Introduzione
Scopo di questo articolo è presentare e commentare alcuni dati relativi all’attività di ricovero nei confronti dei cittadini anziani. Questo argomento è stato trattato recentemente in una pubblicazione schematica del Ministero della Salute (2000) che nelle premessa riportava tra gli scopi il “…fornire una sintetica collezione di dati di fonte propria o provenienti da altre Istituzioni, utili alla comprensione e alla quantificazione del fenomeno ed alla elaborazione di politiche sanitarie e sociali fondate su informazioni ed indicatori oggettivi”.
La fonte prevalente di tali dati è la Scheda di Dimissione Ospedaliera (SDO), parte integrante della cartella clinica, che è compilata alla dimissione del paziente dall’ospedale: la scheda contiene informazioni anagrafiche e sanitarie (elenco delle diagnosi principale, malattie concomitanti, procedure diagnostiche o chirurgiche, terapie, ecc.). Occorre tenere presente, come viene ricordato nel rapporto, che quando si analizzano i dati provenienti dalle SDO, nel numero delle dimissioni sono conteggiati anche i ricoveri ripetuti da parte di uno stesso paziente. Ciò è importante da considerare poiché, per alcune patologie, negli anziani è molto frequente il fenomeno dei ricoveri multipli.
Va anche ricordato che l’uso della SDO è diverso da Regione a Regione e si è modificato nel tempo: in Lombardia, ad esempio, l’uso della scheda fino al 2000 aveva fini prevalentemente economici. Nella sezione descrittiva della diagnosi principale e della procedura eseguita sul paziente dovevano essere riportate le informazioni relative alla patologia che aveva assorbito più risorse durante il ricovero. Dal 2000 la scheda ha iniziato a descrivere il percorso diagnostico-terapeutico del paziente, ovvero descrive l’iter sanitario del paziente dall’accettazione in ricovero alla sua dimissione dall’ospedale.
Questo differente modalità di descrizione può comportare un’attribuzione diversa del DRG (Raggruppamento Omogeneo di Diagnosi), con attribuzione differente del “peso” del ricovero e , conseguentemente, del ritorno economico all’ospedale. Ciò comporta che l’eventuale uso a scopo epidemiologico della distribuzione dei DRG in questi anni ha notevoli limiti, pur se va detto che i Nuclei Operativi di Controllo (NOC) regionali o delle aziende sanitarie locali hanno contribuito alla standardizzazione del dato attraverso controlli periodici (ospedali pubblici e privati convenzionati).
Dopo questa premessa, l’analisi verterà prevalentemente sui dati di ricovero estratti da
- il sito web del Ministro della Salute (www.ministerosalute.it/programmazione/SDO/)
- pubblicazioni ISTAT:
- Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari. Indagine multiscopo. Roma, 2000
- Statistiche demografiche, Roma, 2000
- Annuario Statistico Italiano, Roma 2003.
I ricoveri
La tabella 1 riporta i dati relativi ai ricoveri dei cittadini anziani avvenuti dal 1999 al 2001 in Italia. Ad una prima osservazione si evidenzia che le SDO riferite ai pazienti anziani rappresentano complessivamente circa il 37% dei ricoveri ordinari nei tre anni osservati, con una prevalenza che passa dal 36,88% del 1999 al 38,11% del 2001 a fronte di una riduzione del numero complessivo dei ricoveri ospedalieri nel triennio. Tale comportamento appare mantenersi anche per le attività di ricovero in regime diurno (day hospital e day surgery), dove si evidenzia un sostanziale incremento dei ricoveri, con una prevalenza che passa dal 27,15% del 1999 al 29,26% nel 2001.
La quota di ricoveri ordinari risulta percentualmente maggiore nella fascia di età >74 (20% dei ricoveri ordinari complessivi) rispetto a quella 65-74, che si attesta sul 17%. Il genere femminile prevale rispetto al maschile nella fascia più anziana ed il rapporto si inverte nella fascia 65-74. Va inoltre osservato che vi è una tendenza alla riduzione dei ricoveri nel genere femminile, nel suo complesso; questo fenomeno si osserva anche nei maschi per la fascia 65-74, mentre risulta in crescita il ricovero nel gruppo >74 anni.
Per i ricoveri in regime diurno, invece, si assiste ad un sostanziale incremento dei valori assoluti, sia in generale che nella popolazione anziana di entrambi i sessi. Complessivamente la media dei ricoveri diurni si assesta sul 16% nella fascia 65-74 e al 10% in quella >74. Il genere maschile risulta maggiormente rappresentato nella fascia 65-74, sia in termini assoluti che percentuali (valore medio del 19 % nei tre anni ), mentre il sesso femminile prevale per numerosità nella fascia >74 e la distribuzione percentuale è simile a quella maschile ( valore medio nei tra anni: 11,5%).
Questi dati, se incrociati con le condizioni di salute dichiarate dalla popolazione anziana (tabella 2), delineano un comportamento dell’uso del ricovero proporzionato all’andamento demografico della popolazione. Infatti, considerando i soli ricoveri ordinari, il tasso di ospedalizzazione per 1.000 anziani1 nell’anno 2000 è stato 293, di cui 7 nella fascia 65-74 e 440,7 in quella >74, mentre per le attività diurne è risultato rispettivamente di 77,3 e 70,3. Tale dato varia evidentemente da regione a regione: nei cittadini residenti in Lombardia nel 2001 il tasso generale di ricovero per età (per 1.000) risulta mediamente superiore alla media nazionale nella fascia 65-74 (329,53), data la distribuzione dell’età nella popolazione, e leggermente superiore nei soggetti >74 (436,60) (Fonte: Dati ricovero anno 2001 – Regione Lombardia).
Se i dati di ospedalizzazione vengono paragonati alla struttura demografica della popolazione nell’anno 2000 (anziani ultra 65enni rappresentavano il 15,7%; Fonte: ISTAT – Rapporto annuale 2002) e rielaborando il tasso generale per i ricoveri nelle strutture pubbliche (139,6), si può stimare il tasso di ospedalizzazione a livello nazionale per tutta la popolazione anziana >64 anni nel valore di 46,11, rispetto ad un dato atteso di 21,9: ciò corrisponde al 33 % ( 2.663.000 circa) di tutti i ricoveri avvenuti nell’anno negli istituti pubblici per acuti, per riabilitazione e per lungodegenza (n. complessivo ricoveri strutture pubbliche: 8.050.357) (Fonte: Annuario Statistico Italiano – Anno 2002).
Tale osservazione risulta rilevante e assume una consistenza maggiore se si considera che tra i ricoveri censiti vengono riportati anche i dati relativi ai parti da gravidanza a termine in ospedale (8,2 % dei ricoveri nelle strutture pubbliche e private – anno 2000): esclusi questi, la prevalenza dei ricoveri salirebbe a circa il 40%. A conforto di tale ipotesi si riportano i dati percentuali di prevalenza dell’I.R.C.C.S Ospedale Maggiore di Milano, che non presenta organizzativamente attività nell’area materno-infantile2: negli anni 1999 – 2000 – 2001 la prevalenza dei ricoverati ultra 64enni è stata rispettivamente 43,32% – 43,68% – 44,76% nei ricoveri ordinari e 29,08% – 29,80% – 35,33% nelle attività di ricovero diurno. Questi dati sono sovrapponibili a quelli Nazionali e della Regione Lombardia, a dimostrazione di un lento ma progressivo “invecchiamento” della popolazione ospedaliera accettata in ricovero.
Altro raffronto rilevabile a livello nazionale si può fare con la degenza media dei ricoveri, che si attesta su 9,50 giorni (due giorni in più rispetto alla media di tutti i ricoveri). I dati dimostrano un incremento in funzione dell’età; inoltre, risulta più lunga la degenza femminile rispetto a quella maschile. Nell’ambito del ricovero diurno, invece, il numero di accessi è sostanzialmente sovrapponibile a quello della media nazionale, con una modesta superiorità di accessi nella fascia 65-74, con prevalenza dei maschi rispetto alle femmine.
Le cause più frequenti di ricovero
Nell’anno 2000 si è confermato che, come per l’età adulta, una delle cause prevalenti di ricovero è la patologia cardiovascolare nelle sue diverse espressioni (insufficienza cardiaca congestizia, aterosclerosi coronarica e dei vasi periferici, aritmie, vasculopatie cerebrali, ecc.) (tabella 3). Segue, per importanza e per impegno organizzativo, la patologia neoplastica.
In particolare, nel 2000 i dimessi con diagnosi di tumore sono stati 465.607, con una leggera prevalenza nella fascia 65-74 (55,67 % – 259.169) rispetto ai >74 anni (44,33% – 206.438). E’ interessante evidenziare che il ricorso alla chemioterapia e radioterapia scende dal 14,9% della fascia 65-74 a meno della metà nella fascia >74 (6,7%), confermando il dato generale di aumento della morbilità e della mortalità per causa tumorale nella popolazione anziana, in particolare nella fascia compresa tra i 70 e gli 80 anni (Fonte: ISTAT – Annuario Statistico 2002). Questo dato è sovrapponibile a molti paesi industrializzati e con una struttura demografica della popolazione simile a quella italiana (Yin Bun, 2003).
Tra i tumori, in entrambe le due fasce di età le patologie più frequenti risultano essere a carico della vescica (9,0% vs 11,4%) e dell’apparato broncopolmonare (9,1% vs 7,9%), mentre a seguire sono i tumori maligni secondari (6,9% vs 6,6%), della mammella (5,4% vs 5,1%), i tumori del colon (4,5% vs 6,3%), e della prostata (4,1% vs 4,1%). Il rimanente della casistica evidenzia soprattutto un interessamento dell’apparato gastrointestinale e di quello genito-urinario, mentre complessivamente risultano poco rappresentati i tumori dell’apparato emopoietico e del sistema nervoso (www. ministerosalute.it).
Tra le patologie cronico-degenerative, quelle osteoarticolare, metaboliche e cerebrali sono di fatto poco rappresentate nell’ambito delle attività di ricovero, pur se significativamente presenti nelle dichiarazioni del proprio stato di salute (tabella 4), a giustificazione di un utilizzo coerente del ricovero, ovvero di un ingresso in ospedale in acuto o urgenza per complicanze della malattia primaria e non già per una definizione diagnostica ottenibile attraverso un processo clinico e terapeutico in ambulatorio e/o in consultorio geriatrico.
Interventi chirurgici
Nell’anno 2001, i cittadini >64 anni sottoposti ad una procedura chirurgica durante il ricovero. Sono risultati circa un terzo della popolazione anziana ricoverata (1.555.602 DRG chirurgici vs 3.186.364 DRG medici o non classificabili). Se si approfondisce l’attenzione su alcune categorie omogenee di DRG (MDC), comprensive di tipologie chirurgiche e mediche, si osserva che in alcune di queste la popolazione anziana passa dal 25% a oltre il 60% di rappresentatività all’interno della popolazione ospedaliera (tabella 5).
Riprendendo queste categorie esclusivamente per la tipologia chirurgica, in sintonia con quanto esposto precedentemente sulle diagnosi ospedaliere, i dati relativi ad alcune procedure, (interventi per cataratta, sostituzione dell’anca, bypass coronarico o angioplastica), sono un particolare “patrimonio” dell’età anziana. Nell’anno 2000 il tasso di ospedalizzazione (per 100.000 anziani residenti) per interventi varia da Regione a Regione, con una prevalenza media che scema dal 3.096,01 per l’intervento della cataratta a 504,24 per la protesi d’anca e, rispettivamente, al 155,91 e 226,71 per il by pass coronarico e per l’angioplastica.
Tali dati, in Lombardia, quando vengono estrapolati in funzione dei DRG e dell’età al ricovero, evidenziano che tali interventi sono stati eseguiti per oltre l’80% nella popolazione ultrasessantacinquenne. A questi seguono gli interventi di posizionamento dello stimolatore cardiaco e gli interventi chirurgici sull’apparato digestivo (occlusione e/o sanguinamento secondario a patologia neoplastica ostruttiva) e su quello genito-urinario, senza una sostanziale differenza tra maschi e femmine; mantenendo la prevalenza oltre il 70%. L’esperienza dell’Ospedale Maggiore di Milano è in sintonia con i dati nazionali e regionali. Un dato interessante da segnalare è l’incremento delle attività chirurgiche sulla cittadinanza ultrasessantaquattrenne che è in costante incremento (1999: 35,27% delle attività chirurgiche; 2000: 35,49%; 2001: 36,12%; 2002: 37,31%); inoltre la percentuale di ultranovantenni e centenari è una quota in costante crescita, (1999: 36 casi, 1,25%; 2000: 33 casi, 1,22%; 2001: 59 casi, 2,15%; 2002: 82 casi, 3,06%).
Discussione
Questi dati, pur se concisi, si offrono ad una discussione che va oltre alla semplice descrizione statistica. Il primo elemento di discussione verte sul volume complessivo dei ricoveri che, di fatto, dimostra il frequente ricorso dei cittadini anziani alla risorsa “ospedale”: almeno quattro dimessi su dieci sono ultra sessantaquattrenni e, considerando il tasso di ospedalizzazione in funzione dell’età e della stratificazione demografica regionale, ogni anno ricorrono a prestazioni di ricovero dai tre a cinque anziani su dieci.
Nell’indagine multiscopo dell’ISTAT era già emerso che il ricovero è correlato ad alcune caratteristiche socio demografiche importanti, tra cui la composizione del nucleo abitativo e le condizioni delle abitazioni. Tale dato è confermato da una ricerca inglese pubblicata nel 2000 (Majeed et al., 2000), nella quale il ricorso al ricovero ospedaliero e alle prestazioni in emergenza era correlato, sia alla scarsa abilità nelle attività di vita quotidiana, sia alle condizioni di convivenza familiare (anziani che vivono con il solo coniuge o in famiglia numerosa), oppure alle condizioni abitative (mancanza di riscaldamento centralizzato). L’accesso alle cure ospedaliere e la loro efficacia rimane un tema aperto, che implica una serie di valutazioni: prima di tutto l’analisi delle patologie che causano il ricovero e le condizioni funzionali all’ingresso e all’uscita dall’ospedale. Altre due argomentazioni sono considerate irrinunciabili e correlate con le prime: la capacità o possibilità dell’anziano di partecipare attivamente alla scelta della cura nonchè l’identificazione del suo grado di soddisfazione.
Questi elementi sono stati studiati separatamente pur se le conclusioni tendono a far convergere tali questioni tra loro. Infatti, è dimostrato che l’adesione ai programmi terapeutici è maggiore negli anziani piuttosto che negli adulti (Scott et al., 2002), tuttavia la soddisfazione delle cure dipende dallo stato di salute alla dimissione e alla abilità residua nelle funzioni del vivere quotidiano(Covinsky et al., 1998). Si collegano al problema anche i dibattiti aperti sulle cure al paziente terminale (Godden e Pollock 2001; Huang, 2002) o ai pazienti che subiscono uno stroke (Bhalla et al., 2001), nei quali viene messo in crisi l’utilizzo dell’ospedale a fronte delle condizioni del paziente e la possibilità di avere servizi specialistici domiciliari, che possono meglio affrontare le particolari condizioni di salute del paziente.
I dati sui ricoveri impongono quindi una particolare attenzione ed un’alta considerazione, in quanto dimostrano che ancora oggi le risorse territoriali alternative all’ospedale non sembrano avere trovato un loro consolidamento nello scenario del sistema sanitario, sia qualitativamente che quantitativamente. A questo si deve aggiungere anche il dato relativo alla degenza media dei ricoveri, che risente delle condizioni del contesto sociale a cui appartiene l’anziano. Infatti, se da un lato vi è consapevolezza diffusa della necessità di trattare, con pari intensità di cure. Ma con ritmi più “lenti” le condizioni critiche dei pazienti anziani, dall’altro il “fantasma” della dimissione ritardata per problemi sanitari o sociali rischia di incidere negativamente sul decorso clinico del paziente. Su quest’ultimo tema infatti si è molto “favoleggiato” in quanto, al momento, non sembrano esistere nella letteratura scientifica studi sufficientemente consolidati, che aiutino ad indirizzare e a risolvere tale problema.
Il fenomeno dell’“ageismo”, “non c’è nulla da fare, è anziano!”, della perplessità di attivare cure particolari in funzione dell’età e del contesto di appartenenza dell’anziano, rimangono pertanto un problema culturale e scientifico (Nelson, 2002) lungi da soluzioni scientificamente ed eticamente corretti. In un recente editoriale comparso sul British Medical Journal, Norman Vetter (2003) riprende, il tema delle “dimissione ritardata inappropriatamente” e sottolinea due aspetti importanti: nel primo evidenzia che questa “dimissione” facilmente si manifesta quando non è sufficientemente considerata o conosciuta la disponibilità locale di trattamenti e di cure alternativi o complementari al ricovero; con il secondo, invece, richiama l’attenzione alla mancanza di evidenza che nei casi di dimissione ritardata si abbia una compromissione dell’esito del ricovero (outcome), ovvero che i pazienti avrebbero un esito migliore se fossero dimessi prima.
Lo stesso autore sottolinea infine che alcuni studi dimostrerebbero una riduzione del problema attraverso due modalità di approccio, non mutuamente esclusive tra loro: l’organizzazione da parte della stessa équipe sanitaria di un sistema di sorveglianza domiciliare dopo la dimissione ed, parallelamente, una dimissione “supportata” a livello domiciliare in termini sociosanitari (Hyde et al., 2000). Ciò riporta immediatamente la riflessione e l’attenzione ai contenuti e progetti del nuovo Piano Sanitario Nazionale, alla necessità di avviare un processo culturale all’interno degli ospedali che modifichi sostanzialmente l’approccio organizzativo attuale e spinga verso modelli che tengano conto della nuova realtà e del cambiamento radicale in atto delle loro funzioni e della loro “missione”. Ma questo, si sa, …è tutta un’altra storia.
Note
- Il tasso di ospedalizzazione è ricavato attraverso la formula: (numero complessivo giorni degenza / popolazione media residente) per 1000. Nel 2000 la popolazione media residente è stata stimata in circa 362.000 ab.
- La struttura organizzativa dell’Ospedale Maggiore di Milano comprende una Geriatria, la cui attività prevalente è diurna mentre l’attività di ricovero ordinario è condivisa in un’area omogenea condivisa con due altre unità operative (Medicina Interna ed Epatologia), e non comprende né le unità operative di Pediatria e Ginecologia/Ostetricia, né attività ortopedica, che è resa organizzativamente come Servizio di Traumatologia d’Urgenza asservito funzionalmente alla Chirurgia d’Urgenza e organizzativamente anche alla Neurochirurgia e al Pronto Soccorso.
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