1 Settembre 2006 | Professioni

La laurea specialistica per le professioni sanitarie: indicazioni per l’uso

La laurea specialistica per le professioni sanitarie

A due anni dall’attivazione della Laurea Specialistica in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche, nonostante ci si consideri ancora all’interno di un percorso sperimentale (pertanto in continua evoluzione) e di un dibattito aperto, è utile fare qualche bilancio per valutare i progressi, i problemi e rilanciare le sfide aperte.

 

I numeri

Per la Classe I delle lauree specialistiche (infermieri, infermieri pediatrici ed ostetriche), sul nostro territorio nazionale sono attivi 23 Corsi. All’ottobre del 2005 hanno presentato domanda di iscrizione più di 10.000 studenti a fronte degli 870 posti teoricamente disponibili, con un rapporto di circa 12 domande per ciascuna sede (con numeri profondamente diversi: dalle 80 domande per la sede di Roma Sapienza alle 15 della sede di Pavia) (Mastrillo, 2005) e abbiamo già i primi laureati specialistici.

 

I numeri di questi primi anni sono destinati, probabilmente, a rimanere un fenomeno isolato perché è stata data, a chi già aveva il Diploma di Dirigente e Docente dell’Assistenza (DDSI, DAI, IID) la possibilità di acquisire la laurea Specialistica con un percorso in genere ad hoc, caratterizzato da un impegno molto variabile da sede a sede. Il bisogno di laureati specialistici dipende dalle funzioni che andranno ad esercitare: in generale, una stima realistica prevede di riuscire a formare un numero di laureati che oscilla dall’1,5 al 3% degli infermieri. Il numero dipende anche dal valore che si attribuisce alla laurea: se come a nostro avviso dovrebbe essere, il titolo ha solo un significato culturale, da spendere quindi con valore ed in situazioni diverse, allora i numeri possono essere relativamente elevati; se invece diventa un requisito per l’accesso a posizioni dirigenziali, necessariamente questo comporterà una contrazione degli attuali numeri.

 

Le competenze

Pur nella diversa impostazione e nei diversi pesi dati alle singole discipline, le principali aree sviluppate nei programmi dei corsi sono quella della Organizzazione e gestione, della Didattica e formazione e della Ricerca. L’insegnamento della clinica, che pure ha un peso importante, assume connotazioni diverse da corso a corso: dove viene considerata un insegnamento a sé, con esami formali per ciascuna disciplina clinica, dove invece (come nell’impostazione di Torino) un elemento di integrazione-raccordo tra i contenuti teorici del management, della didattica e della ricerca e i diversi contesti clinico-assistenziali nei quali questi contenuti vengono poi applicati, nel tentativo di integrare, sin dall’aula, teorie e contesti.

 

Quali siano le competenze del laureato specialista è la domanda che ci siamo posti tutti all’inizio di questo percorso. Uno dei nodi del dibattito sta nel chiedersi se si debbano formare anche infermieri clinici con competenze avanzate o solo infermieri con competenze organizzative/formative da spendere nella gestione o nella didattica. Nessun dubbio invece sul fatto che a tutti debbano essere fornite competenze di ricerca, anche se la formazione alla ricerca, in particolare, è notevolmente disomogenea nei diversi corsi.

 

L’orientamento attuale sembra essere (anche in virtù di una domanda pressante da parte di persone che già occupano posizioni didattiche o organizzative per la cui conferma è richiesto il titolo di Laureato Specialistico, o per effetto dei requisiti richiesti dalla legge 43 del 1 febbraio 2006) quello di privilegiare queste due competenze. In un futuro, non troppo lontano, quando sarà esaurito questo tipo di richiesta, ci si dovrà interrogare se continuare a tenere questo orientamento, e come differenziare i contenuti della laurea specialistica da quelli che vengono offerti dai master di primo e secondo livello, sia clinici che organizzativi (o orientati a didattica e tutorato, ricerca). Se, ad esempio, lasciare tutta l’area clinica ai corsi di master di I e II livello per lo sviluppo di competenze infermieristiche cliniche specifiche ed avanzate, oppure tenere la clinica anche nella laurea specialistica; anche nel caso di una forte caratterizzazione manageriale e didattica, sarà opportuno che il curriculum del corso faccia riferimento ai problemi di salute delle persone.

 

In una recente pubblicazione (Saiani e Brugnolli, 2006) viene proposta (anche in base alla letteratura) una classificazione di cinque livelli di management nell’infermieristica: I livello, gestione dell’assistenza a gruppi di pazienti; II livello, o middle management, caposala; III livello apicalità di una struttura complessa; IV livello, top manager, direttore di un servizio infermieristico aziendale; V livello posizione presso il Ministero o Regione, con la funzione di elaborare politiche regionali o nazionali. Più si eleva il livello, meno è presente la necessità di una specificità professionale e di competenze cliniche. Anche se la divisione è artificiosa, si può ipotizzare che il master di Organizzazione potrebbe fornire le competenze per occupare la posizione del “caposala” (II livello), la laurea specialistica per l’apicalità di una struttura complessa, riservando i livelli di top management ai master di II livello.

 

E’ attualmente difficile distinguere per contenuti ed approfondimenti, i programmi dei master di organizzazione da quelli di management della laurea specialistica. I master di organizzazione rappresentano un percorso anomalo data l’attuale caratterizzazione manageriale delle lauree specialistiche. E’ infatti indubbio che un laureato specialistico possa anche svolgere ruoli di management e coordinamento anche a livello di unità operative. E’ fondamentale, già in questo periodo di avvio, fare chiarezza su questi aspetti, per poter differenziare le competenze (ed i contenuti) da fornire e fissare i prerequisiti di accesso.

 

L’Organizzazione Americana degli Infermieri Dirigenti (AONE) (www.aone.org) declina le competenze da possedere a livello dirigenziale. Molti dei programmi di management delle lauree specialistiche propongono invece contenuti generali, fortemente improntati ad una cultura aziendale, e vengono poco approfondite le tematiche del management infermieristico, quali la gestione dei problemi dei dipendenti, lo sviluppo della ricerca a livello aziendale, l’attivazione di modelli organizzativi, le modalità innovative di valutazione dei carichi di lavoro, le strategie per trattenere in servizio il personale ecc. (Saiani e Brugnolli, 2006).
Il problema rimane ancora, in parte aperto, perché i diversi livelli di percorso ed i contenuti si caratterizzeranno meglio quando avremo completato tutte le tappe dell’iter formativo (non abbiamo ancora i master di secondo livello e i dottorati di ricerca): al momento, una certa sovrapposizione tra diverse offerte formative (master e lauree specialistiche) può essere considerata quasi fisiologica.

 

Laurea specialistica e formazione alla ricerca

La laurea specialistica ha rappresentato, nell’immaginario e nel progetto di molti, il trampolino per far fare un salto culturale ai professionisti della classe I, anche attraverso la ricerca. Il miglioramento della preparazione alla ricerca nei corsi di laurea di base, consentirà di passare, nei corsi di laurea specialistica, dall’insegnamento dei contenuti di base all’applicazione ed alla riflessione critica sulla ricerca, alla stesura di progetti e alla produzione di lavori.

 

La tesi può rappresentare una buona opportunità per sviluppare competenze di ricerca. Nella sede di Torino, in via sperimentale, agli studenti non viene chiesta la tradizionale tesi, ma lo standard di qualità è costituito da un articolo che deve avere i requisiti necessari per essere accettato da una rivista infermieristica italiana o straniera. Scrivere un articolo richiede probabilmente più lavoro che non la stesura di una tesi tradizionale. L’obiettivo è anche di favorire la divulgazione di lavori che, nella maggior parte dei casi, rimarrebbero nel cassetto, aprire un confronto nella comunità professionale, esplicitare il livello qualitativo atteso.  Il passo successivo sarà il dottorato di ricerca, il cui prodotto dovrebbe essere un lavoro di ricerca originale, che contribuisce allo sviluppo o approfondimento di teorie e di conoscenze nell’assistenza infermieristica, pediatrica o ostetrica.

 

Laurea di classe e laurea di settore: i problemi aperti

La laurea specialistica è l’occasione per avere nella stessa aula le tre componenti della classe I: infermiere/i, infermiere/i pediatrici ed ostetriche/ci, e migliorare pertanto i processi di integrazione tra le professioni. L’organizzazione per classi delle professioni e delle lauree sanitarie rappresenta il tentativo di recuperare l’eccessiva frammentarietà conseguente all’istituzione di ventidue profili professionali e lauree sanitarie. All’interno della classe si dovrebbe avviare un processo di ricomposizione su alcuni aspetti trasversali che dovrebbero accomunare la classe.

 

In realtà la spinta nel mondo delle professioni sanitarie sembra essere piuttosto quella della differenziazione e divaricazione. In questo senso si avverte qualche difficoltà anche all’interno delle lauree specialistiche. In particolare, l’aspetto critico si evidenzia laddove si cerca di integrare l’aspetto clinico con quello manageriale e didattico: ovviamente un infermiere pediatrico è meno interessato ad una lezione del neurologo sul paziente con ictus, così come anche un’ostetrica ad approfondire i contenuti clinici e di fisiopatologia dello scompenso cardiaco. Questo è un problema risolvibile con un’organizzazione didattica che permetta agli studenti di applicare quanto stanno imparando ai propri ambiti professionali, tenendo presente che la laurea specialistica non è il luogo di apprendimento di ulteriori conoscenze cliniche, per le quali sembrano più adatti i percorsi di master.

 

Istruzioni per l’uso?

Quando alcuni Colleghi chiedono se sia preferibile frequentare un master in organizzazione, tutorato o ricerca o la laurea specialistica, la risposta può essere articolata diversamente. La laurea specialistica è un’occasione importante di approfondimento. La scelta dipende ovviamente dagli obiettivi, ma anche dal livello di esperienza e conoscenza pregressa.

 

L’infermiere clinico esperto, che si è tenuto aggiornato e vuole continuare a stare nella clinica, non ha molto da imparare in un master di I livello (utilissimo invece a chi si inserisce in un nuovo ambito clinico, organizzativo, in chi si inserisce nella formazione) e potrebbe utilmente frequentare la laurea specialistica, che offre una panoramica articolata sulle conoscenze e gli strumenti da acquisire per un salto culturale, oltre che professionale.

 

Avere esperienza serve a comprendere meglio i problemi assistenziali, organizzativi e didattici su cui si studierà durante il percorso di apprendimento, spesso però chi già lavora è molto costretto e condizionato dalle proprie condizioni lavorative. Avere anche qualche studente che prosegue normalmente il percorso di studi dopo la laurea triennale, potrebbe aiutare a non perdere professionisti che talvolta, quando si sono inseriti in maniera stabile nel mondo del lavoro, fanno fatica a dedicarsi a fondo allo studio.

Bibliografia

Mastrillo A. Comunicazione alla Conferenza Nazionale Corsi di Laurea delle professioni sanitarie, Meeting di Autunno, Portonovo, Ottobre 2005.

Saiani L, Brugnolli A. Gli obiettivi ed i contenuti di management infermieristico nei percorsi formativi di base e post base. Ass Inf Ric 2006.

www.aone.org Leadership Alliance HLA Competency Directory User’s Guide. November 2005 (ultima data di accesso: giugno 2006).

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