Riassunto
Il miglioramento della continuità assistenziale tra ospedale e territorio costituisce una necessità evidenziata a livello nazionale e regionale. Per individuare forze e limiti dell’attuale modalità di gestione della continuità assistenziale è stata condotta nella ASL TO2 del Piemonte una ricerca sulle caratteristiche dei soggetti segnalati, i tempi e le modalità di attivazione delle risposte e i rischi di ricovero inappropriato. È confermata la netta prevalenza di segnalazione dai reparti di medicina (46%) mentre i servizi più frequentemente attivati risultano le Case di cura (16%) e le Cure domiciliari (15%). I ricoveri ripetuti sono numerosi, anche nei 10 giorni successivi l’attivazione dei servizi di continuità assistenziale.
Emerge l’aumento di segnalazioni da centri e strutture per pazienti precedentemente inseriti per brevi periodi, ma con necessità e bisogni irrisolti. Risulta infine un maggior rischio di ricovero inappropriato fra i pazienti inseriti in Lunga assistenza, in base alla minor autonomia del paziente e alla minor affidabilità o presenza dei familiari. Dallo studio emerge la necessità di testare nuovi indicatori di fragilità clinica e sociale, da correlare all’efficacia “protettiva” degli interventi assistenziali attivabili. Emerge altresì, in considerazione dell’attuale restrizione delle risorse economiche, la necessità di modulare l’assistenza domiciliare, prevenendo e monitorando nel tempo i mutamenti delle condizioni cliniche e di sostegno familiare e rivalutando tempestivamente l’adeguatezza delle cure.
Contesto
La presenza negli ospedali di un numero sempre più elevato di pazienti cronici, con pluripatologie, complessi per la coesistenza di problematiche sanitarie e socio-assistenziali comporta spesso un allungamento dei tempi di degenza, soprattutto per la necessità di intervento di servizi esterni alle strutture. Questi stessi pazienti rappresentano una quota importante di coloro che giungono in Pronto Soccorso, espressione di una difficoltà nella gestione domiciliare sia da parte dei familiari che dei sanitari (1, 2-4).
Da qui la necessità di migliorare la continuità assistenziale tra l’Ospedale e l’offerta socio-sanitaria territoriale da parte dei Distretti delle ASL e individuare in modo precoce i diversi bisogni clinico-assistenziali attraverso procedure che permettano l’inserimento del paziente in percorsi in cui siano previsti interventi multidisciplinari finalizzati alla modalità di dimissione più appropriata e la presa in carico avvenga in tempi rapidi, al fine di non creare inefficienza nel sistema(5-7). La mancata continuità assistenziale impatta fortemente sulle prestazioni sanitarie erogate in ambito ospedaliero con “difficoltà” nella dimissione, allungamento dei tempi di degenza, nonché un allungamento dei tempi di attesa per ricoveri programmati e una diminuzione della qualità delle prestazioni sanitarie erogate (8). Inoltre tale carenza comporta anche rilevanti costi aggiuntivi per il paziente e per il sistema sanitario correlati ad un ricorso improprio a servizi di Pronto soccorso con, a volte, ricoveri ospedalieri o invii in Servizi socio-sanitari non del tutto appropriati sul piano clinico, ma necessari per la concomitante presenza di condizioni di non autosufficienza correlata ad assenza di un adeguato supporto familiare.
La Regione Piemonte, già nel dicembre 2004, con la DGR n° 72-14420 ha invitato le ASL a istituire delle Centrali operative che si interfacciassero con gli Ospedali per l’attivazione di percorsi di continuità assistenziale post ricovero (9). Dette centrali sono state istituite nelle ASL piemontesi con modalità organizzative molto eterogenee tra loro. Non a caso, nel marzo 2012 la Regione Piemonte ha deliberato una nuova DGR n. 27-3628 contenente un modello organizzativo di riferimento, con solo alcuni elementi personalizzabili da parte delle singole ASL (10,11).
Modello organizzativo della centrale operativa distrettuale per la continuità assistenziale (C.O.C.A.) dei distretti circoscrizione 6 e 7 dell’ASL TO2
La Centrale presidiata da personale infermieristico e di assistenza sociale dal lunedì al venerdì dalle ore 8.00 alle ore 17.00, accoglie, 24 ore su 24, tramite fax, segreteria telefonica o mail, le segnalazioni delle unità operative e dei Pronto Soccorso degli ospedali regionali. In questi anni il processo di raccolta delle informazioni da parte della C.O.C.A. si è affinato ed evoluto, dapprima definendo i flussi informativi che devono intercorrere tra Ospedale e C.O.C.A. e successivamente concordando con i presidi ospedalieri di maggiore riferimento (San G. Bosco dell’ASL To 2, Cottolengo, Gradenigo) la segnalazione precoce dei casi (orientativamente entro 72 ore dal ricovero) e una visita/colloquio dell’assistito, svolta dal personale infermieristico della C.O.C.A., presso l’unità operativa entro 48 ore dalla segnalazione. I setting di cura proponibili alla dimissione sono i seguenti: Cure domiciliari di acuzie/post acuzie, Cure palliative, ricoveri nei Nuclei di Dimissione ospedaliera protetta delle Residenze Sanitarie Assistenziali, Case di cura, Lungoassistenza domiciliare, Semiresidenziale e Residenziale (12, 13).
Analisi delle segnalazioni pervenute nel 2011 e delle risposte attivate
Materiali e metodi
I dati relativi alle segnalazioni contenenti le informazioni necessarie ad impostare l’intervento di continuità assistenziale e monitorarne l’andamento sono stati estrapolati su foglio elettronico dai seguenti database dell’ASL TO2: “Continuità cure”, “Triage Lungoassistenza domiciliare”, “Schede Dimissione Ospedaliera” (SDO)”, “Servizio di Assistenza Domiciliare (SAD)”, Assistenza Domiciliare Integrata (ADI)”. Nel dataset, reso opportunamente anonimo, sono stati successivamente esaminati i percorsi di ricovero ospedaliero ripetuto secondo i criteri meglio descritti nei paragrafi successivi. I dati sono stati analizzati mediante il software SAS 9.1 adottando tecniche SQL.
Risultati
Nel 2011 sono pervenute alla Centrale C.O.C.A. 1.395 segnalazioni di pazienti ricoverati che necessitavano di continuità di cure alla dimissione a fronte di 1.302 segnalazioni pervenute nel 2010. Tra gli Ospedali cittadini, il San G. Bosco è quello che ha fatto pervenire maggiori segnalazioni, in particolare provenienti dal Dipartimento di Medicina con 722 casi (86%), a fronte di 109 casi (13%) del Dipartimento Chirurgico (Tabb. 1 e 2) e ulteriori 12 casi segnalati dal Servizio Psichiatrico che però non sono stati considerati nello studio.
L’inserimento in Case di cura e il rientro al domicilio con l’attivazione di Cure domiciliari a prevalenza sanitaria (Servizio Infermieristico Domiciliare – SID e Assistenza Domiciliare Integrata – ADI) costituiscono la maggiore risposta attivata, ciascuna per un 15,0% dei casi segnalati. Seguono gli inserimenti in Nuclei di Deospedalizzazione protetta presso Residenze per anziani (11,0%) e gli inserimenti a tempo indeterminato in Residenze per anziani non autosufficienti (6,0%) (Tab. 3).
In relazione alla riduzione delle risorse finanziarie delle ASL e dei Comuni, si evidenzia altresì l’aumento dei rientri al domicilio senza l’attivazione immediata di interventi di sostegno alla domiciliarità, ma con un inserimento in lista di attesa per la contribuzione economica dell’ASL e del Comune ad aiuti di Lungoassistenza domiciliare: assistenza familiare, affidi, telesoccorso, consegna pasti a domicilio, ecc. (incrementati dall’8,9% del 2010 al 10,3% del 2011). Le segnalazioni pervenute dall’Ospedale di riferimento San G. Bosco differenziate per Dipartimento di Medicina e Dipartimento di Chirurgia sono state fatte oggetto di un’analisi comparativa della tipologia degli interventi attivati, nonché della loro appropriatezza. Per valutare l’appropriatezza delle risposte assistenziali attivate sono stati analizzati i re-ricoveri ospedalieri occorsi nei tre mesi successivi.
I dati hanno documentato una minore attivazione delle Cure domiciliari e della Lungoassistenza domiciliare per i pazienti segnalati dal Dipartimento chirurgico e un maggiore invio degli stessi in Nuclei di deospedalizzazione protetta o Strutture residenziali a valenza riabilitativa e convalescenziale. Un fenomeno analogo è stato riscontrato in modo ricorrente per 131 segnalazioni pervenute nel corso dell’anno 2011 dal Pronto Soccorso, relative a persone con bisogni assistenziali rilevanti, che non necessitavano di ricovero ospedaliero, ma che non potevano neppure rientrare al domicilio senza supporto. Per queste segnalazioni, la tipologia di risposta attivata era costituita da servizi immediatamente disponibili: ADI e SID (32,8%), ma soprattutto l’inserimento in Nuclei di deospedalizzazione protetta (67,2%). Il confronto con le SDO relative ai pazienti segnalati dal San G. Bosco tra gennaio e settembre 2011, ha invece evidenziato che dei 467 pazienti provenienti dal dipartimento di medicina, 141 (25,2%) hanno avuto un ulteriore ricovero nei tre mesi successivi (Tab. 4), mentre tra i pazienti provenienti dal dipartimento di chirurgia gli ulteriori ricoveri sono stati 33 (39,3%) (14).
L’analisi delle motivazioni cliniche che hanno indotto i successivi ricoveri (per alcuni casi anche plurimi) effettuata confrontando i DRG e le ICDIX-CM delle SDO, mostra nel dipartimento di medicina 108 (76,6%) casi di ricovero per medesima problematica clinica o per riacutizzazioni o complicanze ritenute dalla letteratura scientifica prevenibili e trattabili anche in ambiti non ospedalieri (ad esempio: edema polmonare in pazienti affetti da scompenso cardiaco trattato farmacologicamente, insorgenza di lesioni da pressione, infezioni polmonari in pazienti affetti da BPCO, ecc.).
Nel dipartimento chirurgico invece si evidenziano 6 pazienti (18,2%) che sono stati successivamente ricoverati in ospedale per insorgenza di infezioni prevenibili o per lo meno trattabili anche in ambito extraospedaliero (4 infezioni vie urinarie, 2 infezioni polmonari senza complicanze) (15, 16). Il confronto tra i ricoveri ripetuti e la tipologia di aiuti attivati per pazienti provenienti dal Dipartimento di Medicina, sembra evidenziare negli interventi di Lungassistenza domiciliare una minore capacità di “prevenire” successivi ricoveri ospedalieri rispetto ad altri interventi a maggiore valenza sanitaria, sia in ambito domiciliare (SID e ADI) che residenziale (Tab. 5).
L’analisi più dettagliata dei 16 casi di Lungassistenza domiciliare che hanno avuto ricoveri ripetuti ha evidenziato situazioni di anziani prevalentemente di sesso maschile, di età compresa tra 73 e 90 anni cun un’età media pari ad anni 83 che non accettano l’inserimento in residenze, ma preferiscono essere assistiti per compensare le loro “fragilità” sanitarie e sociali a domicilio, da assistenti familiari. Tra questi: 9 allettati e 3 dipendenti da trattamenti medici salvavita, soli o conviventi con familiari che manifestano problematiche psico-sociali tipo disturbi psichiatrici, problemi di alcool o tossicodipendenza. Altro fenomeno che emerge dall’analisi su assistiti segnalati indifferentemente dal Dipartimento di Medicina o di Chirurgia è il significativo numero di pazienti (un terzo) che trasferiti in Case di cura o riabilitative vengono ricoverati in ospedale durante il periodo di permanenza programmato, sempre per riacutizzazioni o insorgenza di complicanze non necessariamente da trattarsi in ambito ospedaliero.
Oltre alle segnalazioni pervenute alla C.O.C.A. dai reparti ospedalieri torinesi, il personale distrettuale della continuità assistenziale ha dovuto intervenire anche sui casi riguardanti pazienti che dopo il ricovero ospedaliero erano stati inseriti nei Nuclei di Deospedalizzazione protetta, Lungodegenza o Riabilitazione, che sono stati ulteriormente monitorati per programmarne l’ulteriore dimissione, permessa frequentemente dall’attivazione di ulteriori interventi assistenziali (Tab. 6).
Nel 2011 il monitoraggio ha riguardato 447 casi (316 provenienti dai reparti ospedalieri e 131 da Prontosoccorso) che hanno richiesto un significativo incremento delle necessità di ricorrere all’inserimento permanente in Residenze per anziani non autosufficienti (6,1% dei pazienti dimessi da reparti ospedalieri, 57,7% dei pazienti monitorati dopo inserimento in Nuclei di Deospedalizzazione protetta-Lungodegenza o Riabilitazione), piuttosto che l’attivazione della Lungassistenza domiciliare (4,7% e 10,8%). Mentre la permanenza in Nuclei di Deospedalizzazione protetta, Lungodegenza o Riabilitazione può essere motivata dai tempi abbastanza lunghi richiesti per predisporre un progetto di Lungoassistenza domiciliare (accertamenti patrimoniali, stipula di contratti con Assistenti familiari, ecc.), l’inserimento definitivo in Residenze sembra più correlato a prognosi riabilitative eccessivamente ottimistiche.
Conclusioni
Gli assistiti, prevalentemente anziani, che presentano bisogni di continuità assistenziale post ricovero ospedaliero e in casa di cura sono in aumento. Nell’ambito ospedaliero tale bisogno è maggiormente espresso dai reparti di area medica e dai Pronto soccorso. Il paziente chirurgico sembra presentare bisogni assistenziali meno facilmente trattabili al domicilio e che richiedono il proseguo di cure extraospedaliere sempre in regime di ricovero (Lungodegenze, Centro riabilitativi, ecc.). L’attivazione di Nuclei di deospedalizzazione/dimissione protetta in Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA) può costituire un’offerta intermedia tra l’Ospedale e le Case di cura (lungodegenza e riabilitazione), con un contenimento dei costi gestionali e con buoni risultati in termini di prevenzione del fenomeno dei ricoveri ripetuti. Così pure la Lungoassistenza domiciliare costituisce una buona ed economica risposta ai bisogni di continuità assistenziale, da integrare con le cure domiciliari prettamente sanitarie (SID/ADI).
Tuttavia lo studio evidenzia un aumento delle segnalazioni che pervengono dai Nuclei di Deospedalizzazione protetta e dalle Case di cura relativamente a pazienti precedentemente dimessi dagli ospedali e inseriti in suddette strutture dalla C.O.C.A.. Il servizio di continuità assistenziale continua a rilevare per questi pazienti gli stessi bisogni già presenti al momento dell’ingresso in tali strutture di destinazione, dove invece si presupponeva una loro risoluzione. Lo studio mette inoltre in rilievo un aumento dei ricoveri ripetuti, potenzialmente inappropriati per i pazienti in Lungoassistenza domiciliare, con elevata gravità sociale e sanitaria. Questo con una maggiore probabilità tra i soggetti con elevata complessità assistenziale (RR: 1,40) anche se con scarsa significatività statistica (Tab. 7).
Invece il maggiore riscontro di ricoveri ripetuti emerge con una probabilità statisticamente significativa tra i pazienti con presenza scarsa o nulla di un familiare caregiver (RR: 2.63), così come fra gli assistiti non autonomi (RR: 3.56) rispetto a quelli con parziale autonomia. Per questi motivi lo studio pone l’accento sull’importanza di migliorare la valutazione dei pazienti da parte di servizi come la C.O.C.A., sia negli aspetti clinici e funzionali che socio-assistenziali. In questo periodo di particolari ristrettezze economiche non è possibile ipotizzare un aumento di risorse per i servizi della continuità assistenziale, tuttavia è possibile migliorare l’appropriatezza dei servizi erogati, seguendo criteri che permettano l’identificazione dei pazienti effettivamente complianti ad una eventuale destinazione in relazione alla complessità clinico-assistenziale rilevata.
Ne deriva pertanto la necessità di dotarsi di opportuni strumenti per monitorare le condizioni dei pazienti inseriti nei programmi assistenziali, sia residenziali che domiciliari, e prognosticare tempestivamente il rischio della persistenza dei bisogni di continuità di cure e/o gli aggravamenti (6,11). Infatti, la presa in carico dovrà essere pianificata a partire dalla complessità rilevata, considerando l’evoluzione nel tempo dei bisogni dei pazienti e l’adeguatezza degli interventi assistenziali attivati.
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