Il documento “HEALTH 21” della World Health Organization del 1998 all’obiettivo XV “L’integrazione del settore sanitario” afferma che:
- in molti stati membri è necessaria una maggiore integrazione del settore sanitario con un’attenzione particolare all’assistenza sanitaria di base.
- Al centro dovrebbe collocarsi una infermiera di famiglia, adeguatamente formata, in grado di fornire consigli sugli stili di vita, sostegno alla famiglia e servizi di assistenza domiciliare per un numero limitato di famiglie.
- Servizi più specializzati dovrebbero essere offerti da un medico di famiglia che, insieme all’infermiera, dovrebbe interagire con le strutture della comunità locale, sui problemi di salute.
Il ruolo che si prevede in Europa per l’Infermiere di Famiglia (Abbatecola et al., 2000; Bassetti, 1994; OMS, 1978) è quello di un professionista che: “aiuterà gli individui ad adattarsi alla malattia e alla disabilità cronica o nei momenti di stress, trascorrendo buona parte del tempo a lavorare al domicilio dei pazienti e con le loro famiglie. Tali infermieri danno consigli riguardo agli stili di vita ed i fattori comportamentali di rischio ed assistono le famiglie in materia di salute.
Attraverso la diagnosi precoce, essi possono garantire che i problemi sanitari delle famiglie siano affrontati al loro insorgere. Con la loro conoscenza della salute pubblica, delle tematiche sociali e delle altre agenzie sociali, possono identificare gli effetti dei fattori socioeconomici sulla salute della famiglia ed indirizzare quest’ultima alle strutture più adatte. Possono facilitare le dimissioni precoci dagli ospedali fornendo assistenza infermieristica a domicilio ed agire da tramite tra la famiglia ed il medico di base, sostituendosi a quest’ultimo quando i bisogni identificati sono di carattere prevalentemente infermieristico” (OMS–Regione europea, 1999).
Quali elementi possono condurre l’infermiere ad assumere questo nuovo ruolo?
a) La crescita culturale
Il progresso degli ultimi decenni ha portato la professione infermieristica ad accedere alla formazione universitaria e alla formazione complementare. Inoltre, nel panorama italiano, si sono sviluppate molte associazioni scientifiche che presentano opzioni filosofiche di fondo (Manzoni, 1996) che costruiscono l’identità di un infermiere in una fase di empowerment culturale, che partecipa alle iniziative professionali, non disancorato dalle dinamiche evolutive di fondo della professione.
b) Lo sviluppo del metodo
Il modello di intervento infermieristico che si mette in atto, in particolare nell’assistenza comunitaria, è definito “patient-centered intervention2 (Lauver et al., 2002). Il ciclo metodologico ad esso connesso (lo storico processo di nursing) si articola partendo dalla definizione del “prendersi cura” come procedura flessibile ed orientata all’altro (il paziente), incardinata sulle proprie competenze e sul proprio agire, che cerca di mediare fra management organizzativo e presa in carico del malato, che agisce per progettazione e che non è completamente estranea alla ricerca.
Rispetto al passato, l’agire infermieristico è sempre più fondato sulla scienza e ciò rappresenta un avanzamento della professione e delle discipline che concorrono a comporla o a delinearla. Si comincia a costruire un nursing spendibile a base scientifica (SBN- scientific based nursing) integrato con l’esperienza e la pratica, che si riflette “soprattutto nella maggiore capacità di coinvolgimento del paziente nelle decisioni circa le cure da intraprendere” (Iovine, 2002). Oltre alle metodologie quantitative, legate storicamente alla malattia, si cerca di sviluppare metodologie anche di tipo qualitativo, a cominciare dalla valutazione del malato. Solo così il Nursing si può indirizzare o essere orientato dalle scienze infermieristiche, che non si devono mai slegare dal loro progetto di fondo, ovvero dall’assistenza integrata e co-definita con la persona.
c) La relazione e la comunicazione
La relazione fra infermiere e paziente/famiglia rappresenta una micro-relazione che concorre a formare e sostenere tutto l’edificio del lavoro infermieristico: la relazione con il cittadino (malato o sano) plasma l’identità professionale dell’infermiere, riconducendola a quella prassi di servizio alla persona che trae dall’altro la propria più profonda legittimazione sia personale sia sociale. Anche il counseling può solo essere incentrato sulla capacità di relazione dell’infermiere (Poskiparta ed altri, 2001), con la consapevolezza che questa relazione è asimmetrica – per le differenze di conoscenze – e affettivamente neutrale.
d) Il rispetto etico e la deontologia
L’etica professionale dell’infermiere trova nella revisione del Codice deontologico (Federazione Nazionale IPASVI, 1999) la rappresentazione delle sue basi. Il focus principale è l’attenzione prestata all’altro (Cipolla, 2002) durante le prassi assistenziali e si potrebbe sostenere che la rete di valori che indirizza l’atto infermieristico è costituita e praticata a partire dal cittadino, da un lato, e dalla collettività professionale. Si potrebbe quasi sostenere che l’etica infermieristica si esplicita basandosi sul “paradigma del tu”1, sia esso individuale o sociale.
e) Il “prendersi cura” infermieristico
Nel documento della WHO si prevede la capacità diagnostica dell’infermiere. E’ bene precisare che in molti paesi europei è legittimo parlare di semeiotica infermieristica, accertamento/diagnosi/trattamento senza che questo configuri o scateni contrasti interprofessionali. La legittimità del linguaggio e dell’azione sono definiti dalla chiarezza concettuale su quali delimitazioni e quali pertinenze rappresentano lo spazio di ruolo dell’infermieristica.
In Italia si può ragionevolmente sostenere che la competenza distintiva (core business professionale) dell’infermiere è la tutela della sicurezza e della continuità assistenziale2 del paziente, intendendo con ciò che l’infermiere deve saper rilevare i problemi e stabilire quali professionalità coinvolgere, indirizzarsi o indirizzare l’assistito affinché questi problemi siano adeguatamente affrontati e verificare l’efficacia degli interventi. Ci si riferisce a questo tipo di capacità diagnostica: saper identificare comportamenti a rischio ed intervenire per attuare adeguate misure di trattamento o prevenzione delle complicanze, in collaborazione con altri professionisti del sistema sanitario o sociale, riconoscere segni e sintomi e indirizzare gli assistiti in accordo con il medico di medicina generale, ma anche individuare i presidi più idonei da utilizzare.
Occorre ricordare, per pura memoria storica, che persino lo stesso DPR 225/74 (il Mansionario) recitava: “Le attribuzioni di carattere organizzativo e amministrativo degli infermieri professionali sono le seguenti: (…) c) richiesta ordinaria e urgente di interventi medici e di altro personale, a seconda delle esigenze sanitarie, sociali e spirituali degli assistiti; (…).” Per legittimare la posizione fin qui assunta si fa riferimento ad una tradizione linguistica vicina e, forse, più consolidata in materia, quella britannica. Il nursing distingue bene il cure dal care, agganciando di fatto il primo al medico o alla terapia tecnica del percorso di guarigione (treatment) ed il secondo al lavoro infermieristico, al “prendersi cura” integrato del malato nel suo stato di “infermità” o di “salute residua”, all’accudire l’altro in situazione di bisogno specifico o di cronicità, all’erogazione di un servizio alla persona a forte implicazione socio-sanitaria (nursing service).
Il nursing care (NC) è un servizio alla persona. E’ responsabilità che muove da principi professionali al solo scopo del bene del malato (principio di beneficialità). E’ un patto fiduciario fra infermiere e cittadino, una condivisione dei bisogni, uno “starti, vicino quando soffri, quando hai paura, quando la medicina e la tecnica non bastano”3.
Il NC nasce dagli Obiettivi formativi qualificanti della Classe delle Lauree e Lauree Specialistiche di tipo infermieristico. Per le prime, si legge: “I laureati nella classe … sono gli operatori delle professioni sanitarie dell’area delle scienze infermieristiche … che svolgono con autonomia professionale attività dirette alla prevenzione, alla cura e salvaguardia della salute individuale e collettiva, espletando le funzioni individuate dalle norme istitutive dei relativi profili professionali nonché dagli specifici codici deontologici ed utilizzando metodologie di pianificazione per obiettivi dell’assistenza nell’età evolutiva, adulta e geriatrica”. Per le seconde, si nota che gli specialisti della classe in questione “possiedono una formazione culturale e professionale avanzata per intervenire con elevate competenze nei processi assistenziali, gestionali, formativi e di ricerca in uno degli ambiti pertinenti alle diverse professioni sanitarie ricomprese nella classe (infermiere, … , infermiere pediatrico)”.
Un altro aspetto del NC, derivato o collegato al punto precedente, riguarda il contenuto dell’atto o degli atti infermieristici che non possono limitarsi al semplice accudimento o alla cura, ma devono contemplare al loro interno e al loro esterno delle prassi di natura preventiva e, altre, di tipo educativo, quasi sempre secondo il principio pratico della partnership con la persona. L’approccio integrato alla persona pone in essere attenzioni che fanno considerare la stessa in tutta la sua globalità possibile4. Si tratta di un approccio che considera il malato e la sua malattia, la persona e il suo vissuto. Tale modello si sviluppa per autonomie relative al fine di ricomporre la complessiva identità del cittadino e permettere una positiva integrazione tra i diversi attori della cura e dell’assistenza.
Il prendersi cura infermieristico del cittadino in stato di bisogno reale o potenziale rimanda a metodologie quali il Science Based Nursing (SBN), all’ Opinion Based Nursing (OBN), che si differenzia dal precedente perché introduce la logica operativa del consulto incrociato o del team decisionale rispetto a situazioni mirate, al Narrative Based Nursing (NBN), che valorizza anche conoscenze empiriche non quantificabili e reintroduce il paziente nella sua cura. D’altra parte, in parallelo a ciò, la malattia non può essere letta e recepita come un fatto semplicemente biologico (disease), ma deve essere ricondotta anche a fatto sociale (sickness), come del resto tutta la medicina e la sanità dei nostri tempi, ed al fatto soggettivamente percepito (illness), secondo una vocazione interpretativa propria del malato5che può anche contrastare con quella dell’infermiere o con quella istituzionale, con conseguenti interventi di mediazione e recupero.
Un approccio human-centered care, come quello del NC, non può che prevedere una implicazione non occasionale nel processo dei mondi vitali della persona e delle sue reti primarie nelle loro poliedriche presenze non sempre a base familiare. Questa logica si accompagna ad un’attenzione particolare dedicata alla comunicazione ed all’informazione fra persona ed infermiere. Del resto, il nursing, è sempre più perno organizzativo e sempre più snodo relazionale con l’altro6. Il ciclo metodologico del NC non può non muoversi secondo una prospettiva di coordinamento sequenziale e di integrazione collaterale fra sociale e sanitario. La sequenza in questione, ineludibile e vincolante nella sua logica a cascata, presuppone una prima e decisiva fase di accoglienza, una seconda fase di conoscenza terapeutica ed umana (come visto), una terza fase progettuale, una quarta fase di permanenza corrente e di relazionalità quotidiana, una quinta fase di dimissione-separazione, ed un’ultima fase che possiamo definire di continuità-revisione7.
L’organizzazione di un sistema di presa in carico basato su quanto descritto prevede un orientamento alla valutazione multidimensionale che tenga conto delle seguenti dimensioni:
- La pluripatologia
- La situazione familiare (solitudine, fasce di nuove povertà ecc, mancanza di rete familiare)
- Le disabilità presenti
- La scarsa responsività (Alzheimer o esiti di gravi traumi cranici)
- Le dipendenza per le ADL (attività di vita quotidiana)
- La comprensione del proprio stato di salute
- La capacità di risposta autonoma o con aiuto
- La diversità culturale
Rispetto a queste caratteristiche degli assistiti, la valutazione infermieristica non è finalizzata esclusivamente all’individuazione del bisogno di assistenza, ma anche alla definizione del tipo di assistenza richiesta. L’assistenza infermieristica non può più essere orientata solo a valutare la dipendenza del paziente, elemento che in passato è stato ampiamente utilizzato per definire l’attività infermieristica ed il carico di lavoro e che tante confusioni ha causato, ma deve collegare la valutazione dei bisogni della persona malata con la valutazione del contesto famigliare e sociale e stabilire se si tratta di attività propria o attività da assegnare ad altro personale, al volontariato sociale o alla famiglia (laddove esiste).
Tale modello concettuale evidenzia che l’elevata complessità assistenziale non è determinata solo dall’alta dipendenza nell’assistenza di base. E’ cambiato quindi il paradigma di riferimento: gli assistiti dei servizi sono diversi, le loro esigenze sono diverse, le competenze acquisite oggi dagli infermieri permettono di realizzare un passaggio rilevante dal modello della dipendenza a quello della complessità. Per fare un esempio: non è l’incapacità ad alimentarsi di un assistito che genera il bisogno di assistenza infermieristica, ma un insieme di questa ed altre dimensioni, come l’instabilità clinica, la difficoltà di comprensione, di scegliere, di capire come prendersi cura di se stesso, di come farsi carico dei propri problemi di salute. Accertare se un paziente ha bisogno o meno di assistenza, e di quale assistenza, è un processo complesso: significa sostenere che, tra i pazienti/assistiti, alcuni hanno bisogno di maggior intensità assistenziale, altri di meno o, addirittura, che non hanno bisogno di assistenza infermieristica.
Quindi si può affermare che ad una diminuzione della possibilità di azione dell’assistito corrisponde un’elevata discrezionalità decisoria dell’infermiere che valuta se effettuare direttamente la prestazione o assegnarla ad altri operatori e quindi attivare le reti formali e informali dell’assistenza. Occorre passare, quindi, da una logica dell’uguaglianza a una dell’equità per garantire agli utenti ciò di cui hanno bisogno e modulare l’intensità dell’intervento infermieristico. La misura dell’intensità assistenziale non è direttamente correlata alla quantità di cose che gli infermieri sono chiamati a fare, ma anche all’impegno intellettuale che dedicano quando pensano, progettano, elaborano, ricercano, scelgono gli interventi per un assistito, e soprattutto agli sforzi che realizzano per portare a compimento un progetto di presa in carico. Ogni infermiere in questa prospettiva di continua valutazione della domanda di assistenza infermieristica, di definizione del progetto, di scelta dell’intensità assistenziale, di attori da coinvolgere, diventa una risorsa che agisce sulle competenze cliniche attraverso strategie gestionali.
Il profilo dell’infermiere di famiglia che emerge riguarda:
I. La prevenzione- diagnosi precoce- educazione alla salute8
L’educazione alla salute è un processo rivolto a persone, gruppi, organizzazioni e intere comunità che si propone di aumentare la consapevolezza circa le cause ambientali, economiche e sociali di salute e di malattia. Le attività di educazione alla salute rappresentano un mezzo potente per questo processo; esse mirano a promuovere nei soggetti, in modo consapevole, cambiamenti comportamentali identificati come fattori di rischio di malattie. In questo contesto l’educazione sanitaria è legata strettamente alla prevenzione e alla diagnosi precoce delle malattie.
II. L’assistenza
La funzione assistenziale rappresenta la specificità della competenza professionale. In essa sono considerate a partire dall’identificazione del bisogno di assistenza infermieristica tutte le conseguenti attività di pianificazione, attuazione e valutazione degli interventi infermieristici rivolti al singolo, alla famiglia e alla collettività. Sono parimenti comprese le dimensioni relazionali, tecniche ed etiche che caratterizzano l’azione professionale.
III. L’educazione terapeutica finalizzata all’autogestione della malattia, del trattamento e della riabilitazione
L’educazione terapeutica è un processo educativo che si propone di aiutare la persona malata (con la famiglia e nell’ambiente sociale circostante) ad acquisire e mantenere la capacità di gestire in modo ottimale la propria vita convivendo con la malattia. E’ un processo che, transitando attraverso i vissuti della persona, prevede un insieme di attività organizzate di sensibilizzazione, di informazione, di apprendimento, di aiuto psicologico e sociale in relazione alla malattia, ai trattamenti, alla prevenzione delle complicanze, agli stati d’animo.
IV. La gestione: pianificazione e controllo del proprio lavoro
Si riferisce allo svolgimento di attività di tipo organizzativo quali definire priorità, obiettivi della propria azione quotidiana, formulare un proprio piano di lavoro all’interno del piano più generale delle attività di tutta l’equipe , utilizzare risorse, avvalersi dell’opera di personale di supporto, lavorare in team con gli altri professionisti, valutare le prestazioni infermieristiche, in coerenza con gli obiettivi dell’organizzazione nel quale l’infermiere è inserito.
V. La consulenza
Si identifica con il fornire attività di consulenza ad altri professionisti.
VI. La formazione
Comprende due aspetti: l’autoformazione e la formazione di altro personale. In entrambi i casi sono contemplate in questa funzione attività di valutazione e autovalutazione delle conoscenze e delle competenze, l’evidenziazione delle esigenze formative proprie e del personale collaborante, attività di autoformazione e di sostegno formativo ai tirocinanti e ad altro personale in addestramento.
VII. Ricerca
Si riferisce alla capacità dell’infermiere di partecipare come membro attivo alle equipe di ricerca, di utilizzare dati di ricerca già disponibili per una assistenza basata sulle prove di efficacia.
Note
- È la tesi di fondo contenuta in Cipolla C(1997) Epistemologia della tolleranza, 5 voll. Franco Angeli, Milano. Gli infermieri appaiono intrinsecamente e praticamente tolleranti
- L’idea è tratta dal modello di sicurezza di Danne D. Affonso, Preside della Facoltà di Nursing di Toronto, CA
- Questa frase è ripresa dal “patto infermiere-cittadino” del 12 maggio 1996, anteposto al Codice deontologico
- Nessun altro da sé (e forse neppure “sé”) può essere colto nella sua globalità. Il mistero dell’altro non può e non va mai svelato nella sua totalità. Anche l’empatia deve essere tollerante. Accanto al “mistero” appena citato di manzoniana memoria , va poi considerato che ognuno di noi è molte cose, possiede tanti valori che, non di rado, sfuggono anche a noi stessi. Vedi L. Pirandello, Uno, nessuno e centomila, RCS, Milano 2003. L’edizione originale è del 1925
- Le medicine alternative, che, per il vero, tali non sono, in quanto si occupano di aspetti “complementari” e non basici della malattia, trovano probabilmente la ragione del loro successo nell’illness o nel diffondersi tra la gente della concezione soggettiva ed autogestita del disagio: sono malato quando mi sento tale, al di là di ciò che “decidono” i medici. Ciò non toglie, comunque e come detto, che l’infermiere deve restare “neutralmente affettivo” e professionalmente deve seguire criteri “a base scientifica”. Sul tema, cfr. C. Cipolla Alle radici della sociologia della salute, nel numero di Salute e Società (II,1,2003) dedicato agli infermieri e curato da W. Tousijn ed E. Giorgino
- In merito vedi C. Cipolla, G. Giarelli, L. Altieri, (a cura di), Valutare la qualità in sanità, Angeli, Milano 2002
- Tre sono le componenti non eliminabili di una saggezza operativa (valida anche per l’infermiere) che muove da scansamento a monte (accoglienza, conoscenza), vive con equilibrio il durante (progetto, permanenza) e recupera eventuali inadempienze dopo (dimissione, continuità, revisione). I lemmi “saggezza”. “scansione”, “equilibrio” e “recupero” sono tutti contenuti nel glossario più volte citato
- La tesi esposta deriva dalla progettazione della Dr.ssa Silvia Marcadelli, Ausl di Bologna, sull’organizzazione di un servizio di assistenza alla persona basata sull’infermiere di famiglia, con un approccio teso all’eccellenza dei processi e delle professioni
Bibliografia
Abbatecola G. et al…, Assistenza domiciliare integrata, a cura di Bruno Andreoni, presentazione di Vittorio Ventafridda, Milano, Masson, 2000.
Bassetti O., Educare assistendo, Firenze, Rosini Editrice, S.r.L. 1994.
Cipolla C. Epistemologia della tolleranza, 5 voll. Franco Angeli, Milano. Gli infermieri appaiono intrinsecamente e praticamente tolleranti (1997).
Cipolla C., Girelli G., Altieri L., (a cura di), Valutare la qualità in sanità, Angeli, Milano 2002.
Cipolla C., Principi di sociologia, Angeli, Milano 2002 (2ª ed.). L’altro (con l’io ed il noi e le loro relazioni) è la sociologia.
Federazione Nazionale IPASVI, L’ultimo Codice deontologico della professione di infermiere, febbraio 1999.
Iovine R., L’Evidence-Based medicine: cos’è e come si applica in Cipolla C., Girelli G. (a cura di), Dopo l’aziendalizzazione. Nuove strategie di governance in sanità, numero monografico di Società e Salute, a. I, n. 1, 2002, pag. 346.
Lauver D.R. ed altri, Patient-centered Interventions in Research Nursing Health, 25, 4, 2002.
Manzoni E., Storia e filosofia dell’assistenza infermieristica, Masson, Milano, 1996.
Organizzazione Mondiale della Sanità, Report on the Primary Health Care Conference, 1978, Alma Ata (Russia).
Organizzazione Mondiale della Sanità–Regione Europea, The family health nurse – Context, conceptual framework and curriculum, documento EUR/00/5019309/13, Ufficio Regionale O:M:S: per l’Europa, Copenaghen, gennaio 2000.
Organizzazione Mondiale della Sanità–Regione europea, Dichiarazione di Monaco, infermieri ed ostetriche: una forza per la salute, Monaco di Baviera 1999.
Poskiparta M. ed altri, From Nurse-centered Health Counselling to Empowermental Health Counselling in Patient Educ. Couns., XLV, 1, 2001.