1 Dicembre 2015 | Strumenti e approcci

Anziani e alimentazione: uno sguardo d’insieme

Anziani e alimentazione: uno sguardo d’insieme

Premessa

Molte ricerche hanno evidenziato, da un lato, l’impatto negativo che una cattiva alimentazione ha sulle condizioni di salute degli anziani (1), dall’altro, come gli stili alimentari degli anziani siano condizionati dall’età, dal sesso, e dalla condizione sociale. In particolare, si è rilevato sia che i soggetti più anziani tendono a prestare minor attenzione all’alimentazione, mangiando meno e in modo meno differenziato (2); sia che, anche tra gli anziani, le donne consumano maggiormente alimenti quali latte e latticini, gli uomini carni rosse e bevande alcoliche (3).

 

In questo quadro, può essere interessante verificare quali siano i modelli alimentari degli anziani italiani e se essi si differenzino rispetto alla popolazione tardo adulta e, al loro interno, a seconda delle specifiche classi di età, del sesso e della condizione sociale. A tal fine utilizzeremo i dati della ricerca Multiscopo condotta dall’Istat nel 20101, che ha prestato una specifica attenzione alle abitudini alimentari degli intervistati. Nel questionario sono, infatti, presenti domande relative alla frequenza con cui si consumano i principali alimenti – pane, pasta, riso, carne, pesce, uova, latticini, salumi; frutta e verdura – e bevande, alcoliche e non. L’insieme di queste informazioni permette quindi di delineare i profili alimentari degli intervistati e, specificamente, di cogliere le caratteristiche di chi non consuma mai, o quasi mai, determinati alimenti. Nello stesso tempo, poiché nel questionario si sono chiesti peso e altezza degli intervistati, è possibile calcolare il loro indice di massa corporea che, come noto, è un buon indicatore sintetico del complessivo modello nutrizionale.

 

Generazioni sostanzialmente omogenee?

Consideriamo, anzitutto, i dati relativi alla frequenza con cui si consumano i vari alimenti, mettendo a confronto le diverse classi di età (decennali) degli intervistati a partire dai 50 anni, così da cogliere non solo le differenze tra anziani ed età tardo adulte, ma anche quelle tra le diverse età anziane. Come le Tabelle 1, 2 e 3 evidenziano, si rileva, in primo luogo, un diffuso consumo di tutti i principali alimenti indagati: quasi la totalità degli intervistati consuma infatti, almeno settimanalmente2, pane, riso o pasta e frutta; circa il 90% i vari tipi di verdura; circa l’80% carni bianche, latte e latticini; circa il 65-70% carni bovine e patate.

Incidenza percentuale di consumo almeno settimanale di carboidrati per classe di età
Tabella 1 – Incidenza percentuale di consumo almeno settimanale di carboidrati per classe di età.
Incidenza percentuale di consumo almeno settimanale di proteine animali per classe di età
Tabella 2 – Incidenza percentuale di consumo almeno settimanale di proteine animali per classe di età.
Incidenza percentuale di consumo almeno settimanale di frutta e verdura per classe di età
Tabella 3 – Incidenza percentuale di consumo almeno settimanale di frutta e verdura per classe di età.

Meno diffuso, ma, comunque rilevante, il consumo almeno settimanale di pesce e uova (55%), legumi in scatola (50%), carne suina e salumi (40%). Nel loro complesso, i dati disegnano quindi un quadro connotato non solo dalla sostanziale presenza di tutti i principali elementi nutritivi, ma anche da una forte articolazione interna. Tale quadro non viene ridimensionato dal fatto che l’analisi fattoriale faccia emergere alcuni principali modelli di dieta: una che associa il consumo (o, ovviamente, il mancato consumo…) di carni bovine, suine e salumi; un’altra che collega il consumo delle diverse verdure e – pur se in misura molto minore –, di frutta; una terza centrata sul consumo di dolci; una che accomuna patate e legumi in scatola e un’ultima basata sul latte (Tab. 4).

Analisi fattoriale sui consumi alimentari della popolazione con almeno 50 anni
Tabella 4 – Analisi fattoriale sui consumi alimentari della popolazione con almeno 50 anni.

Quello che però, in questa sede, ci interessa rimarcare è che le differenze in base all’età (sia tra anziani e adulti, che tra le diverse classi di età degli anziani) risultano relativamente contenute per quasi tutti gli alimenti considerati: le eccezioni, che vedono differenze massime attorno a 10 punti percentuali, riguardano da un lato salumi, carne bovina e suina, dall’altro alcuni alimenti di secondaria importanza nutrizionale come gli snack salati e i dolci: in tutti questi casi, infatti, il consumo diventa progressivamente meno frequente al progredire della classe di età. Sostanzialmente simili risultano, d’altro canto, le frequenze di consumo dei diversi alimenti tra uomini e donne e a seconda del livello di scolarità (che possiamo considerare un ottimo indicatore delle complessive condizioni sociali). Certo, anche parità di classe di età, gli uomini consumano più frequentemente carni bovine, suine e salumi (e vedono, con seguentemente, una maggior diffusione della dieta centrata sulle ‘carni rosse’); le donne, latte e latticini (con una speculare diffusione di diete centrate su tali alimenti), i soggetti meno scolarizzati, i dolci. Tuttavia, anche in questi casi, le differenze risultano abbastanza contenute, non superando i 10-15 punti percentuali.

 

 

Rischio di obesità, rischio di essere sottopeso

A fronte di una relativa omogeneità della frequenza dei diversi consumi alimentari, si rilevano però interessanti differenze per quel che riguarda l’indice di massa corporeo (IMC).

 

Anzitutto, i dati evidenziano due diverse problematicità. La prima, più contenuta, riguarda i soggetti sottopeso (il 5% delle donne meno anziane, ma il 9% delle ultraottantenni, contro i corrispondenti 1,2-2% degli uomini3). La seconda è, invece, rappresentata dalla condizione di sovrappeso, che riguarda circa la metà degli uomini (contro il 40% circa delle donne) e, ancor più di obesità, che riguarda circa il 10-15% degli intervistati, ma, in questo caso con ridotte differenze a seconda del sesso e dell’età. In tutti e tre i casi, inoltre, le condizioni di problematicità risultano più presenti nei soggetti con più basso livello scolare. Data la rilevanza riconosciuta all’IMC come predittore delle condizioni di salute (4) e dato che nella popolazione anziana vi è una forte connessione tra età elevata, sesso femminile e bassa scolarità, abbiamo calcolato, mediante una regressione lineare, il ruolo specifico giocato da ognuna di queste variabili4 sia sul rischio di essere sottopeso, sia su quello di essere obesi.

 

La Tabella 5 mostra come, a parità di altre condizioni, il rischio di essere sottopeso riguardi maggiormente i più anziani e i meno scolarizzati, ma soprattutto le donne (che, al riguardo, hanno quasi 4 volte più probabilità rispetto agli uomini). Il rischio di essere obesi (Tab. 6) riguarda, invece, maggiormente i meno anziani e, di nuovo, seppur di poco, le donne; ma, in questo caso, il ruolo maggiore è giocato dal livello di scolarità: chi ha al massimo la licenza elementare ha circa il 70% di probabilità in più di essere obeso rispetto a chi ha, almeno, la licenza media. Questi dati confermano quanto rilevato in altre ricerche e, specificamente, il ruolo svolto dalle condizioni sociali. Certo, i dati italiani sembrano meno problematici – specie per quanto riguarda la diffusione di obesità – rispetto a quello degli altri paesi occidentali (5); tuttavia fanno intravedere, dietro alla relativa omogeneità dei modelli alimentari delineata nel paragrafo precedente, sia differenze sociali, sia loro possibili evoluzioni.

Tabella 5 – Fattori di rischio di essere sottopeso.
Tabella 6 – Fattori di rischio di essere obesi.

 

Spunti per un dibattito

Ripercorriamo ora i dati presentati, il cui intreccio suggerisce alcune ipotesi e considerazioni. In primo luogo, si è rimarcata la sostanziale omogeneità della frequenza dei principali consumi alimentari tra classi di età, tra uomini e donne e a seconda del titolo di studio. Certo, tale omogeneità non può essere letta, di per sé, come un indicatore di diete del tutto simili: non conosciamo, infatti, né la quantità dei cibi consumati, né le modalità della loro preparazione, ossia elementi il cui intreccio può essere assai differenziato a seconda delle caratteristiche dei soggetti, con ovvie ripercussioni sui loro complessivi modelli alimentari. Tuttavia, la sostanziale somiglianza delle frequenze con cui si consumano i principali alimenti suggerisce la presenza di un modello relativamente omogeneo sia tra la popolazione tardo adulta e quella anziana, sia tra le specifiche classi di età, sia tra uomini e donne. Diversi i fattori che sono, presumibilmente, alla base di tale almeno relativa omogeneità.

 

In primo luogo, una larga condivisione del modello culturale sottostante la ‘dieta mediterranea’, nella quale il consumo di pane, pasta e verdura sono il portato di una lunga tradizione, cui, specie gli anziani, sono ancora legati; quello della carne una conquista troppo recente per essere messa in discussione – di nuovo, specie dagli anziani che maggiormente lo considerano un indicatore dell’almeno relativo benessere conquistato nel corso della loro vita5 (6). La condivisione di tale modello comporta, presumibilmente, che le differenze sociali agiscano, semmai, più sulla qualità dei beni consumati, che sulla loro tipologia e quantità (7)6.

 

Infine, gioca il fatto che la maggior parte delle persone, anche anziane, non viva ‘da sola’, ma in nuclei familiari, spesso intergenerazionali (8), al cui interno abitudini e consumi alimentari sono condivisi, attenuando quindi le possibili differenze sia a seconda della classe di età, sia tra uomini e donne. A fronte di questo quadro sostanzialmente positivo, problematico risulta, invece, quello delineato dai dati sul rischio di obesità e di essere sottopeso. Da un lato, non sono da sottovalutare i dati relativi alla presenza di una percentuale non piccolissima di soggetti sottopeso, dato che confermano come, con il progredire dell’età, si assista, specie per le donne, ad un minor interesse al cibo, se non a veri fenomeni di inappetenza (9); inoltre, alcune ricerche evidenziano come, specie nelle età anziane, l’essere sottopeso tenda a costituire un fattore di rischio rispetto ad alcune patologie, in particolare rispetto alla demenza. Dall’altro, preoccupanti sono anche i dati relativi all’obesità o all’essere sovrappeso.

 

Se nella letteratura emerge un quadro non del tutto chiaro sul ruolo svolto sul rischio di demenza (10), per altri aspetti l’obesità tende comunque ad essere associata a peggiori condizioni di salute e al rischio di mortalità (11). D’altro canto, la minor diffusione di tale fenomeno nelle età anziane rispetto a quelle tardo adulte appare non tanto il portato di un suo ridimensionamento con il progredire dell’età dei soggetti, quanto un indicatore dell’affermarsi, nelle generazioni meno anziane, di modelli alimentari meno salutisti, in cui trova spazio crescente il consumo di alimenti iper-proteici se non di vero e proprio junk food7. Vale a dire che, mentre a partire dagli anni ’50-‘60 si è assistito ad un processo di omogeneizzazione dei modelli alimentari degli italiani (prima fortemente differenziati per condizione sociale ancor più che per sesso e classe di età), sintetizzabile nell’affermazione della dieta ‘mediterranea’ (contrassegnata dalla presenza quotidiana di pane, pasta, latte, frutta e verdura e plurisettimanale di carni, uova e latticini) con effetti di omogeneizzazione sociale e generazionale, negli ultimi decenni si sta, presumibilmente, assistendo ad un progressivo ridimensionamento di tale modello, a favore sia di diete a marcato tenore ‘salutista’, sia di diete incui sono iper-presenti proteine (specie animali), sia, infine, di diete connotate da quei consumi junk food che, in Italia, si sono affermati solo negli ultimi decenni. Poiché i dati suggeriscono che le prime due diete siano più diffuse nei ceti più scolarizzati, le seconde nei ceti più modesti, il risultato, probabile, è un ritorno a quelle forti differenziazioni che connotavano i consumi alimentari della popolazione italiana (e non solo) fino all’inizio del ’900. Certo, tali differenziazioni saranno presumibilmente marcate, al contrario che nel passato, più dai complessivi modelli culturali che dal reddito ‘in sé’, ma non per questo saranno meno rilevanti per le ripercussioni socio-sanitarie che ne possono derivare.

Note

  1. L’indagine ha riguardato complessivamente 48.336 persone, di cui 13.143 anziani (5.905 tra i 60-69 anni, 4.544 tra i 70 e i 79 e 2.694 oltre gli 80), tutti abitanti a domicilio. La consistenza del campione rende quindi possibile dettagliate analisi differenziando a seconda delle principali caratteristiche degli intervistati.
  2. Le risposte presenti nel database sono, in realtà, più dettagliate: più di una volta al giorno, quotidianamente, più volte alla settimana, meno di una volta alla settimana, mai. Tuttavia, per semplicità di lettura, nelle Tabelle abbiamo aggregato le prime tre risposte (anche perché nella maggior parte dei casi i valori erano concentrati sulla terza modalità), inserendo come dato la somma risultante. In realtà, sia per pane, pasta o riso sia per frutta e verdure, il consumo quotidiano riguarda quasi il 90% degli intervistati
  3. Praticamente nulla, invece, la presenza di anoressia, che riguarda meno dello 0,1% degli intervistati – quasi esclusivamente donne.
  4. Per quanto riguarda il livello scolare, abbiamo dicotomizzato tra chi ha, al massimo, la licenza elementare e chi ha una scolarità almeno media.
  5. Elemento, questo, che può aiutare a comprendere perché maggiori consumi si registrino proprio nei ceti sociali più modesti.
  6. Se, in tutti i paesi, il reddito incide sulla struttura complessiva dei consumi, comportando che, al suo aumentare, diminuisca la percentuale utilizzata per i consumi alimentari a favore di altri consumi meno ‘indispensabili’, attualmente, nelle società occidentali, ciò si traduce, di norma, in importi assoluti per i consumi alimentari abbastanza simili per le diverse fasce sociali
  7. L’obesità risulta infatti maggiore per chi consuma più frequentemente uova, salumi, carne di maiale, dolci e snack.

Bibliografia

1. de Almeida MD, Graça P , Afonso C, Kearney JM, Gibney MJ. Healthy eating in European elderly: concepts, barriers and benefits. The Journal of Nutrition, Health & Aging. 2001;5(4):217-219.

2. Elsner RJF. Changes in eating behavior during the aging process. Eating Behaviors. 2002;n. 3:15-43.

3. Wansink B, Cheney MM, Chan N. Exploring comfort food preferences across age and gender . Physiology & Behavior . 2003;n. 79:739-747.

4. Kiesswetter E, Schrader E, Diekmann R, Sieber CC, Volkert D. Varying Associations Between Body Mass Index and Physical and Cognitive Function in Three Samples of Older Adults Living in Different Settings. J Gerontol A Biol Sci Med Sci. 2015;70(10):1255-1261.

5. Simpson EEA, O’Connor JM, Livingstone MBE, Rae G, Stewart-Knox BJ, Andriollo-Sanchez M, Toti E, Meunier N, Ferry M, Polito A, Kelly M, Wallace JMV , Coudray C. Health and lifestyle characteristics of older European adults: the ZENITH study . European Journal of Clinical Nutrition. 2005;n.59(2):S13–S21. doi:10.1038/sj.ejcn.1602292

6. Neresini F. Cibo, cultura, identità. Carocci, Roma. 2008.

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8. Facchini C. Anziani, in A. Campanini (a cura di), Nuovo dizionario di servizio sociale, Carocci, Roma. 2013;55-58.

9. Locher JL, Ritchie CS, Robinson CO, Roth DL, Smith West D, Burgio KL. A Multidimensional Approach to Understanding Under-Eating in Homebound Older Adults: The Importance of Social Factors. Gerontologist. 2008;n.48 (2):223-234.

10. Whitlock G, et al. Body-mass index and cause-specific mortality in 900.000 adults: collaborative analyses of 57 prospective studies, in Lancet. 2009;vol. 373, nº 9669, marzo, pp. 1083-96, DOI:10.1016/S01406736(09) 60318-4.

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