1 Giugno 2012 | Editoriali

Editoriale
Una nuova sussidiarietà frugale in medicina?

Una nuova sussidiarietà frugale in medicina?

Ma cosa significa frugalità in medicina? E perché collocarla vicino alla sussidiarietà? La frugalità è molto di più che il risparmio in settori che non producono risultati; infatti è arrivato il tempo di decidere se il controllo della spesa sanitaria può essere fatto continuando per la strada incerta delle razionalizzazioni o se invece è necessario fare interventi che limitino i servizi disponibili sulla base di criteri clinici precisi, che in generale si ispirano ad una frugalità scelta dal cittadino e al rispetto di ambiti precisi per ciascun servizio, evitando sovrapposizioni e inutili sconfinamenti tra un servizio e l’altro, secondo il principio della sussidiarietà. Queste considerazioni sono centrali in particolare rispetto alla crisi che investe i servizi per le persone fragili, affette da malattie croniche; occorrono coraggio e determinazione per evitare che le difficoltà diventino sempre più gravi e irrisolvibili.

 

Purtroppo i tagli sugli eccessi e gli sprechi non hanno portato in questi anni a reali risultati; resistenze forti da parte del sistema hanno impedito di trasformare in risparmi anche interventi apparentemente forti come la chiusura di alcuni ospedali. Infatti il personale continua a svolgere mansioni simili a quelle precedenti, perché è difficile una reale riconversione, i muri vengono occupati da altri servizi con costi sempre elevati per la loro gestione, i fornitori fanno pressione per la conversione degli impegni in altri settori. Peraltro le corporazioni resistono alla semplificazione dei servizi; frequentemente ne convivono di assolutamente simili in spazi contigui, ciascuno con una propria organizzazione autonoma, inutile ma intoccabile, anche perché spesso gli operatori sono collegati con padrinati politici che difendono interessi particolari.

 

Sulla base di queste considerazioni, appare ovvio che interventi più drastici sono l’unica soluzione praticabile in tempi non lunghissimi. Una di queste proposte prevede di far uscire dal sistema dei rimborsi pubblici una serie di costi attribuibili ad interventi di peso limitato,perché si riferiscono a condizioni di malattia di breve durata, con un preciso inizio ed una fine altrettanto definita. Addossare ai cittadini i costi per interventi di breve durata non rappresenta una lesione dell’universalismo, ma solo una sua intelligente modulazione per poter rispondere a tutti di fronte ai bisogni più pesanti, che richiedono l’intervento della collettività.

 

Ma i cittadini sono disposti ad accettare un atteggiamento più frugale rispetto alla situazione attuale? Da più parti si è recentemente accennato ad alcuni inviti all’austerità che erano stati espressi qualche decennio fa da autorevoli esponenti della classe politica; non sembra però che gli anni più recenti siano stati ispirati a criteri di forte rigore etico. Ma a prescindere da prese di posizione ufficiali, i cittadini sarebbero disposti ad assumere la frugalità come modalità della vita individuale e collettiva? Chi scrive incontra persone bisognose di cure di tutti i ceti sociali; l’impressione -seppure empirica- è che una responsabilizzazione di fronte alla spesa potrebbe ottenere consenso rispetto a provvedimenti anche severi. Certamente la consapevolezza non si ottiene con operazioni come il comunicare i costi di un ricovero al momento della dimissione dall’ospedale; è infatti solo il modo per far sentire a disagio proprio chi ha maggior bisogno di assistenza e quindi costa di più e sarebbe la persona che più si gioverebbe della frugalità di altri.

 

Recentemente un editoriale del New England Journal of Medicine indicava la parola razionamento come un termine impronunciabile in ambito sanitario; infatti la frugalità ha un altro significato, e non solo sul piano estetico, perché presume un’accettazione da parte del cittadino, mentre il razionamento viene calato dall’alto, con o senza il consenso degli interessati. Qualcuno potrebbe ritenere che il termine ha una valenza etica, che poco si adatta ad una decisione economica; però in questo momento sarebbero in molti ad accettare piccoli-grandi sacrifici. Per ottenere questo risultato non è opportuno fare ricorso al terrorismo dei numeri, perché la paura paralizza e non è mai stata una consigliera per scelte intelligenti; molto di più vale l’indicazione che i bisogni del vicino, spesso pesanti e non risolvibili solamente con le sue forze, potrebbero domani diventare i nostri bisogni e che quindi se si accetta la regola della frugalità domani potrebbe diventare un vantaggio per noi.

 

Una parola “sorella” della frugalità è la parsimonia, caratteristica di chi deve decidere se e come spendere; la parsimonia, in particolare, dovrebbe essere dote del medico, che di fronte a bisogni che sono teoricamente senza fine, è in grado di farne un elenco ragionato, indirizzando l’impegno clinico e quindi di spesa verso le aree realmente bisognose e non verso tutto quanto appartiene ad elenchi che rispondono alla realtà in termini formali, ma non rappresentano aree di sostanziale utilità per il benessere del cittadino. Ma la parsimonia è accettata oggi da una cultura clinica ancora incentrata su tecnologie che si autogiustificano?

 

Come si può comprendere da queste poche righe, il tema del risparmio collegato alla frugalità e al rispetto della sussidiarietà nei servizi (caratteristica organizzativa che avrebbe anche ricadute importanti sulla qualità dell’assistenza, perché il cittadino verrebbe in contatto con una rete senza sovrapposizioni, dove ogni attore svolge il proprio dovere e copre uno spazio preciso) si apre a mille sfaccettature; perché non avere il coraggio di porlo apertamente, evitando le consuete discussioni in politichese su una tipologia o l’altra di ticket? È necessario capire che i nostri concittadini non sono più disposti ad accettare alchimie che chiedono sacrifici senza essere responsabilizzati; invece utilizzare apertamente la parola solidarietà, corredata da impegni precisi a tutti i livelli, come quello di costruire reti razionali e in grado di rispondere davvero al bisogno, potrebbe costituire un approccio nuovo e probabilmente efficace. Perché non tentare con coraggio, andando contro corrente rispetto all’idea di una decadenza inarrestabile?

 

Chi come il lettore di questa rivista ogni giorno incontra i problemi delle persone gravemente ammalate e non autosufficienti è più di altri sensibile a queste considerazioni; è quindi un attore di cambiamento più determinato. Sarà quindi in grado di esercitare un’influenza pesante e mirata, senza retorica, ma anche senza timori.

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