1 Aprile 2019 | Professioni

Il fundraising nel settore socio sanitario: nuovo ruolo professionale dalle molteplici prospettive

Gli enti assistenziali e socio sanitari che si affidano a professionisti della progettazione e della raccolta fondi per lo sviluppo e l’implementazione delle proprie attività sono in aumento. Il fundraising è un ambito di lavoro connotato da diverse prospettive, che bene si presta a supportare la stessa governance degli enti.

Fundrraising

Il termine fundraising viene spesso tradotto nei servizi socio assistenziali, sociosanitari e in generale nell’area no profit nel troppo semplicistico “raccolta fondi”. Nell’etimologia del suo significato originale assume altro significato.

 

To raise significa far sorgere, coltivare: si tratta di un verbo che porta con sé l’idea di sviluppo, di crescita. Non solo marketing o tecniche comunicative per raccogliere fondi da privati o istituzioni, ma investimento strategico in grado di coinvolgere nell’azione stessa le persone e le realtà che aderiscono e credono nella causa espressa, nella credibilità e affidabilità dell’ente che la promuove, nell’idea di strategie future che essa porta con sé.

 

Spesso predomina la convinzione che tale attività sia appannaggio di associazioni di volontariato o organizzazioni che operano in situazioni di emergenza. Tale considerazione è smentita da nuove tendenze in essere.

 

In un contesto in cui le risorse per gli enti no profit sono sempre inferiori nasce così una nuova professionalità, un nuovo modo di sviluppare ricerca e sviluppo: l’area “progetti e fundraising”.
Per gli enti socio assistenziali il concetto abbraccia non solo l’idea di uno scambio gratuito, ma si colloca in una cornice composta da progettazione, pianificazione e strategie di governance.
L’orizzonte di riferimento è la consapevolezza che fondamento giuridico e normativa rappresentino la prima risorsa per gli enti socio assistenziali. Un’associazione che raccoglie fondi, ma non beneficia delle risorse dovute per legge rappresenta un paradosso del fundraising.

 

Il fundraiser deve attivarsi per consentire un incremento della qualità e della varietà delle prestazioni: mai deve sostituire tali risorse con i diritti garantiti che vanno salvaguardati e rispettati ai sensi del welfare istituzionale. Gli enti stessi devono poter gestire questo connubio.

 

Il welfare non è un dono. La redistribuzione di risorse raccolte tramite il sistema fiscale è essenziale e costitutivo dei compiti dello Stato. Così si dovrebbe evitare che strati di cittadini siano emarginati e lasciati soli (così gli anziani, i poveri, le famiglie fragili, le persone disabili). Senza la redistribuzione di beni comuni come istruzione, salute, tutela della stabilità economica nella vecchiaia e senza i servizi di assistenza e il sostegno del welfare pubblico lo Stato condannerebbe i propri cittadini a essere soggetti diseguali1.

 

L’assunto di base per un maggior riconoscimento del valore del fundraising operativo è concepire il professionista della progettazione come una figura istituzionale. Coloro che la sperimentano mettono in pratica un sistema in cui l’incarico chiaro è il mandato di supporto all’area dirigenziale nella proiezione futura e nella programmazione di ciò che l’ente mira a intraprendere/implementare e delle sinergie da promuovere.
La progettazione finalizzata alla raccolta fondi va pertanto preventivata e messa in pratica, non riguarda semplici progetti, ma innovazione e cambiamento culturale negli enti che vi investono.
Il lavoro di stesura di un progetto inteso in senso lato è lo strumento di analisi e riflessione metodologica garantito, al di là degli esiti del processo.

 

Le origini del fundraising

Oggi sempre più gli enti no profit si affidano a professionisti della raccolta fondi per sviluppare sperimentazioni. Per secoli in questo settore hanno predominato quasi unicamente gli enti religiosi, impiegati in attività in grado di mobilitare donatori e donazioni. Dal XVIII secolo la filantropia assume connotazioni laiche con lo sviluppo del concetto di società civile.

 

La filantropia moderna deriva da un nuovo modo di concepire l’uomo e le sue volontà. Non solo persone razionali e liberi delle proprie scelte, ma anche cosmopolite e in grado di affrontare molteplici esperienze. Da ciò un approccio diverso all’atteggiamento del donare. La filantropia successivamente si è evoluta con lo sviluppo della società del benessere e in un primo momento si può dire che abbia rappresentato il segno della prosperità dei tempi e delle civiltà (in accordo con la crescita economica, lo sviluppo industriale e nuove concezioni economiche).

 

Per quanto sia innegabile che le donazioni risentono di fasi di crisi e prosperità dei tempi, la spinta innata della società stessa ad individuare risorse supera tali periodi storici.
Ciò che viene ricercato nella progettazione è la possibilità di percorsi di ricerca, studio, sperimentazione scientifica, verifica e validazione di impatti e risultati, oltre che l’individuazione di risorse economiche atte alla loro realizzazione.

 

I dati mostrano come l’ambito delle donazioni sia un importante “mercato” in cui gli interventi dei professionisti individuano canali appropriati alle specificità degli enti no profit, senza trascurare l’aspetto valoriale e fiduciario delle stesse. In Europa le erogazioni per interventi di pubblica utilità portano complessivamente ad investimenti di circa 60 miliardi di euro l’anno provenienti da oltre 140.000 tra donatori e fondazioni. In base alla stima elaborata da European Research Network on Philanthropy (2017) possiamo collocare l’Italia tra i Paesi più generosi. È infatti al secondo posto in Europa con 7,2 miliardi donati da individui (dopo il Regno Unito con oltre 16), mentre è in quinta posizione per le donazioni erogate da enti quali imprese e fondazioni, pari a 1,9 miliardi (dopo Germania 17,2; Regno Unito 6; Francia 4,4 e Svizzera 2,2).

 

Si tratta di un tema oggi attuale nello scenario del Terzo Settore tanto che lo stesso D.Lgs. 117/2017, la Riforma del Terzo Settore, assegna piena legittimità giuridica all’attività di raccolta fondi, riconoscendo il ruolo di professionisti e volontari per il sostentamento economico delle organizzazioni e ammettendo il fundraising anche come attività svolta in forma organizzata e continuativa.
Questa normativa, in corso di modifiche, circolari di dettaglio e adeguamenti, tratta espressamente dell’argomento, a livello civilistico, prevedendolo tra le attività svolte dagli enti del terzo settore stesso accanto a quelle di interesse generale – il core del no profit – e a quelle denominate “diverse”. L’articolo 7 viene così in modo specifico dedicato a tale tipologia di attività:

Articolo 7

  1. Per raccolta fondi si intende il complesso delle attività ed iniziative poste in essere da un ente del Terzo settore al fine di finanziare le proprie attività di interesse generale, anche attraverso la richiesta a terzi di lasciti, donazioni e contributi di natura non corrispettiva.
  2. Gli enti del Terzo settore, possono realizzare attività di raccolta fondi anche in forma organizzata e continuativa, anche mediante sollecitazione al pubblico o attraverso la cessione o erogazione di beni o servizi di modico valore, impiegando risorse proprie e di terzi, inclusi volontari e dipendenti, nel rispetto dei principi di verità, trasparenza e correttezza nei rapporti con i sostenitori e il pubblico, in conformità a linee guida adottate con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentiti la Cabina di regia di cui all’articolo 97 e il Consiglio nazionale del Terzo settore.

Il tema viene trattato inoltre anche a livello fiscale presentando dettagli specifici sia relativamente alla raccolta pubblica di fondi che alle sponsorizzazioni da parte di realtà profit verso cause specifiche.

 

Un unico ambito, molteplici prospettive operative

Fundraising, project management, area ricerca e sviluppo sono solo alcune delle terminologie usate per identificare un settore che ha assunto negli ultimi anni livelli di qualità e standard significativi. Un’attività diventata strategica per tante realtà e all’interno dell’organico degli enti stessi. Originariamente appannaggio di consulenti retribuiti a provvigione, oggi la presenza di fundraiser che operano con la c.d. retribuzione a percentuale appare un fenomeno in netta diminuzione, proprio perché si sta sempre più consolidando la convinzione che tale attività sia una questione metodologica.

 

Se i diritti delle prestazioni vanno garantiti e salvaguardati con l’emanazione di normative e quadri di riferimento legislativi, l’incremento della qualità dei servizi e la loro adattabilità alle realtà di riferimento possono essere realizzati anche con una progettazione che dall’analisi del bisogno porti ad un focus sulle risorse attraverso studi di fattibilità multidimensionali.

 

Il settore socio sanitario è l’ambito in cui la progettazione assume il livello più elevato quale strumentazione strategica per la sostenibilità e la qualità.

 

Progettare vuol dire confrontarsi con strategie e aspirazioni coniugandole con la volontà di investire in soluzioni innovative. Tale attività porta al confronto con una realtà che richiede misurazioni dei processi e risorse limitate per l’innovazione. Ciò evidenzia la necessità dell’importanza di un cambiamento anche culturale che il progettista può favorire all’interno dell’ente.

 

È da rigettare l’dea del “progettificio”: bandi e richieste di contributo devono invece rappresentare alcuni degli strumenti per attivare il processo verso la causa desiderata.

 

Una pianificata e precisa progettazione utilizza metodologie sempre più raffinate legate al project management che tanto derivano dalle culture aziendali e coniugano insieme paradigmi multidimensionali che:

  • partendo da concetti di vision e mission dell’ente
  • vengano messi in pratica con un preciso studio di fattibilità in termini economici e temporali
  • valutino rischi e benefici potenziali
  • valutino partneship e reti
  • stringano sinergie (tecniche e politici/valoriali)

 

L’esito di questa complessa pianificazione non si riassume nella mole di importi raccolti o nell’esito del bando, bensì nell’attività svolta che rappresenta di per sé il momento topico.

 

La riprogettazione in seguito ad un esito negativo può essere ancor più fruttuosa, l’approvazione può rappresentare l’opportunità di avvio o la presa di coscienza effettiva di un “fallimento ideale”. Accanto al “cosa” e al “quanto”, un valore aggiunto ma sostanziale del project manager è il “come” vengono perseguiti gli obiettivi creando, tessendo e mantenendo rapporti con le persone implicate (altri professionisti e stakeholders).

 

Gli ambiti di azione maggiormente significativi in un’ottica gestionale, in riferimento a strategie pianificate di fundraising, possono essere identificare in 3 macro aree: le raccolte da donazioni individuali, da aziende e da enti di erogazione.

Fundraising: le tre macroaree della raccolta fondi
Box 1 – Le tre macroaree della raccolta fondi

 

Fundraising come raccolta donazioni

In base agli ultimi dati dell’Italy Giving Report – IV edizione – realizzato da Vita con il sostegno di myDonor e Associazione Italiana di Fundraising –  il valore delle donazioni degli italiani elaborato in base alle dichiarazioni 2017 mostra un valore in crescita, +9,5% rispetto all’anno precedente.

È un dato molto significativo per una analisi generale. Le donazioni da privati sono ancora un’area molto significativa per molti dei servizi socio assistenziali.

 

La raccolta sporadica e improvvisata non rientra in ciò che professionalmente viene riconosciuto come fundraising in quanto non è attività misurabile o valutabile e non rappresenta quindi uno strumento strategico “aziendale”.
Anche gli enti socio assistenziali deputati alla tutela dei diritti garantiti dallo Stato attivano campagne di raccolta fondi attraverso donazioni da singoli individui che presentano alcune peculiarità:

  • i donatori spesso sono persone che hanno usufruito delle prestazioni stesse per sé o i propri cari e, grazie ad un impatto positivo, proseguono fidelizzati;
  • i donatori sono in numero inferiore rispetto ai potenziali soggetti disponibili a donare in altri settori e circostanze (per esempio in situazioni emergenziali) ma appaiono maggiormente attivi e partecipi (rari sono i donatori occasionali);
  • spesso le campagne vengono attivate in collaborazione con realtà più informali (quali le associazioni di volontariato che gravitano intorno ai servizi stessi) proprio per valorizzare il valore aggiunto delle attività e delle proposte.

 

Sponsorizzazioni, corporate fundraising e responsabilità sociale di impresa

Un altro aspetto molto significativo è il rapporto del no profit con il mondo profit, spesso coinvolto quale soggetto donatore o sostenitore di cause sociali.

 

Le aziende possono agire come sponsor (rappresentando così un interlocutore di un rapporto commerciale) o fare della responsabilità sociale di impresa uno dei propri piani di azione.

L’ente non profit non deve “vendere” la sua immagine o un beneficio, ma deve attivare una collaborazione e sinergie volte a creare benefici per entrambe le realtà, creare valore sociale condiviso, promuovere cultura di nuove partnership per favorire sviluppo, coesione e inclusione attraverso l’attivazione di diversi canali, in cui il non profit deve mantenere un ruolo preciso e decisivo.

 

Il sostegno a specifiche iniziative sociali e l’interazione con la comunità locale sono solo alcune delle iniziative che per una azienda rientrano nel concetto di Corporate Social Responsibility che il Libro Verde della Commissione Europea, edito nel 2001, definisce: “L’integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali e ambientali delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei rapporti con le parti interessate”. In questo quadro di attenzioni e strategie si collocano anche i rapporti e gli investimenti sociali in un’ottica di partecipazione e sostenibilità futura.

 

Fundraising, progettazione e enti di erogazione

Il fundraising nell’ambito della progettazione e il rapporto con differenti realtà erogatrici rappresenta l’aspetto più idoneo ad una sua applicazione quale strumento strategico aziendale.

In base alle specifiche caratteristiche di ciascuna tipologia di enti erogatori è possibile designare il loro specifico ruolo.

 

L’affermarsi e l’operatività di enti sostenitori è un fenomeno internazionale che in Italia si traduce in una classificazione che vede tali enti privati, Fondazioni, così classificabili:

  • Fondazioni operative, che erogano servizi e prestazioni – non significative ai sensi della presente analisi
  • Fondazioni che finanziano la ricerca: settore sanitario e scientifico
  • Fondazioni erogatrici con metodologie differenziate e per specifici progetti.

 

Nel panorama europeo le fondazioni sono circa 130mila, in crescita e superiori agli Stati Uniti in cui il numero non sfiora i 90.000. Secondo i dati ISTAT, in Italia le fondazioni private e pubbliche attive sono passate dalle 4.720 del 2005 alle 6.400 del censimento 2017, di cui circa il 20% di matrice erogativa. In questa categoria appare rilevante individuare alcune specificità.

 

88 sono di origine bancaria e rappresentano una particolarità italiana. Si tratta di fondazioni correlate a realtà bancarie (da cui si sono distinte ai sensi della Legge Amato del ’90) che agiscono prevalentemente per bandistica e circoscrivono il loro intervento su specifici territori di riferimento. Sempre più appaiono attivarsi per creare alleanze e divenire promotori di progetti di rilievo a livello nazionale.
Secondo le analisi annuali fornite dall’ Associazione di Fondazioni e Casse di Risparmio, 47 sono situate nell’area Nord di Italia, 18 sono definibili di grande dimensione e di queste 5 si trovano nel Nord Ovest con un valore medio del patrimonio di circa due volte e mezzo la media generale (1.087 milioni di euro contro 452). Al Sud e Isole, invece, per ragioni storiche le Fondazioni sono solo 11 con un patrimonio medio di 181 milioni di euro, al di sotto della metà del dato generale.

 

Si tratta di entità sempre più attive che puntano a creare competenze e culture nuove nel no profit affinché il rapporto erogatori/beneficiario non presenti caratteri di dipendenza economica, ma porti a innovazione e pianificazione sperimentale. Anche in riferimento a ciò si evince l’importanza della progettazione come strumento di governance e cambiamento.

 

La libertà di intervento delle fondazioni bancarie, identificata nelle singole linee programmatiche, non è assoluta ma circoscritta ad una serie di ambiti previsti dal D. Lgs 17/5/1997 e dal D. Lgs.12/4/2006. L’area in cui si concentrano maggiori risorse attualmente è “Arte, attività e beni culturali”, seguita dall’area “Socio assistenziale” – 236,9 milioni di euro – all’interno della quale la maggioranza assoluta delle risorse è relativa all’area disabilità.

Versamenti delle Fondazioni di origine bancaria per l'Area socio assistenziale
Figura 1 – Importi investiti dalle fondazioni di origine bancaria nell’area socio assistenziale, per destinatari (milioni di euro)
Fonte: ACRI, XXIII Rapporto sulle fondazioni di origine bancaria – Anno 2017

 

Un’altra tipologia di ente erogatore molto significativa soprattutto nell’ottica di una cultura del dono e di supporto alla progettazione sono le fondazioni di comunità. Attualmente sono 37 e sono sorte in anni differenti (le prime quelle di Lecco e Como) per rispondere ai bisogni di una specifica comunità, un territorio (provinciale), e facendo pieno riferimento al concetto di bene comune.

 

Queste realtà hanno avuto origine negli Stati Uniti e fino alla fine degli anni ’90 non hanno visto sviluppo in alcun altra zona del mondo. Lo scopo originario era di canalizzare erogazioni provenienti da trust bancari promossi da soggetti facoltosi al fine di realizzare attività caritatevoli. Attualmente negli Stati Uniti il panorama dei dati forniti dal Foundation Center ne presenta circa 700.
In Italia, seppure con una presenza molto inferiore, rappresentano attori molto significativi in quanto sono chiamate ad approfondire la specifica realtà di riferimento, conoscerne i bisogni e le caratteristiche in modo da sapervi incidere efficacemente. Non solo erogano finanziamenti, ma offrono servizi sia a potenziali donatori sia alle realtà non profit.

 

Significativo nello scenario degli enti di erogazione anche le fondazioni di Impresa, enti privati che sorgono per volontà di una o più imprese collegate ai fini di promuovere il desiderio dei soggetti fondatori di sostenere specifiche cause sociali, ma che per forma giuridica e volontà costitutiva assumono connotazioni proprie. Costituiscono un binomio inscindibile con l’azienda da cui originano, ma dalla quale si distinguono per autonomia di gestione e diverso grado di indipendenza.

 

Altro ente privato erogatore e fortemente connesso a una specifica mission sono le fondazioni di famiglia: costituite per rispondere alla volontà di una o più persone appartenenti ad una famiglia di preservare e/o dare continuità al patrimonio dedicandolo a progetti sociali e solidaristici. Spesso sorgono in occasione di una perdita o per uno specifico coinvolgimento personale.

 

Fondazioni di impresa e fondazioni di famiglia pur essendo poco più di 150 su un totale di 6.400 erogano ogni anno circa 200 milioni per realizzare interventi di innovazione sociale. Secondo i dati più recenti elaborati dall’Istituto di ricerca e business school internazionale INSEAD, nel 2016 in Italia le fondazioni corporate hanno gestito in autonomia il 37% dei progetti determinando valore aggiunto e innovazione. Le principali aree di intervento a livello nazionale ed europeo (secondo i dati Cecp – Committee Encouraging Corporate Philanthropy) sono salute e istruzione, con un focus sulle attività a favore della la fascia d’età inferiore ai 12 anni.

 

La strategia unitaria del fundraising per un chiaro e definito ambito di azione

Gli scenari illustrati sono solo alcuni degli aspetti di una complessa attività che in base all’operatività, alla strategia e alla visione di governance, possono essere declinati con la creatività e “flessibilità” della natura del servizio e delle sue prospettive di azione.

 

Ciò che accomuna le prassi sintetizzate, oltre l’obiettivo economico, è la volontà strategica di supportare la pianificazione e la direzione, per una start up istituzionale (una nuova area di servizi) o un incremento delle prestazioni (per un ente con una attività consolidata).

 

In un sistema in cui appaiono sempre più carenti le risorse pubbliche, il fundraising può quindi rappresentare uno strumento metodologico decisivo. Se programmato e preventivato con obiettivi chiari – monitorabili e valutabili – consente l’incremento delle prestazioni, della qualità e una più efficace gestione dell’ente stesso.

 

Foto di StartupStockPhotos da Pixabay

Note

  1. Vello P.M., Martina Reolon M. (2014), La società generosa, Feltrinelli/Vita.it, p. 97.

Bibliografia

ACRI – Associazione Di Fondazioni e di Casse di Risparmio Spa (2018), XXIII Rapporto sulle fondazioni di origine bancaria – Anno 2017, Roma, ACRI.

Bortoluzzi Dubach E. (2014), Lavorare con le fondazioni. Guida operativa di fundraising, Milano, Franco Angeli Edizioni.

Hoolwerf B., Schuyt T. (eds.) (2017), Giving in Europe, European Research Network on Philanthropy – ERNOP.EU Publication.

Vello P.M., Reolon M. (2014), La società generosa, Milano, Feltrinelli/Vita.it.

Vita (a cura di) (2019), Italy Giving Report IV edizione, Vita.it.

 

Sitografia
www.acri.it
www.assifero.it
www.istat.it
www.italianonprofit.it
www.secondowelfare.it

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