1 Settembre 2005 | Servizi intermedi

Il maltrattamento dell’anziano, un problema misconosciuto

Il maltrattamento nell'anziano

Introduzione

“La violenza contro gli anziani: un problema dimenticato”. Così titolava un editoriale di The Lancet pochi anni orsono, rilevando la nostra arretratezza nei confronti di questo problema, paragonabile alla posizione assunta vent’anni fa rispetto alla violenza contro i bambini e contro le donne (Nelson, 2002). Non c’è da stupirsi perciò se una ricerca condotta su cinque anni di letteratura internazionale, alla voce “child abuse” riporti 268 articoli, mentre alla voce “elder abuse” ne riscontri solo 26, ossia quasi dieci volte meno (Lachs e Pillemer, 1995). C’è da dire peraltro, che in tutte le principali testate mediche di lingua inglese negli ultimi anni, l’interesse verso questo argomento è notevolmente cresciuto, come pure sono aumentati i siti internet, anche a grande diffusione (come il sito della BBC), che forniscono dati, denunce, articoli e perfino elenchi di avvocati “specializzati nelle cause legali contro le Nursing Homes” (www.elderabuse.org.uk/;http://news.bbc.co.uk; http://www.who.int).

 

A questo interesse della letteratura medica e dell’informazione “laica” di lingua inglese, si contrappone il sostanziale silenzio della letteratura italiana, nella quale è riscontrabile un solo lavoro specificamente dedicato all’abuso contro l’anziano (Pasqualini e Mussi, 2001). Tuttavia la frequenza dell’abuso -ancorché sottostimata- e le sue ripercussioni drammatiche sulla salute fisica e psichica dell’anziano impongono di considerare il problema con estrema attenzione anche nel nostro Paese, in particolare per quanto riguarda le forme più sfumate di maltrattamento, come certe forme di costrizione o di trascuratezza.

 

Il nostro scopo pertanto è quello di mettere in luce incidenza, modalità, fattori favorenti, circostanze nelle quali più facilmente si verifica l’abuso, poiché solo conoscendo questi aspetti si potrà giungere ad una prevenzione e ad una riduzione del fenomeno. Compito sicuramente non facile, essendo l’autore dell’abuso quasi sempre il caregiver -familiare, oppure operatore delle istituzioni- ossia colui che per definizione dovrebbe garantire il benessere dell’anziano.

 

Definizione ed epidemiologia

Le più attuali definizioni di Maltrattamento dell’Anziano sono state riportate in un recente “Seminario” sull’argomento pubblicato su The Lancet (Lachs e Pillemer, 2004). Secondo la US National Academy of Sciences (2003) per “Elder Abuse” si intende “Ogni atto intenzionale che provoca danno o grave rischio di danno (voluto oppure no) a un anziano incapace di difendersi, da parte di un caregiver o di altra persona che intrattenga una relazione di fiducia con l’anziano stesso”.

 

Non molto differente la definizione della WHO Toronto Declaration On Elder Abuse del 2002, che parla di “Azione (o mancanza di azione appropriata) singola o ripetuta che si verifica nel corso di una relazione basata sulla fiducia, che causa danno o turbamento (distress) all’anziano”. “Azioni, omissioni o direttive che possano provocare pericolo o rischio di pericolo per la salute o il benessere di un anziano” è infine la più stringata definizione dell’American Medical Association risalente al 1992. Tranne quest’ultima, tutte le definizioni concordano nel porre come presupposto la relazione di fiducia tra l’anziano e il potenziale autore dell’abuso, sicché non si può parlare di abuso in senso stretto allorché ci si riferisce alla violenza compiuta da un rapinatore, mentre rientrano nell’abuso molti comportamenti -ancorché obiettivamente meno gravi- messi in atto dai familiari o dal personale di una Casa di Riposo (dando per scontato che con costoro l’anziano intrattenga relazioni di fiducia).

 

Com’è facilmente comprensibile, l’incidenza e la prevalenza del maltrattamento non sono immediatamente stimabili, essendo impensabile che tutti gli autori di maltrattamenti si autodenuncino spontaneamente. Tuttavia, anche con questa limitazione di base, la maggioranza delle ricerche condotte nei Paesi occidentali indica che tra il 4-6% degli ultrasessantacinquenni subisce più o meno incidentalmente una qualche forma di abuso (Lachs e Pillemer, 1995; Lachs e Pillemer, 2004) (Tab. 1).

Incidenza e prevalenza del maltrattamento in alcuni Paesi occidentali
Tabella 1 – Incidenza e prevalenza del maltrattamento in alcuni Paesi occidentali

Il fenomeno comunque non è limitato all’Occidente o ai Paesi più “sviluppati”: lo State of the World’s Older People 2002 segnala ad esempio che in molti luoghi dell’Africa la violenza contro i vecchi sta diventando vieppiù comune e che sono in aumento le violenze sessuali, in base alla credenza che i rapporti sessuali con gli anziani possano curare l’AIDS (Nelson, 2002). Un altro dato allarmante proviene dal Giappone, Paese nel quale vengono segnalati in costante aumento gli omicidi di vecchi disabili (soprattutto dementi) da parte di famigliari sottoposti a carico assistenziale eccessivo (Ohrui et al., 2005).

 

Classificazione

Il maltrattamento dell’anziano può esercitarsi attraverso varie modalità, riconducibili fondamentalmente alle seguenti (Tab. 2):

  • fisico
  • sessuale
  • psicologico
  • abbandono o negligenza
  • finanziario

Dalla tabella si desume che mentre alcune forme di maltrattamento rientrano francamente nell’ambito del codice penale, come gli atti deliberati di violenza o l’uso illegale delle risorse economiche dell’anziano, altre appaiono di collocazione più incerta, come ad esempio la mancanza di rispetto del senso del pudore, l’uso incongruo di procedure diagnostiche e terapeutiche, il ricorso ingiustificato alla contenzione, ecc. Si tratta di forme solo apparentemente meno gravi: in realtà possono dar luogo a patologie fisiche o psichiche di notevole portata, oltre che a una sofferenza psicologica assolutamente ingiustificabile. E purtroppo, scorrendo la casistica, non si può fare a meno di rilevare che il medico stesso non è affatto immune da comportamenti censurabili.

Modalità attraverso le quali può esercitarsi il maltrattamento
Tabella 2 – Modalità attraverso le quali può esercitarsi il maltrattamento

Quanto al contesto in cui si verifica la violenza, la grande maggioranza dei maltrattamenti avviene nell’ambito familiare; seguono le case di riposo e gli ospedali per acuti (Tab. 3).

Tabella 3 – Dove si verifica l’abuso (secondo Healthcare Commission della Camera dei comuni della G. B.)

Il maltrattamento in ambito famigliare

Numerosi fattori ambientali, sociali e personali -dell’anziano o del caregiver- concorrono a favorire la violenza. Secondo il già citato studio di Lachs e Pillemer cinque sono i principali fattori di rischio in questo senso:

  • Convivenza obbligata
  • Demenza con alterazioni comportamentali
  • Isolamento sociale
  • Malattia mentale e/o abuso di alcol da parte del caregiver
  • Marcata dipendenza (economica, ma non solo) del caregiver nei confronti dell’assistito.

Altri fattori, come l’abitazione inadeguata o la pregressa violenza al caregiver (magari da parte dello stesso assistito), hanno una frequenza meno elevata o un’importanza meno determinante. Da notare che fondamentale invece risulta spesso l’assenza di un’adeguata rete assistenziale, condizione che tende ad esasperare situazioni altrimenti controllabili (Tab. 4).

Principali fattori di rischio di abuso in ambito famigliare
Tabella 4 – Principali fattori di rischio di abuso in ambito famigliare

La demenza dunque gioca un ruolo fondamentale nell’indurre la violenza. Da uno studio condotto mediante questionario anonimo a 1000 caregiver che avevano interpellato un sito telefonico specializzato sulla demenza, dei 343 che hanno risposto, l’11,9% ha ammesso episodi di violenza fisica contro il proprio congiunto. In un terzo dei casi la violenza era stata commessa durante le attività di cura ed assistenza. L’abuso era direttamente correlato ai fattori di rischio già citati (Coyne et al., 1993).

 

Ma se è vero che l’anziano oggetto di violenza è generalmente un demente con gravi alterazioni del comportamento che necessita di assistenza e sorveglianza continuative, non sono rari gli episodi di violenza negli stadi pressochè iniziali della malattia: il caregiver non riesce a farsi una ragione del comportamento abnorme del famigliare e lo vede come un “dispetto” nei suoi confronti (il malato si sporca appena dopo esser stato cambiato, lascia aperti i rubinetti dopo che gli era stato raccomandato di chiuderli, ecc.). In queste prime fasi anche l’apatia del malato può provocare la reazione esasperata del caregiver. Per quanto riguarda quest’ultimo, non bisogna dimenticare che il caregiver, negli anni precedenti, può esser stato egli stesso vittima del comportamento dispotico -quando non fisicamente violento- del vecchio, contro il quale ora, più o meno consciamente, trova il modo di rivalersi.

 

Il maltrattamento nelle Istituzioni

Sul maltrattamento negli ospedali per acuti la letteratura è del tutto carente di riscontri. Ciò non significa naturalmente che il problema non esista; significa piuttosto che vi è un’assoluta reticenza ad affrontarlo. Abuso dei sistemi di contenzione, minacce, furti, trascuratezze, procedure terapeutiche e diagnostiche dolorose ed ingiustificate vengono puntualmente (e spesso con maligno compiacimento) riportati dalla cronaca, ma non sono mai stati oggetto di rigorosi studi su riviste scientifiche.

 

Un po’ meno reticenza all’autoesame e all’autocritica si riscontra nelle Case di Riposo (CdR) e benché anche in questo ambito i dati siano tutt’altro che numerosi, anche al loro interno o nelle altre residenze per anziani possono verificarsi tutte le forme di maltrattamento elencate a proposito del maltrattamento a domicilio. In un’inchiesta americana condotta in 577 CdR, il 10% degli operatori ammetteva almeno un episodio di violenza fisica nell’ultimo anno e il 40% un episodio di violenza psicologica (Pillemer e Moore, 1989). Peculiare peraltro delle CdR (ma sicuramente anche degli ospedali per acuti) è l’abuso di trattamenti sedativi. Sarcastico il commento su una pagina delle BBC News: “Ai pazienti vengono somministrati sedativi per fare in modo che trascorrano una notte tranquilla e che perciò anche il personale trascorra una notte tranquilla” (http://news.bbc.co.uk).

 

Più numerosi sono i lavori che prendono in esame gli “indicatori di maltrattamento” oppure le condizioni del personale che favoriscono il maltrattamento in CdR” (Tab. 5, 6 e 7).

Tabella 5 – Circostanze che fanno sospettare il maltrattamento
Tabella 6 – Indicatori di maltrattamento in Cdr
Tabella 7 – Condizioni del personale che favoriscono il maltrattamento dell’anziano in CdR

Le condizioni riportate nella tabella 7 dovrebbero suonare come campanello d’allarme rispetto all’impiego sempre più diffuso nel nostro Paese di Cooperative (non raramente improvvisate) quali erogatori d’assistenza. Senza voler demonizzare l’intero sistema, è indubbio che insufficiente preparazione del personale, turni massacranti, scarsa retribuzione economica si ritrovino più frequentemente tra il personale delle cooperative che non tra il personale direttamente dipendente (e direttamente formato) della CdR. Ma per ora nessun amministratore pare darsene pena.

 

Forme subdole di maltrattamento

Esistono infine delle forme meno clamorose di maltrattamento, ma non per questo meno deleterie. La prescrizione ingiustificata del riposo a letto; il confinamento dell’anziano in spazi ristretti, poco o per niente personalizzati, con l’obbligo di condividerli con numerosi altri ospiti, magari poco graditi; la mancanza di privacy; la mancanza di rispetto; la mancata risposta alle richieste d’aiuto e alla soddisfazione dei suoi bisogni; la sua totale impossibilità di intervenire sulla decisione del ricovero, come pure sulle scelte sanitarie e assistenziali; l’impedimento di lasciare la struttura, fanno tutte parte di un clima di reclusione, in cui il ricoverato può giungere a credere che l’abuso sia la norma. In questo senso è giustificato parlare di imprigionamento “de facto” (Macdonald et al., 2004).

 

Discussione

Di fronte a queste evidenze ci si chiede se non sia paradossale il fatto che una condizione tanto frequente e almeno in una certa misura prevenibile, non sia sottoposta a un regolare screening, al contrario di quanto avviene per i fattori di rischio di patologie anche meno comuni o meno invalidanti (Eisenstat e Bancroft, 1999). Ad esempio, identificare al momento del ricovero in CdR i soggetti che hanno sofferto di violenza domestica, sarebbe essenziale per stabilire con costoro dei rapporti corretti. E’ vero che non sono stati ancora messi a punto dei metodi sicuri e pratici per un valido screening del maltrattamento dell’anziano, tuttavia sembra assodato che i medici che hanno ben presenti i cinque principali fattori di rischio siano in grado di riconoscerlo.

 

A tutt’oggi comunque il maltrattamento dell’anziano rimane in larga misura misconosciuto. Lo dimostra il fatto che in una recente inchiesta inglese meno della metà dei medici generici ha diagnosticato almeno un caso di maltrattamento in un anno (Mc Creadie al., 2000). Per far fronte a questa carenza è stato proposto di inserire programmi di formazione sulla violenza domestica in tutte le scuole mediche americane. Ma mentre l’insegnamento sul child abuse si sta estendendo, quello sull’elder abuse è rimasto praticamente al palo (Lachs e Pillmer, 2004). E in Italia non risulta essere neppure preso in considerazione. Per ora quindi, onde contrastare il fenomeno, pare non si trovi di meglio che fare appello alla “sensibilità”, al “senso di responsabilità”, alla “solidarietà intergenerazionale”. Poco ci manca che non ci si affidi al “buon cuore” dell’operatore.

 

Di certo il maltrattamento dell’anziano non è ancora vissuto come problema medico, e non solo in Italia. Appare pertanto opportuno, per concludere, richiamare un Editoriale del British Medical Journal sull’Elder Abuse che sottotitola: “I medici devono (must, nel testo originale) riconoscerlo, ricercarlo e apprendere come prevenirlo” (Tonks e Bennet, 1999).

Bibliografia

Action on elder abuse. http://www.elderabuse.org.uk/

Coyne AC, Reichman WE, Berbig LJ. The relationship between dementia and elder abuse. Am J Psychiatry 1993; 150: 643-46.

Eisenstat SA, Bancroft L. Domestic violence. N Engl J Med 1999; 341: 886-92.

‘Half a million’ elderly abused. http://news.bbc.co.uk/1/hi/health/3639421.stm

Lachs MS, Pillemer K. Abuse and neglect of elderly persons. N Engl J Med 1995; 332: 437-43.

Lachs MS, Pillemer K. Elder abuse. Lancet 2004; 364: 1263-72.

Macdonald AJ, Roberts A, Carpenter L. De facto imprisonment and covert medication use in general nursing homes for older people in South East England. Aging Clin Exp Res 2004; 16 (4): 326-30.

McCreadie C, Bennett G, Gilthorpe MS, Houghton G, Tinker A. Elder abuse: do general practitioner know or care? J R Soc Med. 2000; 93: 67-71.

National Center on Elder Abuse. http://www.elderabusecenter.org/default.cfm

Nelson D. Violence against elderly people: a neglected problem. Lancet 2002; 360: 1094.

Ohrui T, He M, Tomita N, Sasaki H. Homicides of disabled older persons by their caregivers in Japan. JAGS 2005; 53: letter 553-54.

Pasqualini R, Mussi C. Come riconoscere e prevenire l’abuso nell’anziano. Giorn Geront 2001; 49: 42-47.

Pillemer K, Moore DW. Abuse of patients in nursing homes: findings from a survey of staff. Gerontologist 1989; 29: 314-20.

Tonks A, Bennet G. Elder abuse. BMJ 1999; 318: 278.

World Health Organization. http://www.who.int/violence_injury_prevention/violence/world_report/en/

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