1 Agosto 2004 | Cultura e società

Editoriale
Le componenti oggettive e soggettive della autonomia degli anziani

Le componenti oggettive e soggettive dell'autonomia degli anziani

Tutti noi che operiamo con strumenti e mentalità di tipo geriatrico, specie se in campo sanitario, consideriamo la autonomia/dipendenza degli anziani, un fatto “oggettivo”. Forse è venuto il momento di mettere in crisi questo concetto e di ampliarlo a nuove componenti, dando più spazio agli aspetti “soggettivi” e dinamici del rapporto fra autonomia e invecchiamento.

 

Vediamo:
I. Se una persona è in grado di adempiere ad una serie di funzioni della vita quotidiana è autonoma; viceversa quanto meno ne è capace tanto più è da considerarsi dipendente o, con un termine largamente usato quanto poco felice, “non autosufficiente”. Si sono elaborati strumenti e indicatori sufficientemente attendibili e molto usati per definirla, sia in termini quantitativi che qualitativi. Chi non conosce, ad esempio, la scala di ADL di Katz o l’indice di Barthel?

II. Il fatto di valutare la funzione è stata una conquista culturale rispetto all’ancoraggio alla sola diagnosi, tipica del tradizionale approccio clinico internistico. Già l’OMS nel 1959, recitava: “..…. La salute degli anziani è misurabile molto meglio in termini di funzione…, il grado di efficienza piuttosto che la diffusione di una patologia può essere usato come misura della quantità di servizi che gli anziani richiedono alla comunità” (W.H.O., 1959).

III. Sotto la spinta di importanti elaborazioni concettuali e di risultati sul campo, si è affermata in questi anni, come “tecnica geriatrica” la valutazione multidimensionale che ha ormai largamente superato la fase sperimentale e ha prodotto dei punti di riferimento ampiamente sostenuti dalla letteratura (vedi le “linee Guida” sulla valutazione multidimensionale geriatrica della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria: www.sigg.it/valutazione.html).

 

Non v’è dubbio che questo approccio ha dato una serie di importanti dati di base che hanno meglio indirizzato quantità e qualità dei servizi socio sanitari per gli anziani, nonché fornito degli utili indicatori per la programmazione. Eppure, se guardiamo al futuro, e forse già al presente, alcune domande di fondamentale importanza per capire la dimensione prospettica del bisogno di assistenza degli anziani, restano aperte o con risposte contraddittorie.

 

1. In futuro ci sarà una esplosione di anziani dipendenti, incapaci di vivere a casa loro? Oppure la “compressione della morbilità”, cioè lo spostamento verso età maggiori della fase della dipendenza irreversibile, sarà in grado di compensare o perfino di invertire il rapporto fra aumento longevità e numero di anziani non autonomi? Ci sono ricerche in atto, sia in USA che in Italia che in altre parti del mondo che cercano di gettare luce su questo problema. Secondo qualche analisi statunitense già pubblicata sembrerebbe che l’ottimismo sia possibile, in quanto vi sarebbe un equilibrio fra aumento del numero di anziani e diminuzione età specifica della non autosufficienza (diciamo grosso modo 1% in più di ultra65enni all’anno, 1% in meno di disabili nella stessa popolazione (Waidmann e Liu, 2000; Cutler, 2001). Anche in Italia, in realtà, non vi è un’ esplosione di richieste di ricoveri in residenza, per lo meno non secondo quanto ci si aspetterebbe dall’aumento del numero degli anziani. E’ vero che nel nostro paese tutto è più difficile, poiché partiamo da un numero di posti in RSA molto basso e nettamente inferiore al bisogno; inoltre lo svilupparsi della assistenza privata individuale a basso costo (le “badanti”) fenomeno interessante, certamente positivo per gli anziani, e solo da poco studiato (Gori, 2002) potrebbe modificare in modo significativo ogni previsione. Però in situazioni come quelle lombarde, dove l’offerta di servizi residenziali è un pò più alta che in altre regioni, percentualmente l’offerta di posti letto è rimasta quella degli anni 50 e 60.

 

2. Quali sono le componenti che inducono non solo a perdere l’autonomia, ma a perdere la possibilità di stare al proprio domicilio? E sono poi le stesse o sono diverse? Nelle numerose ricerche sul tema vi sono una gran quantità di ovvietà, e alcune cose interessanti:

a. Le condizioni di perdita dell’autonomia fisica non sono poi così grandemente diverse fra chi si trova ad essere disabile ed assistito al domicilio e chi lo è in residenza. Certo questi ultimi, in media, sono più gravemente dipendenti, ma in ricerche mirate (ad esempio sul caregiving , dati molto interessanti della Provincia di Milano prodotti dalla Prof. Carla Facchini e non ancora pubblicati) su popolazioni specifiche tali differenze si attenuano o spariscono e, caso mai emergono altre componenti legate all’anziano come la “instabilità” e la prevedibilità o meno dell’intervento assistenziale.

b. Le componenti psichiche e cognitive sono più importanti di quelle fisiche, e più della stessa solitudine, per determinare la necessità di ricovero in RSA di persone che pure sono assistite al domicilio.

c. Le reti di sostegno sono molto dinamiche, hanno differente consistenza e robustezza, e sono determinanti nello stabilire il grado di successo o insuccesso della permanenza al domicilio di un anziano che necessita supporto.

 

 

Questo per indicare come, parlando di autonomia e di domicilio le componenti siano inevitabilmente “multiple, interattive e simultanee”. Ma probabilmente non basta. In questo numero l’articolo di Giuseppe Micheli: “Plasticità e stati d’animo. Sotto la dimensione cognitiva della perdita di autonomia“ ci introduce ad un nuovo e diverso approccio, una vera rivoluzione nel modo di considerare l’autonomia, mettendo in luce l’importanza delle componenti soggettive e dinamiche, l’importanza degli atteggiamenti cognitivi e degli “stati d’animo” per il mantenimento dell’autonomia.

 

La tesi di fondo è che a decidere chi avrà o no successo nel proprio invecchiamento saranno anche, e in certi casi soprattutto, non tanto gli avvenimenti biologici e sociali, ma il modo come li si affronta. Da una parte introduce e definisce la “plasticità” cioè la capacità di adattarsi ai cambiamenti, rimodellandosi: una capacità positiva, da considerarsi contrapposta alla “elasticità” che è invece il ritorno costante all’equilibrio precedente come unico possibile. Si aggiungono a questa i fattori soggettivi integranti come la “self efficacy”, per programmare le strategie, ma anche i “fattori di instradamento”, cioè la precedente costruzione del patrimonio culturale e affettivo dell’individuo. Dall’altra, secondo Micheli, vanno considerati anche i contesti in cui si muove la persona. Qui viene messa in luce in modo originale (anche nel linguaggio, da decodificare attentamente per coglierne la ricchezza) l’interazione fra realtà delle reti sociali e gli spazi delle città, con la valorizzazione di quelli che chiama gli “spazi ruvidi”, necessari allo sviluppo dei rapporti umani, contro la eccessiva linearità delle nostre città automobilistiche e solipsistiche.

 

Queste due componenti (il “modo con cui; la motivazione a…” e lo “spazio” ) da sole rappresentano una non piccola novità nell’approccio ad un problema che all’interno di una visione solo fisico/prestazionale non trova oggi né soluzioni né risposte soddisfacenti. L’invito è quindi a leggere questo e il prossimo articolo di Micheli, ma anche a cercare nuove soluzioni e nuove risposte per la promozione dell’ autonomia degli anziani. E magari, se le trovate, a comunicarcele.

Bibliografia

Cutler DM. Declining disability among the elderly.Health Aff (Millwood) 2001;20(6):11-27.

Gori C. “Il Welfare nascosto: il mercato privato dell’assistenza in Italia e in Europa” Carocci, Roma, 2002.

Waidmann TA; Liu K :Disability trends among elderly persons and implications for the future. J Gerontol B 2000;55:S298-307.

W.H.O, The Public Aspects of the Aging of the Population”, Copenhagen, 1959.

 

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