Il progressivo invecchiamento della popolazione ha inevitabilmente portato la ricerca scientifica e quindi anche quella psicologica, a concentrarsi su questa fase della vita, con l’obiettivo di contrastare l’eccesso di medicalizzazione dell’invecchiamento, troppo spesso erroneamente visto come una malattia e assoggettato al dominio medico e biologico (Scortegagna, 2005). Infatti L’Unione Europea ha proclamato il 2012 come “Anno europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà”, sottolineando l’importanza di una visione non centrata sulla patologia, ma sulla valorizzazione delle risorse di una fase della vita potenzialmente ricca per l’individuo e per la collettività. Il ruolo della psicologia all’interno dei servizi di cura per l’anziano dovrebbe essere quello di riportare al centro dell’atto di cura la persona, con la sua storia non solo clinica e medica, ma psicologica, relazionale e sociale, agevolando il lavoro interprofessionale dei diversi attori della cura.
Nei diversi luoghi della cura in cui gli anziani vengono accolti mutano le esigenze psicologiche degli utenti e la disponibilità di figure professionali capaci di cogliere e intervenire sui bisogni specifici. Nelle Aziende Ospedaliere l’attività degli psicologi ha assunto, nel corso del tempo, forme organizzate in modo disomogeneo, rimanendo per lo più relegata all’ambito delle Unità Operative di Psichiatria. Questa assenza dello psicologo nei diversi contesti di cura è soprattutto indice di una scarsa percezione della psicologia come scienza capace di fornire strumenti e metodologie utili per migliorare l’atto di cura. Spesso, infatti, il ruolo della psicologia è relegato alla presa in carico degli aspetti di sofferenza psicologica o patologie associate alla malattia fisica, mentre solo raramente viene considerato utile nella gestione degli aspetti psicologici intrinseci in tutte le dimensioni di cura. È evidente come la psicologia possa avere ampio spazio di azione nella gestione di situazioni in cui l’elemento di cronicità è rilevante, soprattutto con interventi volti al miglioramento della qualità di vita e al benessere dell’individuo (ad esempio in ambito riabilitativo).
Nel documento della Società Italiana di Psicologia dei Servizi Ospedalieri e Territoriali (SIPSOT) si afferma che, in un reparto di riabilitazione geriatrica, le conoscenze e le competenze dello psicologo dovrebbero essere orientate verso interventi atti a gestire le molteplici dinamiche coinvolgono la persona anziana ammalata, come:
- l’invecchiamento fisico e psicologico (trasformazioni delle modalità di relazione dell’individuo col proprio mondo esterno);
- comportamentale (attitudini, aspettative, motivazione, immagine di sé, ruoli sociali, personalità);
- la comprensione e gestione dell’influenza reciproca tra individuo anziano e società.
Questi aspetti dell’invecchiamento coinvolgono direttamente molte discipline diverse (medicina, psicologia, sociologia, pedagogia), rendendo l’approccio multidimensionale l’unico in grado di fornire risposte adeguate ai bisogni delle persone anziane.
Affrontare le perdite
Il tempo della vecchiaia è un momento in cui le persone sono considerate a maggior rischio di sperimentare numerose perdite. La vecchiaia stessa è spesso definita come l’età delle perdite Ogni cambiamento, spostamento, trasloco rappresenta di per sé una perdita. Sono tutti momenti difficili che mettono a dura prova le capacità di adattamento e lo stesso equilibrio personale: lasciare un luogo certo e familiare per andare verso l’ignoto, magari denso di promesse, ma pur sempre sconosciuto. La perdita di autonomia funzionale, sia acuta che cronica, frequentemente mette in crisi il paziente che deve percorrere il cammino dell’adattamento e accettazione della nuova condizione.
L’esperienza traumatica della perdita acuta dell’autonomia immerge la persona in una vita nuova e difficile, in cui si modificano improvvisamente i rapporti tra corpo, mente e il mondo. Sono i luoghi di cura gli spazi in cui spesso il malato si trova a scoprire e vivere la perdita della propria autonomia come qualcosa di irreversibile. L’intervento psicologico con il paziente ricoverato in ospedale ha lo scopo di sostenere il processo psicologico dell’adattamento alla nuova condizione determinata dall’evento traumatico o l’adattamento alla cronicità. L’adattamento è un processo complesso che implica il passaggio circolare attraverso vari stadi (negazione, dolore, tristezza, rabbia, paura, razionalizzazione, accettazione). Durante il ricovero tale processo deve essere facilitato e considerato un obiettivo centrale dell’atto di cura. L’intervento sui pazienti che sono impegnati in programmi riabilitativi ha la finalità di fornire un supporto per gestire al meglio il percorso di cura, contenere ed affrontare le problematiche connesse a tale percorso, facilitare l’elaborazione delle perdite (sia temporanea che permanente), facendo emergere le potenzialità residue per ristrutturare il progetto di vita del paziente.
L’accompagnare e il supportare l’adattamento alle perdite si concretizza nella creazione di spazi in cui sia possibile, per il paziente, affrontare e sviscerare le proprie angosce e tormenti, per poi ricostruire una nuova immagine di sé, più vicina alla nuova realtà che le mutate condizioni fisiche e relazionali hanno forzatamente determinato. Chi opera in ambito geriatrico non può tralasciare di considerare una patologia che spesso, erroneamente, viene fatta coincidere con la vecchiaia stessa: la demenza (perdita delle competenze cognitive). L’inquadramento neuropsicologico della persona con sospetto declino cognitivo è un’attività che, grazie alla spinta delle Unità di Valutazione Alzheimer all’interno del Progetto CRONOS dell’Istituto Superio di Sanità, ha subito una forte crescita a partire dal 2000 in Italia. Tuttavia lo screening delle funzioni cognitive nell’anziano e l’approfondimento neuropsicologico non hanno come unico scopo quello di identificare i soggetti con un sospetto declino cognitivo, al fine dell’attivazione di un iter diagnostico differenziale delle demenze (compito di pertinenza delle Unità di Valutazione Alzheimer e dei ricoveri con scopo diagnostico).
Conoscere le competenze cognitive del paziente anziano è un passo necessario per sfruttare al meglio le risorse della persona sia al domicilio (per prevedere le capacità di una vita autonoma e sicura), che in ambito riabilitativo (ottimizzando le risorse cognitive al servizio dell’intero percorso di recupero). Lo svilupparsi di offerte formative di specializzazione in Neuropsicologia (Master, Scuole di specializzazione, corsi di perfezionamento) e la conseguente esigenza di riconoscimento della figura del Neuropsicologo, hanno portato nell’immaginario collettivo a una sovrapposizione tra intervento psicologico e neuropsicologia, limitando l’attivazione e l’attività degli psicologi con gli anziani solamente all’ambito della valutazione e riabilitazione cognitiva. Lo psicologo che lavora con le persone anziane non si può e non si deve solo occupare di neuropsicologia: sarebbe un errore se i percorsi formativi in Neuropsicologia non prendessero in considerazione anche gli aspetti psicologici e psicopatologici legati all’invecchiamento.
Supporto all’équipe
Un importante ruolo dello psicologo all’interno dei luoghi di cura per gli anziani è l’attenzione nei confronti della formazione degli operatori, intesa come rielaborazione della loro esperienza accanto all’anziano.
È importante ricordare che gli operatori sanitari, quotidianamente a stretto contatto con il malato, rappresentano per il reparto una ricchezza che va formata, ma anche protetta. In ambito sanitario, la sindrome del burnout è una forma di stress cronico che produce nell’operatore scarso coinvolgimento nel lavoro, esaurimento emotivo e deterioramento delle relazioni con l’utenza; ha una notevole rilevanza sociale e sta riscontrando sempre più interesse da parte della letteratura psicologica e psichiatrica (Santinello, 1990; Payne e Firth Cozens, 1999).
Le categorie più a rischio di sviluppare tale sindrome sono quelle chiamate a rispondere quotidianamente e in tempi rapidi a problematiche mutevoli e spesso senza soluzione. Il contatto costante con la sofferenza e la morte, con la cronicità, genera a lungo andare un esaurimento delle risorse dell’operatore. Sono dunque fondamentali interventi in grado di fornire gli strumenti operativi per gestire e prevenire lo stress lavorativo, le strategie per difendersi dallo stress negativo ed aumentare o mantenere il livello motivazionale indispensabile a tutte le professioni di aiuto, salvaguardando il benessere dell’operatore e di conseguenza la sua efficienza lavorativa.
Obiettivo dell’intervento è quello di migliorare la relazione con gli utenti nell’ottica di un aumento della qualità del servizio fornito dagli operatori stessi. Sono dunque utili interventi che abbiano lo scopo di ottimizzare la qualità degli scambi comunicativi e il sostegno fra gli operatori per fronteggiare le situazioni di emergenza e di elevato carico lavorativo, per ridurre l’impatto negativo dello stress, attraverso la creazione di uno spazio di discussione, dove sia possibile condividere ed elaborare le emozioni negative e le difficoltà.
L’intervento della psicologia può essere importante nella strutturazione e guida di incontri di gruppo specifici sulle tematiche della gestione dello stress e delle relazioni con i pazienti ed interne al gruppo di lavoro. “Lo stress lavorativo è una patologia dell’organizzazione lavorativa, non dell’individuo” (Graziano, 2007): è dunque importante che venga gestita all’interno dei luoghi di cura. Spesso, infatti, l’analisi delle esperienze di operatori sanitari mette in evidenza come l’insoddisfazione da parte degli operatori non riguardi la relazione con il paziente, quanto il rapporto con i colleghi.
La famiglia
La condizione e le problematiche affrontate oggi dal vecchio non possono essere comprese se non all’interno della propria rete sociale, a partire dal primordiale nucleo sociale: la famiglia. In particolare si deve considerare che la famiglia è stata oggetto di radicali trasformazioni nel corso degli ultimi cento anni che hanno modificato in modo sostanziale la struttura sociale, economica, culturale e politica.
Storicamente abbiamo assistito ad un progressivo assottigliamento delle famiglie, con un passaggio dalla precedente e antica struttura patriarcale a quella nucleare, cioè la “famiglia instabile”; instabile poiché destinata a frammentarsi con il matrimonio dei figli. È inevitabile che anche il ruolo dell’anziano all’interno della famiglia sia andato così radicalmente modificandosi: da ruolo di gerarca, guida ed esempio per i giovani, ad una graduale emarginazione dalla società che ha cominciato a vederlo come scarsamente produttivo, inutile, fino a considerarlo quasi un peso (Saraceno, 2003). Infatti, l’anziano, nel contesto di una società che esalta la produttività, l’efficienza e la funzionalità, si trova emarginato, reso superfluo, inutile. Così capita spesso che egli si senta di peso ai familiari e alla società. Il vecchio di oggi, infatti, è cresciuto in una famiglia in cui i nonni erano tenuti in grande considerazione e rispettati in quanto portatori di una saggezza e cultura popolare che garantiva loro ambiti di competenze specifiche ed irrinunciabili. Ora il vecchio, il bambino degli anni ’20, si trova a vivere, come anziano, una situazione familiare che si discosta molto da quella entro la quale lui stesso è cresciuto. Il più delle volte vive lontano dai propri figli, solo e, troppo spesso, in solitudine.
Nei luoghi di cura la famiglia gioca un ruolo fondamentale e la diade paziente-famiglia rappresenta spesso il perno su cui costruire e bilanciare i diversi interventi (medico, riabilitativo, assistenziale e psicologico). I familiari, infatti, hanno peculiari ruoli all’interno del percorso di cura: rappresentano spesso la principale fonte delle informazioni sul paziente; sono gli elementi che si fanno carico dell’assistenza al domicilio; si trovano a dover affrontare in prima persona numerose perdite (del proprio ruolo all’interno del nucleo familiare, del lavoro, della libertà di movimento e anche di denaro). Se questi aspetti non venissero considerati in modo adeguato si rischierebbe di assistere ad un passaggio della famiglia da potenziale alleato a possibile nemico nella cura dell’anziano. Perchè questa potenzialità si trasformi in risorsa e non in ostacolo, la famiglia deve essere ascoltata, capita ed aiutata nel percorso di adattamento di fronte a cambiamenti strutturali e al variare dei legami al proprio interno, inconvenienti che accadono all’ammalarsi di un componente (Gruppo di Ricerca Geriatrica, 2008).
Lo staff di cura ha il compito di aiutare la famiglia alla comprensione e accettazione della nuova situazione che coinvolge il paziente, in un ottica educativa e preventiva. Allo psicologo è richiesto di intervenire in quelle situazioni specifiche in cui la famiglia crolla, o potrebbe crollare, sotto il peso dei cambiamenti determinati dalla malattia del paziente. Quando, ad esempio, il paziente, che prima di ammalarsi rappresentava l’elemento di snodo su cui era imperniata l’intera famiglia, passa da elemento “accudente” ad “accudito”, sarebbe riduttivo focalizzare un intervento solamente sulla necessità del paziente di adattarsi alla propria mutata condizione; in una simile situazione, infatti, l’intera famiglia deve riequilibrare le proprie forze ed i legami al proprio interno. Questa operazione implica notevoli risorse ed energie da parte di tutti i componenti del nucleo familiare. Energie e risorse che non sempre sono prontamente disponibili.
Attraverso interventi conoscitivi atti ad indagare le caratteristiche di personalità dei singoli componenti e del sistema famiglia, lo psicologo può dunque facilitare e permettere un adeguato adattamento alle mutate condizioni ed esigenze. Tali interventi di supporto psicologico o anche di psicoterapia dovrebbero essere presi in considerazione ed iniziati già durante il periodo di degenza, ma non necessariamente potranno esaurirsi nel breve periodo di permanenza del paziente nei luoghi di cura. Molte sono le situazioni di difficoltà familiari nelle quali lo psicologo esercita una funzione importante. Le conflittualità tra parenti dei pazienti non sono la patologia bensì la norma; attendersi dai familiari un accordo pacifico, condivisione di scelte, equa distribuzione di ruoli e fatiche è solo un’utopia che porta a formulare erronei giudizi di valore ed a frustrare le aspettative degli operatori. Gli operatori si devono muovere all’interno delle complesse e implicite dinamiche familiari, ma spesso non sono stati formati per farlo con destrezza. Gli stessi operatori lamentano la maggior fatica nella gestione della comunicazione con le famiglie piuttosto che con il paziente stesso. Il ruolo dello psicologo può essere fondamentale nella formazione degli operatori alla tolleranza e alla gestione dei primi conflitti familiari.
Conclusioni
Lo psicologo rappresenta un elemento fondamentale per attuare l’approccio multidimensionale distintivo della geriatria, che include aspetti clinici, funzionali, cognitivi, affettivi, relazionali, spirituali, sociali, e che rappresenta il più efficace modo per raggiungere la comprensione della realtà del paziente nel momento in cui deve essere curato. Lo psicologo all’interno dei luoghi di cura deve sollecitare l’emergere dei dubbi nascosti nella complessità delle situazioni, piuttosto che semplificare e ridurre, senza rinunciare però, all’interno della naturale complessità delle cose, alla continua ricerca di una lettura unitaria, che cerchi di capire e spiegare i fenomeni che coinvolgono e ruotano intorno al paziente.
Bibliografia
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Copes A., Empolini M., Garbo P., Gasparotto L., Indiano A., Policastro P., Sturaro A., Tessari E., Veronese G. (2013). Ruoli e attività specialistiche dello psicologo nell’area anziani, (a cura di), Ordine degli Psicologi del Veneto .
Gambardella G. (2005), Gli psicologi nelle Aziende Ospedaliere: una ricerca sui Sevizi di Psicologia. In: De Isabella G., Reatto L., Zavaglia S. (Eds), La psicologia tra ospedale e territorio, Torino, Centro Scientifico Editore, pp.3-20.
Graziano A. (2007), Stress lavorativo: burn-out e mobbing in ospedale, Roma, Armando Editore.
Gruppo di Ricerca Geriatrica (2008), La famiglia nella realtà della malattia, Panorama della Sanità n.3, 28 gennaio 2008.
Payne R., Firth Cozens J. (1999), Lo stress negli operatori della sanità, Roma, Kappa.
Santinello M. (1990), La sindrome del burnout, Pordenone, Erip.
Saraceno C. (2003), Mutamenti della famiglia e politiche sociali in Italia, Bologna, Il Mulino.
Scortegagna R. (2005), Invecchiare. II edizione, Bologna, Il Mulino.