Indizi
Primo indizio. Il “Contratto di governo” siglato – nel maggio 2018 – tra le forze della coalizione attualmente al potere contiene un insieme assai esteso di promesse, ben più numerose di quelle realizzabili. In materia di welfare, dedica ampio spazio a tutti i principali gruppi sociali potenzialmente interessati: pensionati, famiglie con figli, giovani e adulti con disabilità, ed altri. Tutti tranne uno, gli anziani non autosufficienti.
Secondo indizio. Le opposizioni hanno criticato l’introduzione di “quota 100”, sostanzialmente un pensionamento anticipato per alcuni 62enni, con diversi argomenti. L’onere eccessivo per il bilancio pubblico, la necessità di concentrarsi invece sulla creazione di lavoro, quella di dare priorità ai giovani ed altre. Nessuno, tuttavia, ha fatto notare che se si vuole sostenere la popolazione in età più avanzata bisogna potenziare l’assistenza agli anziani non autosufficienti, non le pensioni. Si tratta, peraltro, di un argomento piuttosto ricorrente in passato.
Credo sia difficile negare l’esigua attenzione oggi dedicata dalla politica alla non autosufficienza. Non si tratta “solo” del noto, e sempre più acuto, sotto-finanziamento dei servizi dedicati. Questo è il sintomo più visibile, mentre il più profondo tocca la progettualità e consiste nella frequente rinuncia a cercare migliori risposte alle esigenze degli anziani e delle loro famiglie. Tale disattenzione taglia trasversalmente, non senza lodevoli eccezioni, i diversi schieramenti politici così come i vari livelli di governo. Quali ne sono le ragioni?
Risposte che non convincono
Una nota interpretazione si riferisce ad un diffuso fenomeno di rimozione. La non autosufficienza, secondo tale lettura, non diventerebbe tema d’interesse prioritario per la politica perché la maggioranza della popolazione – composta da persone in altre fasce d’età – tenderebbe, appunto, a rimuoverla per una semplice ragione: nessuno di noi desidera ricordare che lui stesso potrebbe diventare, un domani, un anziano non autosufficiente. Tale spiegazione, secondo me, è risultata assai pertinente sino ad un recente passato mentre con il successivo mutamento demografico è progressivamente diventata meno calzante. Infatti, se – sino a qualche decennio fa – gli anziani non autosufficienti costituivano una parte del tutto minoritaria della società, oggi non è più così. Quasi tutti gli adulti hanno o hanno avuto un genitore fragile, oppure conoscono da vicino qualcuno che vive tale situazione. La non autosufficienza, dunque, non rappresenta più un fenomeno circoscritto al quale la maggior parte delle persone può non voler pensare, bensì una realtà già presente nella quotidianità di gran parte di noi. Fingere di non vederla, quindi, non è più possibile.
Un’altra risposta tocca il nodo degli stanziamenti. Si tratta dell’argomento, sovente evocato, secondo il quale non si investirebbe sulla non autosufficienza perché i vincoli della spesa pubblica lo impedirebbero. Seppure le difficoltà del bilancio pubblico siano evidenti, questa posizione non mi pare convincente e ho spesso la sensazione che venga utilizzata per non interrogarsi in profondità. Infatti, settori ritenuti prioritari hanno beneficiato, in anni recenti, di incrementi delle risorse dedicate. Inoltre, la debolezza dell’investimento politico riguarda – come detto – i finanziamenti così come la progettualità. Dunque, riformulerei così: i vincoli alla spesa pubblica rendono difficile, ma certo non impossibile, una maggiore attenzione verso la non autosufficienza da parte della politica.
Alla ricerca delle risposte giuste
Provo ora ad elencare quattro risposte possibili, che non si escludono tra loro. Primo, la mancanza di una domanda sufficientemente forte di migliori interventi da parte della popolazione interessata. Il modello italiano di assistenza pubblica si fonda su una bassa offerta di servizi ed un’elevata diffusione dell’indennità di accompagnamento, utilizzata perlopiù come contributo al costo delle assistenti familiari. Si tratta di un assetto che scarica sulla famiglia la responsabilità di organizzare l’assistenza (agendo, nella maggior parte dei casi, come “case manager” di se stessa) e che, sovente, richiede ai suoi componenti anche un significativo impegno diretto nel care dell’anziano fragile, così come un rilevante sforzo economico. È superfluo ricordare qui le svariate conseguenze negative che un simile quadro causa alle famiglie: seguendo l’ipotesi menzionata sopra, però, tutto ciò non produrrebbe nei soggetti coinvolti uno scontento tale da indurli a chiedere con vigore risposte pubbliche diverse e più adeguate.
Una simile tesi smentirebbe le previsioni a lungo elaborate da molti osservatori, me compreso, i quali ritenevano che con il susseguirsi di nuove generazioni di familiari curanti sarebbero aumentate le richieste di un migliore intervento pubblico. Si pensava, infatti, che l’intreccio tra crescente occupazione femminile, maggiore grado di istruzione e più elevate aspettative sulla possibilità di disporre del proprio tempo avrebbe spinto le persone coinvolte in questa direzione. Probabilmente, la mancanza di una domanda forte di risposte pubbliche si lega al complessivo venir meno delle aspettative di miglioramento della propria condizione – quasi una sorta di “rassegnazione” che tocca oggi la nostra intera società – ed al profondo radicamento dell’approccio familista alla cura nel nostro paese.
Secondo, la debolezza dei soggetti organizzati che dovrebbero veicolare la domanda di migliori interventi pubblici nei confronti della politica. Seguendo tale interpretazione, il problema risiederebbe nell’inadeguata influenza degli attori sociali a tutela degli anziani non autosufficienti e delle loro famiglie. E’ un fenomeno, peraltro, comune all’intera Europa: tutte le ricerche comparative sottolineano la loro ben minore capacità di pressione politica rispetto alle associazioni che rappresentano giovani e adulti con disabilità. I principali attori sociali interessati all’insieme della popolazione anziana non autosufficiente sono i sindacati dei pensionati. Questi ultimi erano, in passato, concentrati sulla rappresentanza degli anziani in quanto pensionati (quindi beneficiari della previdenza) e non come persone potenzialmente non autosufficienti (dunque utenti di Long-Term Care). Sebbene negli anni la loro capacità di tutelare chi versa in questa condizione si sia progressivamente rafforzata, tale cammino non avrebbe – in base a questa lettura – ancora prodotto i frutti sperati.
Terzo, il limitato numero di solide proposte di miglioramento e/o di vera e propria riforma da proporre a chi decide. La mia professione di ricercatore applicato mi porta a sentire particolarmente questo tema. A volte ho l’impressione che siano più chiari i problemi sul tappeto – le criticità dei servizi esistenti e la natura dei bisogni insoddisfatti – rispetto alle strade da intraprendere allo scopo di affrontarli. Inoltre, anche quando abbiamo idee spendibili per il cambiamento, non sempre le sappiamo spiegare con un linguaggio accessibile ai non addetti ai lavori, condizione necessaria per promuoverne l’interesse al di fuori dei nostri abituali circoli. Evidentemente, a questa criticità non è estranea l’attuale configurazione del mondo accademico, che in prevalenza non comprende tra i propri obiettivi l’elaborazione di idee utili al miglioramento delle politiche e dei servizi.
Quarto, la competizione tra settori del welfare. Negli ultimi anni, a livello nazionale la non autosufficienza ha sofferto la priorità assegnata al sostegno dei disoccupati e, soprattutto, alla lotta contro la povertà. A livello regionale, invece, in numerose realtà il mondo della sanità acuta ha teso a riaffermare la propria prevalenza economica e culturale rispetto al sociosanitario come reazione difensiva davanti ad un ridotto adeguamento del Fondo Sanitario Nazionale. L’esistenza di forme, di fatto, di competizione per la distribuzione delle risorse tra diversi settori del welfare è legata alla coesistenza tra i vincoli dovuti all’elevato debito pubblico, lo storico sotto-finanziamento di molte aree dello stato sociale – oltre alla non autosufficienza, pensiamo a disoccupazione, povertà e sostegno al costo dei figli – e, più recentemente, la scarsa attenzione destinata al Fondo Sanitario. La presenza di questa competizione non è un destino, ma negli anni recenti ha avuto luogo.
La complicata relazione tra politica e anziani non autosufficienti rappresenta, senza dubbio, uno snodo cruciale. Ho provato qui a proporre alcune spiegazioni delle difficoltà che vive questo rapporto, ma il tema meriterebbe un ben maggiore approfondimento. Chi volesse proporre le proprie riflessioni su I luoghi della cura online è benvenuto.