Di mio padre…
Negli ultimi quindici anni di vita mio padre soffrì di una progressiva perdita dell’udito. Soprattutto nei primi tempi, il deficit uditivo fu accusato da mio padre come un fastidio ai rumori o alle urla dei nipotini. Era difficile per noi figli capire quanto il fastidio che accusava dipendesse dal suo modo spesso impaziente di trattare con noi e dal suo desiderio di isolarsi o dai prodromi di quello che poi si sarebbe rivelato come una grave ipoacusia. Papà non si lamentò mai del fatto che la sua sordità gli impedisse una fluente conversazione con noi. A lui non pesava tanto non sentir noi, centrato com’era a far sì che fossimo sempre tutti noi a dover ascoltar lui. Al telefono ci sentiva bene, la televisione l’ascoltava in cuffia. Sì, certo, non riusciva più a seguire le omelie del prete durante la messa, né tanto meno le sue esortazioni in confessione. Ma questo lo turbava assai poco. Anzi, a suo dire, gli permetteva un rapporto più intimo con Dio nella preghiera, risparmiandogli molte parole inutili. Dipingeva, e per far ciò non aveva certo bisogno di sentirci bene.
Noi figli, però, non ci rassegnammo all’idea che nostro padre non ci sentisse più bene, quel genitore che ci aveva cresciuti raccontandoci com’era sopravvissuto al campo di concentramento in Germania, perché medico, di come barattava fogli di carta per scrivere il suo diario di prigionia e disegnarvi sopra gli scorci della sua cella, le immagini sacre su cui pregare e gli organi dei suoi camerati di cui diagnosticava le malattie mortali; questo padre. Ricordo con quanta insistenza lo convincemmo a mettersi una protesi acustica. Borbottando come al solito, e diffidente più che mai del buon esito di un ausilio acustico, ci seguì per i vari centri specializzati e acquistò anche una protesi. Tuttavia, non ricordo che negli ultimi anni di vita di mio papà io abbia mai avuto una conversazione con lui che indossava la sua protesi acustica. Non saprei dire nemmeno di averla mai vista da qualche parte in casa.
… e della mia ricerca.
È oramai da diversi anni che mi occupo di processi di assegnazione di ausili, cioè di come avviene l’accertamento dei bisogni dell’utente che ne richiede uno e in particolare della valutazione della soddisfazione e dell’efficacia dell’assegnazione. Quello che indago in Italia non è tanto come il servizio di assistenza protesica del servizio sanitario nazionale provveda di un ausilio ogni cittadino che ne abbia diritto. Non è questo lo scopo della mia ricerca. Il servizio sanitario italiano, da questo punto di vista, eccelle rispetto a moltissimi altri paesi europei e occidentali. Il mio interesse riguarda come, nell’ottemperare a questo diritto, i servizi di assistenza protesica siano in grado anche di soddisfare i bisogni dell’utenza, affinché si prevenga uno spreco di denaro pubblico e una frustrazione degli utenti (1).
L’abbandono degli ausili in Umbria
Il livello di abbandono di ausili è impressionante. Si stima che nei paesi occidentali un ausilio su tre non venga più utilizzato già dopo il primo anno dalla consegna (2-7). In una ricerca da me condotta nel 2009 nella Regione Umbria sull’uso di ausili dopo almeno un anno dall’assegnazione, risulta che su 221 utenti dei servizi protesici regionali il 19% di ausili non viene più utilizzato (5, 8). Tra la fine del 2013 e giugno 2014 l’indagine è stata replicata, con un notevole ampliamento del campione di utenti (n = 750), i cui risultati (ancora in via di pubblicazione) confermano la percentuale di abbandono del 2009. Questo dato, se comparato con quelli di ricerche simili condotte in paesi occidentali, è decisamente positivo. Tuttavia, la dispersione economica che consegue ad un insuccesso nell’assegnazione di un ausilio, anche per una regione di poco più di 900 mila abitanti, è notevole. Infatti, nel 2009, anno in cui è stata condotta la prima indagine, nella Regione Umbria per l’assistenza protesica sono stati spesi più di 8 milioni di euro. Questo vuol dire che oltre un milione e mezzo di questi sono andati dispersi (Fig. 1).
Le due indagini non si limitano solo a registrare il livello di abbandono degli ausili in Umbria, ma mirano anche a indagare le ragioni che portano un utente a non utilizzare più un ausilio. I risultati ottenuti dall’indagine del 2009 (8) mettono in evidenza due principali fattori predittivi dell’abbandono: la soddisfazione dell’utente e il modo in cui ciascun centro di assistenza protesica fornisce il prodotto. In altre parole, l’uso di un ausilio dipende non solo da come un utente si sente soddisfatto del dispositivo che ha ricevuto, ma anche dal tipo di rapporto che ha stabilito con i centri di assistenza protesica regionale a cui si è rivolto.
Infatti, nei centri di assistenza protesica che sono meno attenti ai bisogni dell’utente, la percentuale di utenti che dichiarano di non utilizzare più l’ausilio assegnato sale fino al 24% (8). Invece, nei centri in cui si applicano processi più attenti ai bisogni delle persone – per esempio, quelli che riducono al minimo il disagio degli utenti e dei loro familiari o assistenti in tutti gli adempimenti delle fasi di assegnazione (prenotazioni delle visite, documentazione da esibire, tempi di attesa, dislocazione degli uffici, ecc.) e coinvolgendo gli utenti stessi nella scelta dell’ausilio – si riscontra un crollo dell’abbandono, che scende fino al 12% (Fig. 2).
Approfondendo l’analisi delle procedure di assegnazione utilizzate nei centri di assistenza protesica delle AUSL umbre è emerso, poi, un dato paradossale. Quei centri che poco sopra abbiamo definito come non orientati sull’utente sono quelli che hanno fatta propria una rigida osservanza delle direttive regionali di riduzione della spesa pubblica, efficientando i processi di assegnazione, di fatto avendo tassi di abbandono più alto producono più dispersione economica rispetto alla media regionale. I dati parlano chiaro: un efficientamento di un processo di assegnazione di ausili che non preveda anche un attento rispetto dei bisogni dell’utente risulta meno economico (8).
Un servizio di accompagnamento all’uso della protesi acustica
Alla luce di questi risultati, la Regione Umbria nel 2013 ha finanziato un progetto in cui non solo si rendesse più efficiente un processo di assegnazione ausili, per esempio, informatizzando il processo così che tutte le fasi e i prodotti assegnati fossero facilmente accessibili sia ai professionisti che all’utenza, ma anche più soddisfacente per l’utente, cioè tenendolo informato passo passo del processo di valutazione e raccogliendo le sue opinioni sul servizio e sull’ausilio sia prima che dopo l’avvenuta assegnazione.
Insieme ad altri colleghi dell’Università di Perugia, è stato sviluppato un portale chiamato www.laregionetisente.org (9) per l’accompagnamento dell’utente che accede all’assistenza protesica audiologica per richiedere delle protesi acustiche, prima, durante e dopo (follow-up) l’assegnazione (Fig. 3).
I risultati ottenuti, seppure ancora su un campione molto ridotto di utenti (n = 63; età media = 74 anni), sono stati assai incoraggianti. Dopo sei mesi dall’assegnazione della protesi acustica nessuno degli utenti ha dichiarato di averne interrotto l’uso. Il tempo di utilizzo della protesi dopo sei mesi non si riduce rispetto a quello riscontrato dopo i primi tre mesi, attestandosi su una media di circa 10 ore giornaliere. Seppure le medie dei punteggi di soddisfazione dell’ausilio ottenuti a 3 mesi sono significativamente più alti di quelli ottenuti a 6 mesi, tuttavia, questi restano ancora molto soddisfacenti.
Lo stabilirsi del tempo d’uso, che non varia nell’arco di tempo indagato, e i livelli sempre molto alti di soddisfazione anche dopo sei mesi di utilizzo della protesi fanno ben sperare che un modello di assegnazione di ausili centrato sulla persona (10), che preveda un accompagnamento e assistenza durante tutto il processo di valutazione, assegnazione e utilizzo della protesi possa ridurre drasticamente i livelli di abbandono degli ausili, migliorando la soddisfazione dell’utenza, aumentando la qualità di vita e riducendo la dispersione economica.
Epilogo
Ho imparato molto da queste ricerche e mi spiace solo che non potrò più farne tesoro con mio papà. Noi figli eravamo stati con lui assai efficienti, spingendolo a indossare una protesi di ultima generazione e facendogli ottenere il rimborso dovuto dall’assistenza sanitaria nazionale. Lo avevamo di certo portato a sentire meglio, ma ci eravamo forse dimenticati di ascoltarlo di più. L’esito nell’uso della protesi acustica fu fallimentare e ora capisco bene il perché. Avevamo voluto che lui ascoltasse noi, senza prima accettare di ascoltare noi i suoi bisogni. Non dico che i suoi bisogni fossero più “sani” dei nostri, ma erano i suoi e andavano rispettati per quanto assurdi paressero ai nostri occhi.
Bibliografia
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3. Dijcks BPJ, De Witte LP , Gelderblom GJ, Wessels RD, Soede M. Non-use of assistive technology in The Netherlands: A non-issue?Disability and Rehabilitation: Assistive Technology . 2006;1(1-2);97-102. doi:10.1080/09638280500167548
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5. Federici S, Borsci S. The use and non-use of assistive technology in Italy: A pilot study . In Gelderblom GJ, Soede M, Adriaens L, Miesenberger K. (Eds.), Everyday Technology for Independence and Care: AAATE 2011;(Vol. 29): 979-986. Amsterdam, NL: IOS Press. doi:10.3233/9781-60750-814-4-979
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8. Federici S, Borsci S. Providing Assistive Technology: The perceived delivery process quality as affecting abandonment. Disability and Rehabilitation: Assistive Technology . 2014;1-10. doi:10.3109/17483107.2014.930191
9. Federici S, Mele ML, Romeo SA, Didimo W, Liotta G, Borsci S, et al. A Model of Web-based Follow-up to Reduce Assistive Technology Abandonment. In M. Kurosu (Ed.), Human-Computer Interaction Applications and Services (Vol. Part III, HCII 2014, LNCS 8512, pp. 674-682). Berlin, DE: Springer. doi:10.1007/978-3-31907227-2_64
10. Federici S, Scherer MJ (Eds.). Manuale di valutazione delle tecnologie assistive. Milano, IT: Pearson. 2013.