Il Libro Bianco sullo sviluppo del sistema sociosanitario in Lombardia (1) è stato presentato ufficialmente a Milano il 4 luglio 2014. È stato elaborato dall’Assessorato alla Salute e dall’Assessorato alla Famiglia, Solidarietà sociale e Volontariato con il supporto di Eupolis – l’Istituto superiore per la ricerca, statistica e formazione regionale – e la collaborazione della Commissione Sviluppo Sanità. Si articola in 110 pagine complessive, suddivise in due parti. La prima descrive il sistema attuale, l’evoluzione della domanda e gli indicatori di valutazione dell’offerta, dei bisogni e delle performance; la seconda, le linee di revisione del sistema sociosanitario. Due appendici sono dedicate all’assistenza territoriale e al sistema ospedaliero. Nel complesso, si tratta di un’impegnativa agenda di lavoro, aperta alle proposte degli attori del sistema.
Il modello lombardo
Il documento richiama le principali caratteristiche del modello sociosanitario lombardo1. Secondo le intenzioni della Regione, i cittadini sono liberi di costruire il proprio percorso di cura, scegliendo dove e come farsi curare entro i confini di un sistema di offerta pluralistica, basato su “una competizione virtuosa fra erogatori pubblici, privati e privato-sociali”. Il governo del sistema resta pubblico, orientato verso funzioni di indirizzo e controllo a garanzia dei destinatari. Gli strumenti di regolazione sono il governo tariffario, i sistemi di accreditamento e contrattualizzazione e quelli di programmazione, acquisto e controllo delle ASL. Gli erogatori pubblici e privati devono garantire requisiti minimi organizzativi e strutturali definiti dalla Regione. Tutti possono accedere all’autorizzazione al funzionamento ma l’accreditamento delle diverse Unità d’offerta (UDO) è limitato da alcune variabili, come gli indici di fabbisogno.
Il passaggio alla contrattualizzazione rappresenta un ulteriore strumento di regolazione, utilizzabile dal programmatore regionale e da quello locale (ASL) per garantire l’accesso alle risorse del Fondo Sanitario Regionale solo agli Enti che rispondano a determinate specifiche qualitative. Le tariffe sono governate per orientare l’offerta verso le prestazioni più rilevanti e scoraggiare comportamenti opportunistici; gli strumenti della contrattazione e della negoziazione dei budget per garantire il rispetto dei limiti di spesa. Infine, il sistema di vigilanza e controllo verifica il possesso e il mantenimento nel tempo degli standard di accreditamento ma anche l’appropriatezza delle prestazioni erogate.
Il Libro Bianco ricorda le principali linee di separazione del sistema sociosanitario lombardo. La prima è quella tra funzioni di erogazione – garantite dai gestori pubblici e privati – e funzioni regionali e ASL di programmazione, acquisto e controllo. Il 99% dei posti letto ospedalieri è riferibile a un produttore puro di prestazioni, pagato solo per quelle effettivamente erogate. La seconda è quella fra assistenza ospedaliera e specialistica e assistenza territoriale, grazie alla quale, mentre gli ospedali hanno potuto valorizzare la “logica dell’utilità e della validità del servizio erogato”, le ASL hanno potuto “concentrarsi sulle funzioni di tutela e promozione della salute e di verifica e controllo dell’appropriatezza delle prestazioni erogate a livello territoriale”.
L’assistenza sanitaria in Lombardia oggi
I residenti lombardi sono circa 10 milioni, una quantità superiore a quella di 17 dei 28 paesi europei. Gli ultra 65enni sono 2,1 milioni, 280.000 dei quali con più di 85 anni. La spesa sanitaria è pari al 5,47% del PIL, inferiore alla media nazionale (7,04%). I posti letto ospedalieri sono 37.500, il 63% dei quali in aziende pubbliche. 200 i presidi ospedalieri, che includono 5 IRCCS pubblici e 20 privati. La dotazione di posti letto è pari a 3,7 ogni 1000 abitanti, in linea con le norme nazionali (3,0 x 1000 per i posti letto per acuti e 0,7 per quelli riabilitativi). Le giornate di degenza sono 11 milioni, il 10% delle quali assorbite da pazienti extra-regionali. Sono rappresentate tutte le specialità, con alcune aree di possibile criticità; ad esempio, la diffusione superiore alla media europea di alcune specialità chirurgiche di secondo livello, come la cardiochirurgia.
Gli indicatori di qualità e di efficienza economica sono mediamente buoni e negli ultimi 15 anni è stato possibile ridurre del 20% i posti letto e del 26% il numero di persone ricoverate. Al contrario, le prestazioni di specialistica ambulatoriale sono aumentate dai 150 milioni del 2009 ai 170 milioni del 2013. Il movimento economico di questo settore è pari a circa 3 miliardi di euro, 500 milioni dei quali in forma di compartecipazione (ticket). I cittadini che non vantano alcun titolo di esenzione rappresentano il 38% del totale di quelli che hanno utilizzato i servizi di medicina specialistica. I Medici di Medicina Generale (MMG) sono 6.507, con una media di 1.300 assistiti; 2.603 di essi opera in rete, 1.764 in gruppo. La spesa farmaceutica territoriale – pari a 1.8 miliardi – determina un peso sul Fondo Sanitario Nazionale (FSN) pari al 10,4%, inferiore al tetto dell’11,35% previsto dagli accordi nazionali e inferiore all’11,41% medio nazionale. In ugual modo, la spesa farmaceutica ospedaliera è stata di 670 milioni di euro, pari al 3,8% del FSN; il dato è superiore al tetto del 3,5% ma inferiore alla media nazionale (4,22%).
Se assistenza ospedaliera e specialistica e sistema di cure primarie vantano oggi in Lombardia una consistenza paragonabile o superiore a quella di molti paesi europei, sul versante territoriale la situazione è invece più difficile, riflettendo il ritardo italiano in questo settore. Rispetto al sistema ospedaliero e specialistico, gli erogatori del sistema sociosanitario territoriale sono più spesso privati o privati no profit (86% dei posti accreditati). L’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI) è garantita da 234 erogatori ed ha oggi, dopo le riforme del 2003 e del 2001 – una specifica impostazione prestazionale, sanitaria e voucherizzata (2). 100.000 circa sono gli utenti delle sue diverse articolazioni, mentre il tasso di copertura è pari al 4,1% della popolazione ultra 65enne. Il tasso è superiore alla media italiana (3,5%) – dove la Lombardia si colloca al 7° posto per utenti raggiunti – ma decisamente inferiore a quella europea (7%) (3), dove alcuni paesi raggiungono o superano il 10% (4). La differenza è ancora più evidente se si considera che i dati regionali italiani possono includere anche le cosiddette prestazioni estemporanee (singoli accessi per prelievi o prestazioni non continuative), che in alcune ASL lombarde arrivano a rappresentare il 75% o più del totale di quelle erogate (2).
L’integrazione con i Servizi di Assistenza Domiciliari (SAD) comunali è elevata, con oltre il 61% di casi coincidenti. Vanno però distinte le situazioni – più rare – in cui esiste una vera presa in carico condivisa da quelle, la maggioranza, nelle quali l’integrazione è limitata all’occasionale coincidenza di operatori. 647 sono le RSA, che garantiscono 57.843 posti letto a contratto, con una saturazione media del 97%. Rispetto all’assistenza residenziale, la Lombardia si colloca al secondo posto in Italia, dopo il Trentino (6,64 posti letto ogni 1.000 abitanti). Va sottolineato, al proposito, come il confronto con le altre regioni è sempre difficile, condizionato dalle diverse modalità di classificazione dei servizi residenziali (3). Limitandosi allo specifico delle strutture per anziani a integrazione sanitaria (come le RSA), la dotazione lombarda è pari al 2,8% del totale dei 2.131.579 ultra 65enni (5), dato superiore alla media italiana ma inferiore alla media europea del 4% (3). Le RSA lombarde erogano da 1.096 a 1.200 minuti settimanali di assistenza per ospite2; si tratta di tempi inferiori rispetto a quanto stimabile utilizzando strumenti validati di valutazione dell’assorbimento di risorse3. I livelli di appropriatezza richiesti dalla normativa più recente (DGR 3540/2012 e DGR 1765/2014) sono elevati; molti osservatori segnalano la separazione fra gli obiettivi del sistema dei controlli – orientati verso un’appropriatezza di livello elevato – e quelli perseguiti in sede programmatoria, contrattuale e di budget, che tendono verso crescenti efficienze economiche. Oltre alle RSA, il sistema di offerta per anziani include 276 Centri diurni integrati (CDI), oltre a 53 fra Hospice residenziali e Unità Operative di Cure Palliative ospedaliere (UOCP).
Evoluzioni e obiettivi del sistema socio sanitario lombardo
Il sistema sociosanitario lombardo si confronta con l’aumento della popolazione anziana e dei carichi familiari e con i nuovi bisogni collegati alle malattie croniche e alla fragilità. Il Libro Bianco descrive le principali criticità del sistema – come la frammentazione delle risorse, il disallineamento dei livelli decisionali, la scarsa integrazione degli interventi, il ridotto monitoraggio dell’utilizzo e degli esiti delle risorse trasferite alla famiglia – e dichiara una particolare attenzione verso i temi dell’assistenza territoriale e della continuità assistenziale. Soprattutto in questi ambiti, il programmatore si propone di spostare l’attenzione dalle prestazioni al percorso di cura, dall’offerta alla domanda, dall’orientamento verso la malattia a quello verso la persona; questo, favorendo l’integrazione delle risorse con la progettazione individualizzata degli interventi e la valutazione multidimensionale (VMD) del bisogno. Secondo il programmatore “non è la persona che si deve spostare … ma i servizi che si devono riorientare intorno alle sue esigenze”.
Il testo propone una profonda revisione organizzativa del sistema di cura. Le ASL non sono più Aziende ma Agenzie Sanitarie Locali (ASL), ridotte di numero e impegnate a garantire il livello più alto della programmazione, sovrintendendo all’organizzazione territoriale sanitaria, sociosanitaria e sociale in collaborazione con i Comuni. Viene introdotta l’Azienda Integrata per la Salute (AIS), che concorre all’erogazione delle prestazioni ricomprese nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), incluse le cure primarie, la continuità assistenziale, la specialistica ambulatoriale, le prestazioni di ricovero e di riabilitazione e gli interventi sociosanitari come l’ADI. L’AIS opera in “concorrenza e collaborazione” con gli erogatori privati e si compone di un Polo territoriale e di un Polo ospedaliero. Il primo garantisce le prestazioni di bassa complessità ed è responsabile della prevenzione e della presa in carico globale degli assistiti; comprende i Centri Socio Sanitari Territoriali (CSST) e i Presidi Ospedalieri Territoriali (POT). I CSST sono organizzazioni funzionali o strutturali di riferimento per le cure primarie, ambulatoriali, sociosanitarie e sociali. Possono essere collocati presso i distretti, i poliambulatori, le Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT) dei MMG o le Unità Complesse di Cure Primarie (UCCP). I POT integrano le funzioni di CSST con ricoveri medici a bassa intensità, cure subacute, hospice, cure intermedie, chirurgia ambulatoriale, Macroattività Ambulatoriale Complessa (MAC) e daysurgery.
Sotto il piano economico e della regolazione si prevede una regia centrale degli acquisti attraverso una Centrale unica di committenza e un sistema di vendor rating come guida alla contrattualizzazione degli erogatori e alla libera scelta dei cittadini. L’AIS gestisce due diversi modelli di remunerazione degli interventi: il tradizionale sistema a prestazione o accesso (pazienti acuti o di difficile standardizzazione) e quello per processo di presa in carico o percorso per la cronicità; quest’ultimo si avvale anche dei titoli di pagamento (voucher) e si configura come una sorta di budget di cura. In ambito ospedaliero è prevista una nuova articolazione del sistema, che dovrebbe essere suddiviso in ospedali per alta complessità, ospedali plurispecialistici per acuti (con bacino non solo territoriale) e ospedali di prossimità territoriali. Il modello proposto per l’organizzazione ospedaliera è quello “a cure integrate”.
Alcune osservazioni
Il Libro Bianco contiene ipotesi di lavoro interessanti, ora aperte alle osservazioni dei diversi stakeholder. Molti contenuti sono di alto livello, ma non tutti saranno facilmente traducibili in atti normativi e in azioni di reale riforma. Basti pensare al solo riordino del sistema ospedaliero, che dovrà superare le resistenze di molte aziende pubbliche e private, dei territori e dei corpi intermedi. Si tratta, infatti, di una riforma sostanziale che presuppone una forza politica e un consenso oggi difficili da esprimere per chiunque.
Nel settore ospedaliero, in ogni caso, la Lombardia è sufficientemente solida e può procedere con gradualità; i fondamentali del sistema sono buoni, i risultati evidenti e gli aggiustamenti necessari – a parte la chiusura o riconversione dei presidi più piccoli o dei reparti specialistici di secondo livello con casistica più ridotta, che implicheranno confronti politici anche accesi – sono tendenzialmente alla portata del programmatore. Ben diversa è la situazione dell’assistenza territoriale. Sono noti i ritardi o le incertezze del passato, che rendono questo settore l’anello debole del sistema, lontano dagli standard europei e poco efficace rispetto al ruolo decisivo che è chiamato a svolgere. Sembrerebbe necessaria una riforma sostanziale, sostenuta anche da robusti interventi economici, ma le revisioni proposte dal Libro Bianco sono limitate e riguardano soprattutto il sistema di regolazione e alcuni aspetti di architettura gestionale. Al contrario, al di là delle dichiarazioni di principio, non si rilevano contenuti strutturali di vera innovazione e non sono descritti sicuri modelli di riferimento culturale.
Non va dimenticato, in questo ambito, come i pochi servizi che compongono il sistema (RSA, CDI, ADI, SAD) sono sostanzialmente gli stessi dai primi anni ’90. Solo il modello dell’ADI è stato riformato nel 2003 e nel 2011, con risultati però incerti e, soprattutto, in controtendenza rispetto agli obiettivi dichiarati nel Libro Bianco. Ad esempio, se quest’ultimo suggerisce attenzione alla presa in carico e all’integrazione, piuttosto che alla sola erogazione di prestazioni sanitarie, l’ADI riformata è oggi – fatte salve rare eccezioni locali – prestazionale, sanitaria e basata soprattutto su interventi di ridotta durata (2, 3).
Che qualcosa non funzioni nella relazione fra domanda e offerta nel settore dell’assistenza territoriale e dei servizi di comunità, è confermato da due fenomeni ben documentati. Da un lato, l’Italia è il paese dell’area OCSE con la più elevata percentuale di familiari che prestano assistenza a persone anziane o disabili in modo continuativo (16,2% della popolazione, il doppio della Svezia) (6). Dall’altro, la forma più diffusa di assistenza, dopo quella fornita dai familiari, è rappresentata dalle badanti, vero e proprio pilastro istituzionale del sistema. Le assistenti familiari sono almeno 830.000 in Italia, 150.000 in Lombardia (7). Il loro utilizzo riguarda il 6,7% degli anziani italiani (il 10% nelle regioni del Nord), quasi il triplo di quelli ospitati in strutture residenziali e molto di più di quelli sostenuti dai servizi di assistenza domiciliare pubblici (8). La spesa annuale delle famiglie – ricorda Pasquinelli – è “pari a 9 miliardi di euro, che corrisponde al 10% della spesa sanitaria corrente sostenuta dalle regioni e vicina a quanto lo stato spende per l’indennità di accompagnamento (quasi 10 miliardi di euro)” (7). Anche per questi motivi, sembra urgente la ricerca di nuove soluzioni; il carico umano ed economico sostenuto dalle famiglie è elevato e difficilmente potrà mantenersi inalterato negli anni a venire. Il Rapporto 2014 Censis-Unipol descrive i primi segnali di crisi del welfare familiare; nel 2014 la spesa sanitaria privata si è ridotta per la prima volta (5,7%) (6) mentre un calo delle presenze delle badanti, regolari e non (-2,6%) si registra già a partire dal 2012 (9).
Questa situazione è in gran parte il frutto dell’arresto culturale che sembra aver caratterizzato gli ultimi venti anni in Italia e in Lombardia. Il confronto internazionale lascia poco spazio a fraintendimenti. Nord-America e Nord-Europa sono ormai alla quarta generazione di nuovi servizi e almeno alla seconda linea di riforma normativa (10). In molti paesi, il numero di posti letto nelle Residenze Sanitarie Assistenziali è già stato raggiunto o superato dalla disponibilità di accoglienza in soluzioni abitative o di residenzialità sociale per anziani, a diverso grado di protezione, non istituzionali, spesso intergenerazionali e sempre ben integrate con i modelli di domiciliarità globale di nuova generazione (10).
Colmare questo ritardo non sarà semplice, anche per la persistenza di vincoli indipendenti dal controllo del programmatore regionale. Basti pensare ai MMG – liberi professionisti la cui azione è normata soprattutto dal contratto collettivo nazionale – o ai Comuni, sul cui assetto istituzionale la Regione non ha competenza. Questi ultimi, inoltre, attraversano una profonda crisi economica e hanno già dovuto ridurre molti servizi; fino ad oggi, i tentativi di migliorare la loro integrazione con le ASL – basti pensare all’esperienza dei Centri per l’Assistenza Domiciliare (CeAD) – sono sostanzialmente falliti. Non è quindi sicuro che possano avere maggiore fortuna proposte interessanti come lo Sportello unico per il Welfare o i Centri per la Famiglia.
Un’ultima considerazione riguarda il ruolo della geriatria. È evidente come le partite in gioco, sia a livello ospedaliero che territoriale, attengano a temi congeniali alla sua specificità. Eppure, il Libro Bianco contiene pochi riferimenti diretti alla sua metodologia e dimostra una scarsa precisione nell’utilizzo di concetti che avrebbero, al contrario, una notevole rilevanza per gli obiettivi della riforma. Basti pensare, a solo titolo di esempio, all’utilizzo diffuso ma generico di termini come cronicità e fragilità. Rispetto alla prima, non è sempre chiara la differenza o la relazione fra la presa in carico diagnostica e terapeutica delle principali malattie di lunga durata (diabete, ipertensione, demenza, altre) e quella delle situazioni di grave disabilità progressiva. In un caso, si tratta di coordinare in modo efficiente medicina ospedaliera, specialistica e medicina generale, ad esempio attraverso i Cronic Related Group (CReG) o i Progetti Diagnostico Terapeutico Assistenziale Riabilitativo (PDTAR). Nell’altro, di integrare le risorse – formali e informali, sociali e sanitarie, professionali e tutelari – necessarie a garantire a persone e famiglie il supporto necessario, soprattutto in comunità.
Oggi, si tratta più spesso di linee di continuità assistenziale parallele, se non divergenti. In ugual modo, il concetto di fragilità ha le potenzialità e i limiti ben descritti dalla letteratura (11, 12), ma anche per questo motivo sembra indispensabile sostenere la programmazione con una definizione rigorosa dei criteri e degli indicatori che si intendono misurare, ad esempio per identificare sottogruppi di popolazione specifici – come le persone a rischio di confinamento, malnutrizione, caduta o morte in solitudine, istituzionalizzazione o ospedalizzazione improprie – verso cui indirizzare buone pratiche aggiornate e efficaci (13). Non ultimo, manca ancora una definizione formale di non autosufficienza, concetto che sarebbe probabilmente utile sostituire – anche ai fini programmatori, di allocazione delle risorse e di monitoraggio degli esiti dei processi – con una lettura analitica dei livelli di autonomia e disabilità effettivamente misurati (14).
In questo senso, misura della fragilità e della disabilità – ma anche degli obiettivi di vita, desideri e risorse delle persone – appartengono alla migliore cultura geriatrica e gli strumenti e le logiche di valutazione multidimensionale che essa ha sviluppato sono ormai solidi e efficaci. Se ne conoscono le potenzialità e i limiti e anche le modalità corrette di utilizzo. Non è però sempre chiaro, nel Libro Bianco come in altri atti normativi, se la VMD vuole essere implementata nei luoghi e nei momenti più idonei a progettare buone soluzioni di cura per le situazioni di maggiore complessità – come processo di valutazione piuttosto che come lettura spot occasionale – o se le si attribuisca soprattutto una funzione di gate-keeping gestionale ed economico. Oppure, se il driver per l’allocazione delle risorse sia rappresentato dalla stima oggettiva del bisogno o, piuttosto, dalla consistenza del budget, definita a priori e quindi applicata alle popolazioni valutate. Si tratta di un tema rilevante, su cui è utile che il mondo della geriatria esprima il suo punto di vista originale.
Conclusioni
Il Libro Bianco è ricco di contenuti. Prefigura un processo di revisione profonda del sistema sociosanitario, che concede ora spazio alla condivisione con gli attori del sistema. Il documento presenta innegabili punti di forza, ma anche criticità che sembra utile affrontare attraverso la partecipazione al confronto che si sta avviando. Gli aspetti di maggiore debolezza sembrano riguardare soprattutto l’assistenza territoriale, ambito centrale in uno scenario di progressivo invecchiamento della popolazione e di crescente difficoltà delle famiglie.
In questo dibattito, il ruolo della geriatria non può essere di seconda linea. I temi in gioco le appartengono e sembra necessario promuovere un’applicazione dei principi più aderente alle conoscenze aggiornate e ai modelli di buona pratica clinica e assistenziale.
Note
- I dati descritti nelle pagine hanno come fonte prevalente il Libro Bianco. Quando la fonte è diversa, il dato viene integrato dalla corrispondente indicazione bibliografica.
- I tempi più elevati derivano dall’analisi regionale delle schede struttura 2013. Quelli inferiori da rilevazioni condivise nei tavoli tecnici regionali su campioni più selezionati. La differenza può essere legata alle differenti modalità di calcolo del dato. Data la qualità non sempre elevata della compilazione delle schede struttura, è possibile che il dato più prossimo alla realtà sia quello più basso, basato su ricerche specifiche, anche di tipo economico, condotte da agenzie specializzate a committenza regionale
- Società Italiana di Geriatria e Gerontologia. Sezione regionale lombarda. Dati conclusivi della sperimentazione del VAOR-LTCF su un campione rappresentativo delle RSA lombarde. Documento interno del tavolo tecnico regionale sulla sperimentazione VAOR, Milano, 2013.
Bibliografia
1. Regione Lombardia. Libro Bianco sullo sviluppo del sistema sociosanitario in Lombardia. Milano, 2014. Disponibile su: http://www.regione.lombardia.it/cs/Satellite?c=Redazionale_P&childpagename=Regione%2FDetail&cid=1213679816882&pagename=RGNWrapper (ultimo accesso 25-10-2014).
2. Giunco F. Il voucher socio-sanitario. In Gori C (a cura di). Come cambia il welfare Lombardo. Maggioli, Sant’Arcangelo di Romagna, 2011.
3. Network Non Autosufficienza. L’assistenza agli anziani non autosufficienti. 3° Rapporto. Maggioli, Sant’Arcangelo di Romagna, 2011.
4. OECD. Help wanted? Providing and paying for long-term care. OECD Health Policy Studies, 2011. http://www.oecd.org/els/healthsystems/47836116.pdf (ultimo accesso 27-10-2014)
5. Demo.istat.it. Popolazione all’1-1-2014.
6. Welfare, Italia. Laboratorio per le nuove politiche sociali. Integrare il welfare, sviluppare la white economy . Censis, Unipol. Roma, 2014.
7. Pasquinelli S. Badare non basta. Il lavoro di cura: attori, progetti, politiche. Ediesse, Roma, 2013.
8. Pasquinelli S. Badanti: la nuova generazione. Caratteristiche e tendenze del lavoro privato di cura. Istituto per la Ricerca sociale, Milano, 2008.
9. Tidoli R. Le badanti lombarde e la crisi. Lombardia Sociale, 24-10-2013 (www.lombardiasociale.it)
10. Giunco F. Abitare leggero. Verso una nuova generazione di servizi per anziani. Fondazione Cariplo, Quaderni dell’Osservatorio, n. 17. Milano, 2014.
11. Fried LP . Untangling the concepts of disability , frailty , and comorbidity: implications for improved targeting and care. The Journals of Gerontology , Series A: Biological and Medical Sciences. 2004; 59 (3):255-263.
12. Santos-Eggimann B. Prevalence of frailty in middle-aged and older community-dwelling Europeans living in 10 countries, Journals of Gerontology , Series A: Biological and Medical Sciences. 2009;64(6): 675681.
13. Rockwood K. Long-term risks of death and institutionalization of elderly people in relation to deficit accumulation at age 70. JAGS 2006; 54: 975-979.
14. Gill TM. Assessment of Function and Disability in Longitudinal Studies. JAGS. 2010;58(2):308-312.