo di lavoro adottato si fonda sulla costituzione di una squadra multidisciplinare, con l’obiettivo di realizzare una progettazione condivisa tra educatori/educatrici museali ed educatori/educatrici geriatrici. La collaborazione intersettoriale rappresenta un aspetto centrale del progetto, nonché uno dei suoi principali punti di forza. Inoltre, nel giugno 2019 la Regione Toscana ha emanato un decreto in cui riconosce le proposte museali fra le prestazioni previste per la cura e il sostegno familiare nei confronti delle persone con demenza, inserite anche all’interno del Piano Regionale per la Non Autosufficienza 2022-2024. Grazie a questi importanti passaggi normativi, le attività promosse dai musei del Sistema MTA sono riconosciute tra i servizi e le prestazioni che i medici geriatri e le unità di valutazione multidimensionale possono prescrivere come una possibile cura per le persone con demenza, entrando a far parte del loro piano assistenziale.
Negli ultimi anni, il riconoscimento del lavoro svolto dal Sistema MTA si è notevolmente allargato oltre i confini nazionali, anche in virtù dell’ideazione e organizzazione di convegni internazionali, della realizzazione di corsi di formazione rivolti alle istituzioni museali che desiderano sviluppare programmi dedicati alle persone con demenza, della partecipazione a scambi e progetti internazionali, contribuendo così a dare visibilità alla rete e al suo approccio metodologico, e a riconfigurare l’identità stessa del museo quale istituzione inclusiva e democratica, che considera la piena accessibilità culturale un suo valore fondante.
Simile negli intenti, la pratica “Dance Well” è un altro esempio paradigmatico dell’alleanza virtuosa tra cultura e salute, con un focus sulla gestione delle patologie e la cura dei curanti. Si tratta di un programma che nasce con l’intento di promuovere la danza inclusiva in spazi museali e contesti artistici, e che si rivolge principalmente, ma non esclusivamente, a persone che vivono con il Parkinson. È una pratica ideata e promossa, dal 2013, dal Comune di Bassano del Grappa attraverso il CSC-Centro per la Scena Contemporanea, e consiste in lezioni di danza per persone con Parkinson, aperte anche alle diverse comunità locali (familiari, membri della comunità anziana over60, cittadini, studenti, richiedenti asilo, danzatori). Le classi, offerte gratuitamente, si svolgono presso il Museo Civico di Bassano del Grappa. Lo spazio artistico è uno degli elementi che distingue “Dance Well” dalle iniziative più tradizionali svolte in sale di danza, palestre o spazi per la riabilitazione in senso stretto, ampliando le abilità, competenze e conoscenze dei partecipanti, che hanno così la possibilità di divenire elementi significativi per le società in cui vivono.
Negli anni la pratica è cresciuta fino a diventare un progetto europeo, sostenuto dal Programma Creative Europe dell’Unione Europea, diffondendosi in più di dieci città italiane – Bergamo, Brescia, Castelfranco Veneto, Collegno, Milano, Prato (presso il Centro Luigi Pecci, in collaborazione con il Fresco Parkinson Institute e il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Prato), Recanati, Reggio Emilia, Roma, Schio, Terni, Verona –, in Francia, Germania, Repubblica Ceca e Lituania, in Giappone e nella comunità di Hong Kong, facendosi promotrice di un approccio innovativo al ben-essere e alla coesione sociale.
Come si evince dall’esperienza delle varie realtà che operano nell’ambito dell’invecchiamento attivo, per ottenere benefici duraturi è necessario rendere la relazione tra cultura e salute strutturale e sostenibile nel lungo periodo, attraverso una nuova stagione di politiche culturali, sanitarie e di welfare, che consentano di trasformare questa ricca e variegata costellazione di pratiche in servizi continuativi e costanti, a beneficio delle persone anziane e di tutta la collettività. Detto altrimenti, la grande sfida del creative ageing ci ricorda che dopo aver aggiunto giorni alla vita è giunto il momento di aggiungere vita ai giorni, per far sì che l’autonomia nella terza e nella quarta età possa finalmente ottenere il riconoscimento che merita.
Bibliografia
Archibald M.M., Kitson A.L. (2020), Using the arts for awareness, communication and knowledge translation in older adulthood: A scoping review, in Arts & Health, 12(2), 99–115. https://doi.org/10.1080/17533015.2019.1608567.
Aula I., Masoodian M. (2023), Creativity and Healthy Ageing: Future Research Directions, in Population Ageing. https://doi.org/10.1007/s12062-023-09431-8.
Cicerchia A., Rossi Ghiglione A., Seia C. (2020), Welfare culturale, in Atlante della cultura, Treccani, Roma 2020.
Corbin J.H., Sanmartino M., Hennessy E.A., Urke H.B. (2021), Arts and Health Promotion: Tools and Bridges for Practice, Research, and Social Transformation, in Springer International Publishing.
Dowlen R., Gray K. (2022), Research Digest: Older people – culture, community, connection, Version 1, March 2022, Leeds, Centre for Cultural Value.
Fancourt D. (2017), Arts in Health: Designing and researching interventions, Oxford University Press.
Fancourt D., Bone J.K., Bu F., Mak H.W., Bradbury A. (2023), The Impact of Arts and Cultural Engagement on Population Health: Findings from Major Cohort Studies in the UK and USA 2017 – 2022, London, UCL.
Fancourt D., Finn S. (2019), What is the evidence on the role of the arts in improving health and well-being? A scoping review. Health Evidence Network synthesis report 67, Copenhagen, WHO Regional Office for Europe.
Price K.A., Tinker, A.M. (2014), Creativity in later life, Maturitas, 78(4), 281–286. doi.org/10.1016/j.maturitas.2014.05.025.
Quattrocchi P. (2022), La prospettiva antropologica sull’invecchiamento. Stato dell’arte e prospettive di ricerca dai cross-cultural studies alla salute riproduttiva, Antropologia, Vol. 9, Numero 1 n.s.