Introduzione
Storicamente il fabbisogno di personale era determinato sulla base del livello di intensità di cura e dai carichi di lavoro rilevati attraverso varie metodiche. La valutazione del carico di lavoro, inteso come tempo impiegato per lo svolgimento di una serie di attività “tangibili” appare tuttavia riduttivo perché non considera il processo di presa in carico del paziente nella sua globalità di cui l’infermiere è responsabile. Pertanto, recentemente, tale limite ha sollecitato lo sviluppo di un diverso paradigma che consiste nel misurare il carico di lavoro degli infermieri partendo dall’analisi della complessità assistenziale dei pazienti.
Per complessità assistenziale in ambito infermieristico si intende l’insieme degli interventi che si riferiscono alle diverse dimensioni dell’assistenza, espressi in termini d’intensità di impegno e qualità lavoro dell’infermiere, con riferimento ad un modello concettuale (1, 2). Il tema della complessità affonda le sue radici nella necessità di documentare e classificare l’assistenza infermieristica; il focus dell’attività di classificazione è di riuscire a cogliere tutte le varietà e i continui mutamenti della persona assistita (3). In particolare, la complessità assistenziale degli anziani disabili e fragili richiede un approccio sistemico e una modalità di risposta personalizzata e adeguata ai loro bisogni (4). La misurazione della complessità assistenziale è oggi più che mai una priorità per le direzioni infermieristiche, che sono sollecitate a mantenere/garantire prestazioni di qualità a fronte di una riduzione delle risorse disponibili (umane, materiali), aggravata dalla crisi economica.
In Italia negli ultimi decenni sono stati sviluppati e diffusi, soprattutto in ambito ospedaliero, tre metodi per valutare la complessità dei pazienti: Indice di Complessità Assistenziale (ICA), Sistema Informativo della Performance Infermieristica (SIPI), Metodo Assistenziale Professionalizzante (MAP) (1,2,5). Il Sistema Informativo della Performance Infermieristica (SIPI), promosso da un gruppo di infermieri dell’Azienda Ospedaliera di Monza, nasce come metodo per monitorare la fluttuazione della complessità assistenziale legata al soddisfacimento del bisogno di assistenza infermieristica delle persone assistite, come strumento capace di sviluppare dati oggettivi e confrontabili per una gestione quotidiana del personale infermieristico nelle unità operative e in grado di adattare efficacemente il personale disponibile alla domanda di assistenza (1,2). Il SIPI si fonda sul modello delle prestazioni infermieristiche, che include nel suo concetto di prestazione infermieristica il raggiungimento di un risultato riconducibile all’assistenza infermieristica (6). È stato validato nel 2008 attraverso uno studio multicentrico che ha coinvolto 25 Aziende Sanitarie, per un totale di 17.803 rilevazioni.
Gli elementi informativi dell’assistenza infermieristica contenuti nella scheda di rilevazione elaborata dagli Autori sono:
- le prestazioni infermieristiche: 8 prestazioni suddivise in 18 attività cui è attribuito uno specifico peso (si veda Tab. 5)
- la complessità percepita dall’infermiere rilevatore (1,2).
Obiettivi
Obiettivi di questo studio pilota sono:
- valutare la complessità assistenziale dei pazienti accolti in un’unità di Cure Intermedie (ex riabilitazione generale geriatrica) attraverso il SIPI, evidenziando le attività riconducibili alle prestazioni infermieristiche maggiormente rappresentate;
- valutare l’applicabilità del SIPI in tale setting, differente per modello/cultura organizzativa dalle realtà ospedaliere, evidenziandone limiti e punti di forza.
Metodi e strumenti
È stato condotto uno studio osservazionale su un campione di persone ricoverate presso l’Unità Operativa Cure Intermedie (ex Riabilitazione Generale Geriatrica) dell’ASP Golgi-Redaelli Istituto “Camillo Golgi” di Abbiategrasso, nel periodo compreso fra il 17 febbraio e il 9 maggio 2014. L’unità operativa è costituita da 40 posti letto; la degenza media è di 58 giorni. Costituiscono la dotazione organica: 3 medici, 1 infermiere coordinatore, 6 infermieri, 18 tempi pieni suddivisi in 10 OSS e 12 ASA, di cui 4 a part time. La rilevazione è stata realizzata attraverso l’analisi della documentazione clinica (scheda infermieristica, schede di anamnesi e valutazione infermieristica, schede di registrazione procedure diagnostiche/terapeutiche, progetto e programma riabilitativo individuale), utilizzando la scheda di rilevazione proposta dal metodo SIPI. La complessità è definita con una scala da 0 a 100, dove il valore 0 corrisponde a nessuna complessità (che in realtà in una situazione di degenza è inottenibile, poiché anche se a tutte le prestazioni infermieristiche si attribuisse il livello di complessità più basso, il punteggio assegnato da SIPI sarebbe 36,3) e 100 corrisponde alla massima complessità.
La complessità percepita costituisce il riferimento con il quale è confrontata la complessità rilevata ed è distinta in:
- complessità percepita 1 a due livelli (bassa-alta);
- complessità percepita 2 a quattro livelli (bassa, medio-bassa, medio-alta, alta).
Per ciascun paziente reclutato un infermiere addestrato ha condotto tre rilevazioni durante il periodo di degenza:
- entro il 7° giorno dalla presa in carico del paziente (T0);
- dopo 28 giorni dalla presa in carico (T1);
- 7 giorni prima della dimissione – che in genere è nota poiché pianificata e comunicata al paziente una settimana prima (T2).
In caso di dimissione anticipata del paziente (volontaria, non volontaria, trasferimento ad altra unitàoperativa, decesso) le rilevazioni (T1/T2) sono state effettuate nel giorno della dimissione. L’analisi statistica è stata condotta sui punteggi ottenuti dalle risposte ai 18 item della scheda SIPI, secondo uno schema di pesatura delle prestazioni. Sulla base delle indicazioni dello studio condotto precedentemente dagli Autori del SIPI, la complessità rilevata è stata classificata in 4 livelli (bassa, medio-bassa, medio-alta, alta) e in due livelli (bassa, alta) utilizzando come cut/off il valore soglia di 49,2 (valore al di sotto del quale la persona assistita è classificata a bassa complessità di assistenza infermieristica e al di sopra ad alta complessità).
Risultati
I risultati si riferiscono a T0 a 54 pazienti, di cui 19 maschi e 35 femmine, con un’età media di 81,6 anni. La durata media della degenza è di 49 giorni, rilevata solo su 20 pazienti poiché 34 erano ancora ricoverati al termine dello studio. A T1 i risultati si riferiscono a 36 pazienti e a T2 a 16 pazienti (Tab. 1). Riguardo alla complessità percepita 1, distinta su due livelli (bassa e alta), si evince che il 42,6% dei pazienti alla presa in carico (T0) era ritenuto dall’infermiere rilevatore ad alta complessità, che si riduce progressivamente durante la degenza, soprattutto a T2 (Tab. 1).
La complessità percepita 2 nei tre momenti di rilevazione (T0, T1, T2) è pressoché sovrapponibile al grado di complessità percepita su due livelli (bassaalta) quando si sommano rispettivamente i quattro livelli (bassa, medio bassa, medio alta, alta). Dall’analisi della complessità rilevata, sommando i punteggi delle 18 attività, si osserva che la mediana e la media si riducono da T0 a T2, anche se non si osservano differenze significative (Tab. 2).
Più specificamente, il livello di complessità osservata, considerando il cut off di 49,2, è alto nella maggior parte dei pazienti sia alla presa in carico (T0) sia dopo un mese (T1). All’opposto, a una settimana dalla dimissione, due terzi dei pazienti presentano una bassa complessità (Tab. 3). Tuttavia a T0 e a T1 la complessità ottenuta in base al cut off non coincide con quella classificata in quattro livelli. Infatti a T1 rispetto ai 45 pazienti con una complessità alta, in base al cut off (Tab. 3), solo 34 risultano con livello di complessità medio alta o alta; nessun paziente è stato classificato a bassa complessità in tutte le rilevazioni (Tab. 4).
È stata effettuata un’analisi statistica incrociata tra la complessità percepita sui due livelli (Bassa-Alta) e il grado di complessità rilevato, definito in base al cut off (49,2). A T0, su 31 pazienti che erano stati giudicati dall’infermiere a bassa complessità, solo 8, in base al punteggio assegnato dal SIPI, sono stati classificati a bassa complessità. A T1 (rilevazione a 28 giorni dall’ingresso) il livello percepito trova una maggior corrispondenza con la complessità rilevata (Figg. 1, 2).
Infine a T2 (7 giorni prima della dimissione o il giorno stesso della dimissione) la complessità percepita e quella rilevata sono quasi del tutto sovrapponibili. Dall’analisi delle singole prestazioni assistenziali, che includono sia le azioni erogate direttamente dagli infermieri sia quelle erogate dagli operatori di supporto (Ausiliari Socio Assistenziali e Operatori Socio Sanitari), si sono estrapolate quelle prevalenti: movimento, eliminazione urinaria e intestinale, igiene, procedure diagnostiche e terapeutiche. Queste attività richiedono un impegno dell’infermiere e degli operatori di supporto più intenso rispetto ad altre attività erogate ai pazienti ricoverati nell’unità riabilitativa. A T1, tra le prestazioni erogate esclusivamente dagli infermieri, quelle relative alla respirazione, alla funzione cardiocircolatoria e alle procedure diagnostiche/terapeutiche sono quelle più rappresentate (Tab. 5).
Discussione e conclusioni
Nello studio condotto, si è osservato che i pazienti accolti nell’unità riabilitativa geriatrica presentano profili di alta complessità alla presa in carico e nella prima settimana di degenza. Tale risultato è sovrapponibile a quello rilevato dello studio di validazione del SIPI in cui le unità di geriatria ospedaliere emergevano come la specialità medica con una più elevata percentuale di profili di alta complessità assistenziale (Moiset, 2009).
Alla presa in carico l’infermiere percepisce un livello di complessità inferiore a quello attribuito ai pazienti attraverso il SIPI: tale sottostima sottolinea l’importanza di basare la misurazione su un’attenta e documentata valutazione dei bisogni assistenziali. Le prestazioni assistenziali erogate dagli infermieri e dagli operatori di supporto sono prevalentemente di tipo educativo, di supporto o di aiuto parziale, cioè orientate al recupero dell’autonomia. Tuttavia si è rilevato che nel SIPI è assegnato un peso maggiore alle prestazioni sostitutive, piuttosto che a quelle di supporto. Ad esempio eseguire le cure igieniche (azione di tipo sostitutivo) in base al SIPI ha un peso maggiore nel determinare la complessità rispetto a fornire un aiuto parziale. C’è da chiedersi però se un’azione di supporto o di aiuto parziale (ad es. portare in bagno una persona per lavarsi), sia effettivamente una modalità assistenziale con una complessità inferiore rispetto alla sostituzione (lavarla a letto). Se si ritiene fondamentale il recupero delle abilità funzionali e/o il mantenimento delle capacità residue degli anziani, in quanto elemento cardine del care riabilitativo, allora la risposta è verosimilmente negativa.
L’adozione del metodo SIPI in un setting riabilitativo necessita di ulteriori approfondimenti sulla pesatura delle prestazioni che tenga conto delle condizioni funzionali e cognitive del paziente e di alcuni interventi/valutazioni assistenziali, attualmente non previsti, che vengono effettuati costantemente nell’ambito geriatrico: come la rilevazione del peso, la compilazione del diario alimentare, il monitoraggio delle lesioni da decubito, la valutazione del sonno.
Le rilevazioni dei profili di complessità sono state effettuate sulla base di una documentazione infermieristica non orientata ad un modello concettuale e da ununico rilevatore, che di fatto non corrisponde ad una situazione reale. L’utilizzo sistematico del SIPI da parte di tutti gli infermieri dell’unità operativa richiederebbe una formazione specifica sulle modalità di rilevazione. Consapevoli che il metodo SIPI non ha l’obiettivo di determinare il fabbisogno di personale e che siano necessari ulteriori studi che considerano anche altri elementi organizzativi, l’analisi delle attività di competenza esclusiva dell’infermiere (ad es. procedure diagnostiche e terapeutiche), potrebbe servire da spunto per rivedere lo standard di personale, attualmente previsto nell’unità riabilitativa.
La complessità assistenziale correlata ai bisogni presentati dai pazienti ricoverati in un setting riabilitativo dovrebbe poter orientare in modo flessibile il fabbisogno di personale, superando la logica degli standard definiti sulla base di profili di intensità di cura predefiniti e il paradigma prevalente secondo il quale le persone che necessitano di una risposta sostituiva sono sempre ad alta complessità.
Bibliografia
1. Moiset C, Vanzetta M, Valicella F. Misurare l’assistenza: un modello di sistema informativo delle performance. Milano, Mc Graw Hill. 2003.
2. Moiset C, Vanzetta M. Misurare l’assistenza. Il SIPI: dalla progettazione all’applicazione. Milano, Mc Graw Hill. 2009.
3. Guerriero G, Regonaschi N, Busi P. La complessità assistenziale: tra personalizzazione delle cure e urgenza classificatoria del nursing. Tempo di Nursing, Collegio Ipasvi di Brescia. 2009;54:8-12.
4. Zanetti E. Anziani in ospedale: complessità e continuità dell’assistenza. Collegio Ipasvi di Brescia. 2009;54:12-14.
5. Calamandrei C, Orlandi C. La dirigenza infermieristica (3 ed.). Milano, McGraw-Hill. 2009.
6. Cantarelli M. Il modello delle prestazioni infermieristiche. Milano, Masson. 1996.