1 Dicembre 2010 | Strumenti e approcci

Alzheimer in movimento: l’attività motoria con le persone affette da demenza

Alzheimer in movimento: l’attività motoria con le persone affette da demenza

L’attività motoria con gli anziani

Sono passati poco più di 30 anni dalla comparsa, anche nel nostro Paese, delle prime esperienze di attività fisica per la terza età [per gli “anziani in movimento”, come fu felicemente denominata l’associazione nata nell’ambito dell’ Unione Italiana Sport per tutti (UISP) a Torino e rapidamente diffusa in tutta Italia]: non interventi riabilitativi proposti a persone colpite da eventi invalidanti, né attività agonistiche destinate a sportivi che per tutta la vita avevano coltivato l’abitudine all’esercizio fisico, ma proposte motorie “di mantenimento”, finalizzate ad attivare (o “riattivare”) capacità motorie mortificate da decenni di vita sedentaria.

 

È importante ricordare – oggi che tutti i dubbi sull’efficacia dell’attività motoria nella promozione di un invecchiamento “di successo” sono stati fugati da una enorme massa di dati – che queste prime iniziative furono accolte con diffidenza dalle istituzioni, dagli operatori del settore, dagli stessi interessati e dalle loro famiglie. Anche tra i medici prevalsero, all’inizio, le perplessità, talora una vera e propria ostilità: in alcune realtà si ritenne necessario sottoporre gli anziani, prima di iniziare l’attività motoria, a test da sforzo; in altre situazioni addirittura i corsi si tenevano solo alla presenza di medici! La testimonianza diretta dei primi pionieri della “ginnastica per anziani”, le ricerche condotte d’intesa tra gruppi di geriatri ed istruttori, la progressiva diffusione della cultura gerontologico-geriatrica, favorirono da subito un rapido diffondersi di simili iniziative, una miglior definizione delle modalità e dei contenuti delle proposte motorie ed un progressivo ampliamento della platea dei destinatari.

 

Le prime esperienze erano rivolte prevalentemente a soggetti in età presenile e a “giovani vecchi”, per lo più in buona salute, ma grazie all’accresciuta consapevolezza, tanto negli istruttori quanto nei destinatari, del significato e dei limiti della motricità nelle diverse condizioni di equilibrio psico-fisico, e all’attenzione nel rapportare alle capacità funzionali della persona l’intensità ed il ritmo della proposta motoria valorizzandone gli aspetti ludici e relazionali, si estesero presto a persone più avanti con gli anni, agli anziani più “fragili”, agli utenti dei Centri Diurni, agli ospiti delle strutture residenziali. Proprio tra questi ultimi utenti, più “decondizionati” all’attività fisica, si poté confermare l’ampio beneficio dell’attività motoria sulle funzioni somatiche, sul benessere psicologico, sulle stesse prestazioni cognitive.

 

Col passare degli anni, la pratica motoria nelle strutture residenziali e semiresidenziali dovette confrontarsi con il progressivo aumento degli utenti affetti da demenza, mentre nascevano i primi nuclei Alzheimer e i primi centri diurni destinati a questi pazienti. Esperienze di attivazione psico-motoria di gruppi di persone cognitivamente compromesse, sia pure inizialmente sporadiche e non collegate fra loro, si sono andate consolidando ormai da una decina d’anni.

 

Esercizio fisico, funzioni cognitive e demenza

Ci sono ormai pochi dubbi sul fatto che l’attività fisica sia in grado di migliorare le prestazioni cognitive di persone anziane non dementi: gli effetti più significativi si osservano in particolare a carico delle funzioni esecutive e sono ottenuti con programmi motori che comprendono diversi tipi di attività motoria (aerobica, di flessibilità, di potenziamento muscolare) (Kramer et al., 2006a), ma si è dimostrata efficace anche un’attività di entità moderata, purché continuativa (Yaffe et al., 2001).

 

Numerose sono anche le dimostrazioni che il mantenimento di un adeguato livello di attività fisica previene l’insorgenza della demenza:

  •  una ricerca, che ha seguito un vasto numero di persone dalla mezza età fino alla vecchiaia, ha evidenziato come coloro che si mantenevano attivi avessero meno probabilità di ammalarsi di demenza rispetto a chi seguiva una vita sedentaria;
  • una serie di studi condotti su persone anziane ha dimostrato che, nell’arco di pochi anni, il rischio di ammalarsi di demenza era inferiore per gli anziani attivi rispetto ai coetanei sedentari in una percentuale che oscilla, secondo i diversi Autori, tra il 20% ed il 50% (Fratiglioni et al., 2004);
  • anche in persone anziane che all’inizio dello studio presentavano elevate prestazioni cognitive, una regolare attività motoria (condotta 3 o più volte alla settimana) ha ridotto il rischio di demenza, nell’arco di 6 anni, del 38% (Larson et al., 2006): osservazione importante, il beneficio maggiore si è osservato proprio nel gruppo di persone fisicamente più fragili all’inizio dello studio;
  • in un grosso studio, l’ Honolulu-Asia Hearth Study, uomini anziani che camminavano più di 3 chilometri al giorno avevano un rischio di demenza del 40% inferiore a coloro che percorrevano ogni giorno un tragitto più breve (Abbott et al., 2004); analogo beneficio è stato dimostrato per le quasi 19.000 donne incluse nel Nurses’ Health Study (Weuve et al., 2004); anche il recente studio pilota LIFE, condotto su anziani sedentari (70-89 anni) ad alto rischio di disabilità coinvolti in attività motoria di moderata intensità, ha confermato, a distanza di un anno, il miglioramento delle funzioni cognitive in parallelo col potenziamento delle prestazioni fisiche (Williamson et al., 2009).

 

Altri riscontri infine segnalano l’influenza positiva dell’attività motoria su persone già affette da demenza. Osservazioni condotte su pazienti dementi che vivono al loro domicilio o in casa di riposo (Heyn et al., 2004; Eggermont e Scherder, 2006; Williams e Tappen, 2007) hanno dimostrato che l’attività fisica non solo migliora globalmente lo stato di salute ritardando la perdita dell’autonomia funzionale, ma è in grado di:

  • rallentare il declino delle funzioni cognitive,
  • contrastare la depressione,
  • migliorare la quantità e la qualità del sonno,
  • ridurre i disturbi comportamentali, in particolare l’agitazione e l’irrequietezza.

 

L’effetto dell’attività motoria sulle funzioni cognitive sarebbe mediato (nei modelli animali) da un’aumentata produzione di fattori neurotrofici, in particolare il Brain-derived neurotrophic factor (BDNF) nell’ippocampo e da un’aumentata espressione dell‘RNA messaggero (mRNA), alle quali conseguirebbe un aumento della long-term potentation (LTP); è stata documentata neurogenesi nel giro dentato tanto nei giovani quanto nei vecchi animali. L’esercizio fisico aumenterebbe anche i livelli cerebrali della dopamina, della serotonina e dell’acetilcolina (Kramer et al., 2006b), mentre ridurrebbe l’accumulo di radicali liberi e di marcatori dell’infiammazione.

 

Nell’uomo, i benefici dell’esercizio fisico si associano ad un aumentato flusso cerebrale (Rogers et al., 1990) e ad un aumento dell’attività metabolica e dello spessore della corteccia nelle regioni frontali e temporali (Colcombe et al., 2004; Kramer et al., 2006a). L’efficacia dell’attività motoria sulle funzioni cerebrali è anche mediata da un più globale miglioramento della funzione cardiorespiratoria e dalla riduzione dei fattori di rischio cardiovascolare (l’ipertensione arteriosa, il diabete, l’ipercolesterolemia), che aumentano la probabilità di ammalarsi di Alzheimer.

 

Ma nella persona affetta da demenza l’attività fisica esercita un beneficio molto più ampio, migliorando le prestazioni motorie e l’autonomia nelle ADL, riducendo i sintomi depressivi, migliorando qualità e quantità del sonno e riducendo i disturbi comportamentali, in particolare l’irrequietezza e l’agitazione (Heyn et al., 2004; Rolland et al., 2007).

 

L’attività motoria con le persone dementi

L’abitudine a camminare fuori casa, mezz’ora al giorno, tutti i giorni, a passo sostenuto, è senz’altro efficace per la persona demente che vive a domicilio, non solo per l’impatto sulle sue prestazioni motorie: la percezione della propria autonomia motoria e il contatto con la realtà esterna ne migliorano infatti il tono dell’umore e riducono – come abbiamo visto – i disturbi comportamentali. È utile anche per i familiari: li aiuta a mantenere il benessere fisico, a ridurre lo stress, a migliorare la qualità del sonno.

 

Nelle prossime righe intendiamo soffermarci però sulle attività di gruppo, da noi sperimentate nell’ambito di strutture diurne e residenziali destinate a questi pazienti (Guerrini e Troletti, 2008) che, soprattutto nelle fasi iniziali della malattia, sono senz’altro da preferire perché in grado di offrire una maggiore varietà di stimoli. Accostarsi a questa particolare tipologia di utenti richiede peraltro particolari attenzioni. Dobbiamo innanzitutto ricordare che ognuno di loro presenta un complesso di deficit cognitivi, di problemi neurologici e sensoriali, di disturbi della comunicazione, non solo differenti da individuo ad individuo, ma altamente variabili nel corso del tempo, spesso da un giorno con l’altro, che influiscono pesantemente sulla sua capacità di ascolto e di comprensione dei messaggi esterni e sulla sua possibilità di recepire gli stimoli offerti e di formulare le risposte.

 

Anche le loro condizioni fisiche possono condizionare la scelta delle attività: gli esercizi condotti a terra (in posizione supina o laterale) non sono alla portata di tutti, per problematiche di ordine articolare o muscolare o per mancanza di un’abitudine precedente. Nella situazione di gruppo, infine, entrano in gioco altre variabili, legate al tono dell’umore, ai rapporti dei pazienti tra di loro, ma anche alla loro relazione con il conduttore e con l’operatore della struttura (che, preferibilmente, partecipa all’attività del piccolo gruppo coadiuvando il conduttore). Diventa pertanto difficile individuare proposte comprensibili e realizzabili da tutti, ed è necessaria la massima flessibilità da parte dell’operatore nell’adattare il programma alle condizioni del gruppo. D’altra parte, l’esperienza e gli studi effettuati sul comportamento di anziani non autosufficienti hanno dimostrato che l’attività psicomotoria condotta in gruppo ha rilevanti possibilità di riuscita perché la disposizione in circolo delle persone favorisce la comprensione e l’esecuzione della proposta motoria, arricchisce gli stimoli, sollecita le competenze relazionali.

 

Nei pazienti cognitivamente compromessi l’esercizio fisico basato sulle tecniche di attivazione psicomotoria attua una stimolazione più ampia e completa coinvolgendo contemporaneamente le funzioni sensoriali – con una serie di sollecitazioni rivolte alla sfera visiva, uditiva, tattile – le capacità cognitive, relazionali, di orientamento nello spazio, e le prestazioni neuromuscolari, attraverso esercizi atti a incrementare la mobilità, la coordinazione ed una contenuta tonificazione muscolare. La stimolazione visiva avviene mediante la percezione di forma, colore e destinazione abituale degli attrezzioggetti impiegati (ad esempio, la palla che si lancia, si batte a terra o si scambia con un altro, tenendo conto del colore, il cerchio che si rotola, il palloncino che si manda in alto). Riguardo l’aspetto uditivo, si può associare l’azione ad un suono, come ad esempio camminare per il locale al suono di una musica, fermandosi quando la musica tace e ripartendo quando questa riprende. La stimolazione tattile è ottenuta dalla manipolazione di piccoli oggetti e attrezzi, tra cui è significativo il massaggio con una pallina su varie parti del corpo (auto massaggio).

 

La stimolazione cognitiva accompagna ogni fase dell’attività: può essere potenziata con qualche proposta specifica come, ad esempio, cercare di ricordare i nomi dei partecipanti: in circolo lanciare la palla ad un compagno che si è preventivamente chiamato per nome. Se la persona non ricorda il nome può essere aiutato da tutti gli altri componenti del gruppo. Per l’orientamento nello spazio è utile impostare degli spostamenti di tutta la persona (cammino) o di segmenti del corpo (consegnare una palla) in modo da variare la direzione di solito anteriorizzata. Perciò, camminare a serpentina tra una fila di sedie, impostare con la musica una semplicissima danza, in circolo uno dietro l’altro, consegnare all’indietro un pallone. Lo stimolo relazionale si attua in tutti gli esercizi in cui ci si scambiano attrezzi o in cui ci si aiuta per compiere certi movimenti tenendosi per mano o col contatto di altre parti del corpo: dorso contro dorso, ad esempio, oppure seduti di fronte con le piante dei piedi che si toccano; o ancora coinvolgendo i partecipanti in semplici coreografie di danze popolari, e soprattutto nel ballo in coppia.

 

Il ballo compendia molti elementi importanti per lo svolgimento di questo programma fra cui, non certo trascurabile, il suo gradimento anche da persone spesso poco partecipi, se non addirittura indifferenti. È un discorso che vale per la musica in genere, che mette in atto una serie di emozioni legate spesso alla partecipazione delle persone, al senso ludico, alle sensazioni di un passato forse non completamente dimenticato. In ogni momento della proposta motoria si cerca di favorire l’autonomia delle risposte piuttosto che la precisione nell’esecuzione: non è raro che qualcuno risponda in modo personale e creativo, anche compiendo movimenti appresi in passato e facenti parte di una memoria motoria ancora risvegliabile.

 

I malati dimostrano in molti modi il loro gradimento per l’attivazione motoria; anzitutto con la loro presenza al gruppo, poi esprimendo spesso verbalmente ciò che provano, disappunto o compiacimento, ma soprattutto attraverso il linguaggio non verbale che il conduttore deve essere pronto a cogliere per indirizzare al meglio la scelta di quanto proporre negli incontri. Non possiamo chiudere queste brevi note senza accennare all’intervento con i caregiver, finalizzato a far loro acquisire la capacità e l’abitudine al rilassamento. Si tratta di un percorso di consapevolezza corporea basata essenzialmente sulla coscienza del proprio respiro e del proprio stato di tensione muscolare e psicologica.

 

Un percorso di questo genere è più facile e redditizio se fatto in gruppo con la guida di un esperto, ma è possibile anche in modo autonomo seguendo le indicazioni opportune. La capacità di praticare il rilassamento consapevole può essere di grande sollievo alla situazione in cui spesso si trova a vivere per anni il caregiver, oppresso dalla pena di vivere la distruzione del proprio congiunto senza poter arrestare il percorso negativo dell’evoluzione della malattia.

Bibliografia

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Fratiglioni L, Paillard-Borg S, Winblad B. An active and socially integrated lifestyle in late life might protect against dementia. Lancet Neurol 2004;3:343-53.

Guerrini G, Giorgi Troletti G. Alzheimer in movimento. L’attività motoria con le persone affette da demenza: manuale per familiari e operatori, Maggioli Editore, Sant’Arcangelo di Romagna 2008.

Heyn P, Abreu BC, and Ottenbacher KJ. The effects of exercise training on elderly persons with cognitive impairment and dementia: a meta-analysis. Arch Phys Med Rehabil 2004;85:1694-704.

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Larson EB, Wang L, Bowen JD, McCormick WC, Teri L, Crane P, and Kukull W. Exercise is associated with reduced risk for incident dementia among persons 65 years of age or older. Ann Intern Med 2006;144:73–81.

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Rolland Y, Pillard F, Klapouszczak A, Reynish E, Thomas D, Andrieu S, Riviere D, Vellas B. Exercise program for nursing home residents with Alzheimer’s disease: a 1-year randomized, controlled trial. J Am Geriatr Soc 2007;55:158-65.

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Bibliografia consigliata

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Rovio S, Helkala EL, Viitanen M, Winblad B, Tuomilehto J, Soininen H, Nissinen, and Kivipelto AM. Leisure time physical activity at midlife and the risk of dementia and Alzheimer’s disease. Lancet Neurol 2005;4:705–11.

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