1 Giugno 2015 | Strumenti e approcci

Difficoltà di alimentazione nella persona affetta da demenza

Difficoltà di alimentazione nella persona affetta da demenza

Introduzione e modello di riferimento

Molti degli studi su alimentazione e demenza riguardano i problemi etici e l’efficacia dell’alimentazione artificiale nelle fasi terminali. In realtà nelle persone affette da demenza, molti dei problemi di alimentazione sorgono prima del raggiungimento di questa fase.

 

Il rischio di malnutrizione nella demenza è notoriamente elevato, con percentuali variabili dal 15 al 50% dei casi, a seconda del setting di cura e delle fasi di malattia considerate (1,2); gli stessi meccanismi fisiopatologici della malnutrizione non sono completamente noti. L’impegno assistenziale richiesto per prevenire tale condizione è rilevante e si stima rappresenti il 25% dei costi assistenziali totali (3). Non vanno trascurate le ripercussioni emotive che influenzano la percezione del caregiver riguardo la propria competenza assistenziale, lungo tutto il percorso di malattia (4). Molteplici sono le dimensioni da considerare al fine di mettere a fuoco difficoltà di alimentazione e strategie compensatorie nella persona affetta da demenza.

 

Dal punto di vista cognitivo la compromissione della memoria, della percezione, delle funzioni esecutive con le relative difficoltà di programmazione, organizzazione, ma anche i deficit dell’attenzione, i disturbi della coordinazione motoria, l’agnosia e le difficoltà comunicative, possono essere in gioco, singolarmente, ma più spesso in associazione e riscontrabili ad un’attenta valutazione (5). Disturbi specifici del riconoscimento dei sapori e degli odori possono essere elicitati nei pazienti con demenza Fronto-Temporale, sia nella variante comportamentale (bvFTLD) che nella forma di Afasia Primaria Progressiva, variante semantica (svPPA) e variante non fluente (nfvPPA) (6).Tali disturbi mostrano correlazioni con alterazioni volumetriche a carico della corteccia entorinale sinistra, dell’ippocampo, del giro ippocampale e del polo temporale. Iperoralità e bulimia, riscontrabili nella stessa bvFTLD, sono correlati al danno del circuito orbito-fronto-insulare-striatale destro (7). Disturbi del comportamento quali wandering, affaccendamento afinalistico, ansia, deflessione dell’umore, idee deliranti e dispercezioni, possono condizionare un’adeguata assunzione di cibo in tutte le forme di demenza.

 

A fronte di ciò l’atto dell’alimentarsi è una delle ultime funzioni del quotidiano ad essere completamente persa; inoltre non dobbiamo dimenticare il significato esperienziale che il cibo assume nella vita di ciascuno di noi, comprese le persone affette da demenza. Il cibo svolge infatti una funzione evocatrice di mappe cognitive individuali e di emotività ad esse connesse, rimanda quindi ad esperienze individuali di vita e rimane una delle fonti di maggior piacere. Da ultimo il cibo rappresenta al tempo stesso un’irrinunciabile fonte di energia che condiziona la possibilità di far fronte alla routine quotidiana, assai molto più faticosa in presenza di danno cognitivo (8). La riflessione di seguito proposta suggerisce di ripensare la valutazione complessiva delle difficoltà dell’alimentazione nella persona affetta da demenza, attraverso un percorso logico che scinda l’analisi degli “antecedenti”, dalle difficoltà inerenti l’atto di alimentarsi e dalle conseguenze che ne derivano (Tab.1) (5).

La valutazione complessiva delle difficoltà nell’alimentazione
Tabella 1- La valutazione complessiva delle difficoltà nell’alimentazione

Ogni ambito di valutazione può avvalersi di strumenti che forniscono informazioni quali-quantitative e consentono di costruire delle strategie individualizzate all’interno dei piani assistenziali. Presupposto di ciò è che l’organizzazione delle cure sia orientata a sostenere interventi flessibili, articolati nell’arco delle 24 ore, attraverso il concorso di un team multiprofessionale che condivida l’obiettivo specifico.

 

La valutazione

La ri-definizione operata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) della disabilità come “conseguenza o risultato di una complessa relazione tra la condizione di salute di un individuo e i fattori personali e ambientali che rappresentano le circostanze in cui l’individuo vive” (ICF , 2001), ha rafforzato la consapevolezza che il contesto di vita e di cura può facilitare od ostacolare il funzionamento di una persona e che una persona può funzionare in modo diverso in contesti diversi (9). Quando nella cura di una persona affetta da demenza accanto ai deficit cognitivi, funzionali e psicologici si aggiunge un ambiente che non si adatta alle difficoltà sperimentate dalla persona, si creano delle vere e proprie barriere che, limitando di fatto la possibilità della persona di partecipare all’attività, generano un aumento della disabilità sia reale sia percepita (8). Comprendere le relazioni intercorrenti tra i fattori in causa nella genesi delle difficoltà alimentari è il primo passo per pianificare programmi efficaci nella gestione del rischio di malnutrizione per la persona affetta da demenza.

 

La progettazione di un piano personalizzato di nutrizione per la persona affetta da demenza, considerati i numerosi fattori che possono modificare gli equilibri nutrizionali e la loro variabile compresenza, richiede l’utilizzo di modelli valutativi multidimensionali. Il “Ciclo di gestione della qualità per la nutrizione geriatrica” proposto dal modello GentleCare (8) coinvolge l’équipe multiprofessionale e delinea le fasi metodologiche da percorrere per giungere alla formulazione di un piano personale completo di nutrizione: il concetto di personalizzazione della cura dirige ogni passo del ciclo e rappresenta il principio ispiratore di ogni forma di intervento professionale (Fig. 1).

Figura 1 – Ciclo di gestione della qualità per la nutrizione geriatrica proposto dal modello GentleCare

La creazione di un profilo personale sulla base della o delle malattie da cui è affetta la persona, rappresenta la prima tappa. Da questa fase emergono informazioni sullo stadio della malattia, sulla presenza di disturbi del comportamento e sul livello globale di abilità cognitive, funzionali e motorie; informazioni biografiche, abitudini alimentari ed idiosincrasie culinarie sono fondamentali e debbono essere acquisite coinvolgendo la famiglia.

 

La seconda fase concerne la valutazione nutrizionale: sono qui vagliati i fattori che influenzano gli aspetti fisiologici della nutrizione. Per ciascun individuo è necessario indagare la funzione della deglutizione al fine di valutare se le alterazioni sono sostenute da una base organica neurologica, se derivano dalla disfunzione cognitiva, da cattive tecniche di alimentazione e/o da alterata postura non corretta mediante adeguati posizionamenti al tavolo. Il terzo passo prevede la valutazione dei fattori di stress che influiscono sull’alimentazione.

 

Lo “Stress Profile”, ottenuto tramite l’osservazione del paziente nelle 24 ore, permette di analizzare il comportamento della persona nel contesto ambientale, correlando le attività in corso, le interazioni con l’ambiente umano e con lo spazio fisico, in cui assumono particolare rilevanza le caratteristiche di sonorità ed illuminazione. Uno studio di tali rilevazioni può consentire di individuare i fattori di stress ambientali, il momento in cui si manifestano e i loro effetti sul comportamento. L’uso di scale di osservazione del comportamento, specifiche per il momento del pasto, quale la Edinburgh Feeding Evaluation in Dementia Scale, possono essere di aiuto nel definire l’approccio al problema (10,11). Basandosi sull’analisi dei dati emersi in sede di valutazione, l’équipe multidisciplinare individua le strategie per eliminare/ridurre/compensare i deficit e le compendia in un piano nutrizionale personalizzato.

 

L ’efficacia e la sostenibilità dei risultati raggiunti con il piano dipendono poi dai livelli di condivisione che si stabiliscono tra i membri dell’équipe multidisciplinare, dal grado di complementarietà e coerenza tra i programmi assistenziali, riabilitativi ed infermieristici, dalla validità dei sistemi di monitoraggio adottati e dalla flessibilità organizzativa in funzione delle esigenze dei singoli. Il risultato delle valutazioni e dei programmi impostati si sostanzierà nella pianificazione di una routine nutrizionale finalizzata a ridurre il rischio di malnutrizione tramite la valorizzazione delle abilità residue, la restituzione di possibili gradi di autonomia e il reinserimento dell’attività del “mangiare”, con tutto il suo contenuto simbolico-emotivo, nel contesto della vita quotidiana. Il ciclo di gestione si chiude con le ultime due fasi di osservazione e valutazione da parte del personale e di valutazione ed aggiornamento del piano di cura.

 

L’orologio nutrizionale, i tempi e i modi di sostegno all’alimentazione

Il tema del recupero delle energie, necessario per affrontare la quotidianità, è parte centrale della routine giornaliera prevista nel modello GentleCare (8). Il piano nutrizionale ha quindi questo scopo e prevede un’organizzazione nelle 24 ore e la scelta di cibi ad alto contenuto energetico, salvo controindicazioni specifiche. Nella nostra esperienza è l’orologio nutrizionale (Fig. 2) pensato da Moyra Jones, che ripartisce in modo flessibile l’assunzione quotidiana di cibo (8).

Figura 2 – L’orologio nutrizionale di 24 ore di GentleCare.

Questo sistema non incoraggia a mangiare qualsiasi cosa a qualsiasi ora, esso infatti non rimanda all’errata nozione di “pascolo”, o all’uso moderno del buffet, ma riconduce ad un concetto di flessibilità e di capacità interpretativa delle richieste della singola persona. L’orologio nutrizionale consente di tradurre nella pratica assistenziale il bioritmo individuale, le preferenze alimentari e i bisogni nutrizionali emersi nel confronto con la famiglia, rilevati ed osservati nella degenza.

 

Le strategie utilizzate, oltre ad inglobare una particolare attenzione per le abitudini e gli aspetti volitivi, tengono anche in considerazione modalità alternative di consumazione dei pasti. A scopo esemplificativo si possono considerare i finger foods che sono una valida alternativa quando siano presenti difficoltà prassiche o disturbi attentivi o disturbi del comportamento quali il wandering, o l’insonnia. La predisposizione facilitata della tavola con uso adeguato dei contrasti, è riservata alle persone che hanno difficoltà di tipo percettivo o prassico. Nelle fasi moderate severe di malattia il momento del pranzo è parte della routine giornaliera, con attività proposte dallo staff con l’obiettivo di ri-orientare nel tempo e predisporre all’azione: coinvolgimento delle persone nell’apparecchiare e sparecchiare i tavoli, nell’approntare la sala da pranzo, il lavaggio delle mani, l’igiene del cavo orale (4, 8, 12).

 

L’uso di reminiscenze con la discussione di ricette, la preparazione di piatti tradizionali, i festeggiamenti di particolari ricorrenze possono inoltre contribuire a restituire al cibo il suo valore sociale e rendere l’esperienza del pasto gradevole. Particolare attenzione va riservata alle caratteristiche dello spazio dedicato alla consumazione dei pasti (8, 13): vanno evitati ambienti affollati e rumorosi, è opportuno individuare setting alternativi per le persone particolarmente fragili o “difficili”, è opportuna l’introduzione di tecniche di condizionamento che favoriscano il riconoscimento del momento e dello spazio, ad esempio l’uso della musica come annuncio del momento del pasto (12).

 

Nelle fasi finali di malattia la persona perde la capacità di alimentarsi e deve essere imboccata: per quest’azione l’operatore si avvale di strategie coerenti con le modificazioni delle capacità cognitive e funzionali: controlla la postura al tavolo, tenendo conto anche dell’altezza della persona; si siede e si pone frontalmente per entrare nella parte centrale del campo visivo, ancora utilizzata spontaneamente dalla persona, ne cattura lo sguardo attraverso richiami verbali, utilizza il tocco-accarezzamento del braccio, come rinforzo sensoriale; ricorre a facilitazioni per la deglutizione, dosando la quantità di cibo per ogni atto, regolando la temperatura del cibo, massaggiando il collo; da ultimo fa ricorso ad addensanti e/o cibi con consistenza preparata sulla base di quanto emerso dalla valutazione del logopedista (14).

 

Conclusioni

Le difficoltà dell’alimentazione nella persona affetta da demenza riconoscono cause molteplici e ampiamente interagenti. La valutazione e la selezione delle strategie di intervento efficaci è più difficile quando viene erroneamente ricercata e trattata una sola causa. Un adeguato modello di riferimento per l’interpretazione di antecedenti, difficoltà e conseguenze può essere una guida utile per una pratica assistenziale basata sulla centralità della persona e finalizzata alla soddisfazione dei bisogni nella loro complessità.

Bibliografia

1. Ogawa S. Nutritional Management of older adults with cognitive decline and dementia. Geriatr Gerontol Int. 2014 suppl 2:17-22.

2. European Nutrition for Health Alliance 2005. Malnutrition Among Oldre People in the Community . Policy Recommendation for Change. London European Nutrition for Health Alliance.

3. Barratt JA. Ensuring good nutrition in dementia care. Reviews in Clinical Gerontology . August 2004;14:247-251.

4. Chang CC, Lin LC. Effect of a feeding skills training program on nursing assistants and dementia patients. J Clin Nurs. 2005;14:1185-92.

5. Chang CC, Roberts BL. Feeding difficulty in older with dementia. Journal of Clinical Nursing. 2008;17:2266-2274.

6. Rohani O, Colin JM, Aisling HB, Jason J, Flavour identification in frontotemporal lobar degeneration. Neurol Neurosurg Psychiatry. 2013;84:88-93.

7. Woolley JD, et al. Binge eating is associated with right orbitofrontal-insular-striatal atrophy in Frontotemporal dementia. Neurology . 2007;69 (14):1424-1433.

8. Jones M. Gentlecare. Un modello positivo di assistenza per l’Alzheimer . Edizione Italiana a cura di Luisa Bartorelli, Carrocci Editore, Roma 2005.

9. Caracciolo A, Redaelli T , Valsecchi L. Terapia Occupazionale Ausili e metodologie per l’autonomia. Raffaello Cortina Editore 2008.

10. Stockell R, Amella EJ. The Edinburgh Feeding in Dementia Scale: determining how much help people with dementia need at mealtime. American Journal of Nursing. 2008;8:46-54.

11. Amella EJ. Resistence at mealtimes for person with dementia. Journal of Nutrition, Health and Aging. 2002;6:117-122.

12. Lin LC, et al. Using spaced retrieval and Montessori- based activities in improving eating ability for resident with dementia. Int J Geriatr Psychiatry . 2010;25:935-959A.

13. Paquet C, et al. More than Just not Being Alone: The Number , Nature, and Complementarity Meal-time Social Interaction Influence Food Intake In Hospitalized Elderly Patients. The Gerontologist. 2008;48 (5):603-611.

14. Mundy H, Sainsbury R. Evaluation of strategies to improve nutrition in people with dementia in an assessment unit. The Journal of Nutrition, Health and Aging. 2008;12:309-313.

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