1 Settembre 2014 | Editoriali

Editoriale
L’assistenza agli anziani nelle regioni italiane

L'assistenza agli anziani nelle regioni italiane

Il tema che mi accingo ad approfondire in questo breve editoriale sicuramente meriterebbe una trattazione ampia, a più voci attesa la complessità dell’“assistenza agli anziani” che dalla Riforma Sanitaria del 1978 a oggi ha conosciuto approcci diversi, articolati regione per regione, spesso con soluzioni estremamente diversificate e contraddittorie che vanno dalla negazione della specificità del “pianeta” anziano allo sviluppo di reti assistenziali articolate che hanno individuato la necessità di un approccio specifico per l’assistenza agli anziani: dalle acuzie alle cure domiciliari passando per setting assistenziali riabilitativi e residenziali.

 

La riforma del titolo V della Costituzione del 2001, riconoscendo autonomia e responsabilità (in effetti, più autonomia che responsabilità) agli Enti locali, ha dato alle Regioni sempre più competenze (la più importante era proprio la gestione della Sanità) accentuando il carattere regionale del Servizio Sanitario Nazionale appena attenuato dall’elaborazione dei livelli essenziali di assistenza sanitaria (Lea) che sono le prestazioni e i servizi che il Servizio Sanitario Nazionale è tenuto a garantire a tutti i cittadini, definiti per la prima volta con il Decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 29 novembre 2001. Tale impostazione politica e culturale, pur rispondendo alla giusta richiesta di autonomia e federalismo dei territori, ha ulteriormente aggravato, per quanto attiene l’assistenza agli anziani, le diversità regionali. Tali diversità non sono comprese da molti cittadini che vivono questa ineguaglianza come una vera discriminazione e dagli stessi operatori che, partendo dall’osservazione che le prestazioni sanitarie appropriate sono fondate su evidenze scientifiche e approcci razionali, non capiscono come ci possano essere impostazioni e modelli organizzativi così differenziati.

 

A mio parere, l’intesa sancita il 10 luglio 2014 tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano sul nuovo Patto per la salute per gli anni 2014-2016 va letta non solo come uno strumento finalizzato a migliorare la qualità dei servizi e a promuovere l’appropriatezza delle prestazioni, ma anche come un mezzo per cercare di garantire l’unitarietà del sistema e un minimo di omogeneità. Molti colleghi hanno giustamente criticato l’assenza nel Patto per la salute di riferimenti all’assistenza agli anziani chiari e puntuali, tuttavia una lettura attenta ci permette di affermare che temi direttamente o indirettamente d’interesse geriatrico sono presenti e possono rappresentare lo spunto per un impegno delle Società Scientifiche come la Società Italiana di Gerontologia e Geriatria, l’Associazione Italiana di Psichiatria, l’Associazione Geriatri Extraospedalieri etc. affinché questi temi siano valorizzati nell’applicazione regionale. In particolare i temi della continuità assistenziale dall’ospedale al domicilio (comma 2 art. 3), l’individuazione dei criteri di appropriatezza nell’utilizzo dei vari setting riabilitativi (comma 3 art. 3), l’umanizzazione delle cure (art. 4), l’organizzazione degli ospedali di comunità (comma 17 art. 5), la gestione della cronicità (comma 21 art. 5), l’assistenza e l’integrazione socio-sanitaria (art. 6) e le problematiche della ricerca sanitaria (art. 20), dell’assistenza farmaceutica (art. 23), dell’Health Tecnology Assessment (art. 27) devono vedere le società scientifiche, e la parte più attiva di tali società, protagoniste nella necessaria dialettica per l’applicazione del Patto.

 

Il processo di regionalizzazione dell’assistenza, assieme alle differenze che esistono tra le regioni italiane in termini di sviluppo economico, tradizioni culturali e crescita dei servizi, ha sicuramente prodotto disuguaglianze nell’accesso ai servizi, in particolare per gli anziani non autosufficienti; ciò è abilmente sottolineato ed evidenziato dall’annuale rapporto Network Non Autosufficienza (NNA) promosso dall’INRCA di Ancona che suggerisce che in Italia sia più adeguato parlare di “sistemi” per la cura degli anziani, piuttosto che di “sistema”.

 

Il suddetto Rapporto NNA, grazie all’utilizzo dello strumento della “cluster analysis”, ha individuato diversi modelli, frutto di diverse scelte regionali, di intervento e di implementazione per l’assistenza agli anziani facendo emergere l’assenza di un modello nazionale di sostegno alla non autosufficienza con importanti discrepanze tra le differenti aree del paese. Per esempio in Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta è presente un modello di residenzialità avanzata accompagnato da un’offerta comunale dei servizi di sostegno socio-assistenziale, mentre l’Emilia-Romagna, il Friuli-Venezia Giulia e il Veneto hanno sviluppato un modello con elevata intensità assistenziale con la maggiore percentuale di anziani beneficiari di servizi di assistenza continuativa. Il modello del cash-for-care caratterizza, invece, regioni come l’Abruzzo, la Calabria, la Campania e la Sardegna con un elevato tasso di beneficiari dell’indennità di accompagnamento e una rete residenziale scarsamente sviluppata.

 

Un modello a media intensità assistenziale, con un utilizzo dell’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI) e del Servizio di Assistenza Domiciliare (SAD) lievemente inferiore rispetto alla media nazionale, si caratterizzava per un maggiore orientamento cash-for-care in Basilicata, Lazio, Marche, Puglia e Toscana e per un maggiore utilizzo della residenzialità in Liguria, Lombardia e Piemonte. Infine, un modello a bassa intensità assistenziale è caratteristico di Molise e Sicilia, con uno scarsissimo utilizzo della residenzialità. Peculiare è il comportamento dell’Umbria, che si distingue per essere un caso speciale e solitario, dove è presente un’elevata diffusione delle indennità di accompagnamento (il 19.5% degli over 65enni), un recente e repentino incremento del numero di assistiti in ADI e una scarsa offerta dei servizi residenziali e di SAD.

 

L’analisi dei dati demografici di comune e diffusa conoscenza che indicano come l’Italia sia già oggi tra i Paesi più vecchi del mondo con oltre il 20% degli ultra-65enni con la previsione di superare il 32% nel 2043 (previsioni ISTAT) e la realtà clinico-epidemiologica dei Paesi industrializzati, e in particolare del nostro Paese, caratterizzata da un drammatico incremento della prevalenza di malattie ad andamento cronico, spesso associate e causa frequente di disabilità, rendono indispensabile sia specifiche capacità cliniche e gestionali, sia soluzioni organizzative innovative, in grado di coniugare appropriatezza, economicità e ampia diffusione territoriale. Partendo da queste considerazioni un ruolo centrale devono giocare le Società scientifiche che, superando i particolarismi, debbono creare le condizioni culturali, scientifiche e politiche affinché tutte le Regioni affrontino i temi dell’assistenza all’anziano, della cronicità e della disabilità con una visione unitaria della problematica.

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