1 Marzo 2007 | Cultura e società

Anziani non autosufficienti e assegni di accompagnamento


A differenza di altri Paesi, in Italia non esiste a livello nazionale uno specifico assegno di cura per gli anziani non autosufficienti; certo, specie in alcune regioni (Da Roit, 2005), esistono assegni di cura o voucher erogati dai Comuni come forme sostitutive dell’assistenza domiciliare, ma ben difficilmente tali prestazioni possono essere considerate una soluzione universale al problema della non autosufficienza, se non altro in quanto riguardano esclusivamente un numero limitato di soggetti caratterizzati, di norma, oltre che dalla non autosufficienza, da condizioni socioeconomiche molto problematiche.

 

Sebbene nel nostro Paese non esista un istituto paragonabile all’Assicurazione Sociale contro la Dipendenza presente nel sistema tedesco e in quello austriaco, o all’APA (Allocation Personnalisée d’Autonomie) francese (Pesaresi e Gori,2005), esistono tuttavia diverse prestazioni monetarie rivolte a soggetti le cui capacità di vivere autonomamente sono compromesse in modo più o meno grave, sia a causa di fattori specifici quali cecità o sordità, sia in quanto parzialmente o completamente invalidi. Tali prestazioni, il cui importo dipende dalla gravità e dal tipo di invalidità riconosciuta1, sono erogate dall’INPS e ammontano, attualmente, ad oltre due milioni.

 

In particolare, dal 1980 esiste una prestazione denominata “assegno di accompagnamento” che viene erogata ai soggetti dichiarati totalmente invalidi da un’apposita commissione sanitaria, indipendentemente dalla loro età, dal reddito e dal fatto che essi vivano a domicilio o siano ricoverati in strutture residenziali2. Tale prestazione, originariamente rivolta agli adulti totalmente inabili al lavoro, negli anni successivi è stata estesa anche ai soggetti con oltre 65 anni, che attualmente ne costituiscono i principali fruitori. Per delineare la rilevanza che tale Istituto ha per la popolazione anziana basta ricordare che nel 20053 i soggetti con 65 anni e più, titolari di un assegno di accompagnamento, risultavano quasi 880.000, pari al 72% del totale degli oltre 1.220.000 anziani che ricevevano, a vario titolo, erogazioni di invalidità dall’INPS4, e al 41,5% di tutte le prestazioni di invalidità erogate da questo Istituto.  Nonostante il numero consistente dei fruitori di questa prestazione e la non irrisorietà della cifra corrisposta (450 euro mensili), poco si sa delle caratteristiche dei soggetti coinvolti.

 

Per tale motivo può essere interessante delineare il loro profilo verificando, al contempo, come esso si sia modificato nel tempo e come tale prestazione si intrecci con gli altri sostegni economici all’invalidità erogati dall’INPS.A tal fine utilizzeremo alcune informazioni contenute nel database di questo Istituto:

  • tipo di prestazione erogata ed anno del suo inizio;
  • sesso ed età del percettore;
  • suo eventuale decesso e data dello stesso5.

 

Pur nella loro sinteticità, tali informazioni consentono infatti di ben delineare sia le caratteristiche di base dei percettori delle diverse prestazioni, sia la loro evoluzione temporale6.

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Il profilo dei percettori

Nel 2005, tra i quasi 880.000 soggetti con 65 anni e più, titolari di un assegno di accompagnamento, i 6574enni erano il 7,2%,i 75-84enni il 38,4%,gli 85-94enni il 43,3%, gli ultra 95enni l’11%; decisamente elevato era il tasso di femminilizzazione (72,5%).

Tabella 1 – Distribuzione percentuale per classi d’età e sesso dei percettori di assegno di accompagnamento.

Se già questi dati sulla distribuzione percentuale per classi di età di percettori mettono in rilievo la forte relazione tra fruizione dell’assegno di accompagnamento ed età molto elevata, ancor più preciso è il quadro che emerge se si calcola lo specifico tasso di fruizione della popolazione di riferimento. Come emerge dalla Tabella 2,tale tasso cresce infatti da circa il 2% di chi ha 65-74 anni, al 9,6% degli uomini e al 12,6% delle donne per chi ha 80-84 anni, fino a raggiungere il 21,4% e il 31,3% per chi ne ha 85-89 e il 43,6% e il 62,1% per chi ha un’età ancora più elevata.

Indennità di accompagnamento
Tabella 2 – Tasso di fruizione di assegno di accompagnamento, per classi d’età e sesso, sulla popolazione di riferimento.

Questi dati ricalcano a grandi linee, sia pure con valori inferiori, quelli stimati dall’Istat (Istat, 2001) rispetto alla percentuale di popolazione non autosufficiente per sesso e classe di età, confermando non solo come al procedere dell’età aumentino le condizioni di nonautosufficienza, ma anche come tale processo sia particolarmente marcato per la popolazione femminile (Facchini,2001). Rispetto alle stime dell’Istat si osserva un maggiore scostamento nelle classi più giovani, che tende ad attenuarsi in quelle più anziane. Questo può essere determinato anzitutto dalle modalità con cui l’Istat rileva il dato sulla non autosufficienza, che conducono a sottodimensionarne l’entità proprio nelle classi di età più elevate.

 

I dati Istat, infatti, riguardano solo la popolazione che vive a domicilio e non quella istituzionalizzata; poiché, come noto, specie nelle età molto anziane i livelli di autosufficienza sono particolarmente compromessi proprio tra gli anziani ricoverati, il fenomeno della non autosufficienza tende ad essere sottodimensionato rispetto alla sua effettiva consistenza (Facchini, 2002)7. Nello stesso tempo, questi andamenti possono suggerire una difforme selettività da parte delle commissioni valutatrici a seconda dell’età del soggetto richiedente. Si può infatti ipotizzare una maggiore propensione a riconoscere l’invalidità totale in presenza di un’età particolarmente elevata, in ragione di diverse motivazioni: sia in quanto si ritiene tale elemento come problematico “in sé”; sia perché si tiene conto della maggiore fragilità familiare; sia, infine, in considerazione della tendenziale riduzione della durata della presa in carico e dell’improponibilità della proposta di rimandare il caso ad un successivo riesame.

 

Sebbene l’assegno di accompagnamento possa essere erogato anche a soggetti giovani o adulti che abbiano particolari problematicità, si deve tuttavia sottolineare che non solo è decisamente minoritaria la quota di anziani titolari che hanno ricevuto questa prestazione già ad un’età inferiore a 65 anni8, ma anche che l’età da cui inizia la presa in carico tende ad essere decisamente elevata: il 57,3% di chi ha ottenuto tale prestazione aveva, al momento, almeno 80 anni. Nonostante l’età mediamente elevata al momento della presa in carico, la durata della prestazione tende a coprire un arco temporale non brevissimo: 4,5 anni per i soggetti che nel frattempo sono deceduti, ma attorno ai 7 anni per i soggetti tuttora in vita. Questo dato risulta di grande interesse in quanto sembra confermare come non necessariamente, almeno nell’età anziana, cronicità e ancor più livelli di autonomia molto limitati si traducano in un forte incremento della probabilità di morte (Pasqualini e Salvioli,2000): certo, gli anni di “durata” media della presa in carico sono inferiori alla speranza di vita degli ottantenni9 – attualmente attorno agli otto anni (Istat,2005) – ma non se ne discostano nemmeno in modo significativo.

 

Evoluzione negli anni e linee di tendenza

Consideriamo ora l’andamento temporale di tali prestazioni: come evidenzia la Figura 1, in questi decenni il numero delle erogazioni attivate per la prima volta è costantemente aumentato, passando dalle circa 5.000 dei primi anni ’80, alle circa 40.000 dei primi anni ’90, alle oltre 200.000 degli ultimi anni.Tale incremento è ancor più significativo se raffrontato con quello molto più contenuto di tutte le altre indennità attivate, nello stesso arco di tempo, dall’INPS.

 

Il risultato è che, mentre nei primi anni ’80 gli assegni di accompagnamento costituivano circa il 15% del totale delle prestazioni di sostegno all’invalidità erogate per la prima volta nel corso dell’anno, negli ultimi anni essi ne costituiscono circa il 70%.

Figura 1 – Prestazioni erogate.

 

Due le ipotesi che si possono formulare a riguardo. La prima è che le commissioni valutatrici tendano sempre più a riconoscere come invalidità totali, economicamente più “vantaggiose” per i percettori, le invalidità parziali o specifiche, col risultato che queste ultime vengono via via “assorbite” nell’assegno di accompagnamento. La seconda ipotesi rimanda invece allo specifico incremento di grandi anziani che si è verificato in questi due decenni e alla conseguente diffusione di condizioni di non autosufficienza totale (Genuini et al., 2005).

 

Ovviamente, noi non disponiamo di dati che possano pienamente corroborare la prima piuttosto che la seconda ipotesi; disponiamo però dei dati relativi all’evoluzione nel tempo dell’età dei soggetti al momento della presa in carico, dati che indicano un suo progressivo incremento: 75,3 anni nel 1990; 80 anni nel 1995; 81,4 anni nel 1995; 81,6 nel 2000; 83,1 nel 2005. Detto altrimenti: se nel 1990, al momento della presa in carico, solo il 12,5% dei percettori aveva almeno 85anni e il 22,7% ne aveva meno di 70, attualmente si è passati rispettivamente al 43,5% dei percettori con almeno 85 anni e al 3,7% dei percettori con meno di 70 anni.

 

Certo, questi dati possono anche segnalare una progressiva posticipazione dell’età in cui si diventa non autosufficienti e si richiede tale prestazione, ma sembrano comunque invalidare un’ipotesi che riconduca l’espansione di tali assegni ad un progressivo “lassismo” delle commissioni valutatrici, per suffragare invece l’ipotesi che l’aumento di queste prestazioni sia riconducibile ad una progressiva estensione di situazioni di invalidità totale legate allo specifico incremento di grandi anziani in atto.

Figura 2 – Età media alla presa in carico.

 

Un sostegno cruciale, ma in quale prospettiva?

Nel loro complesso, questi dati ben evidenziano il ruolo cruciale che gli assegni di accompagnamento hanno per l’assistenza agli anziani non autosufficienti sia in termini di utenza coinvolta che in termini di risorse impiegate. Per quanto riguarda l’utenza, il 7% degli ultrasessantacinquenni che usufruisce di questa prestazione deve infatti essere confrontato con tassi di utilizzo attorno al 2%,sia per il ricovero in strutture assistenziali, che per quello relativo all’assistenza domiciliare. Per quanto riguarda invece l’incidenza sulla spesa pubblica, le risorse destinate annualmente a tale prestazione – circa 5 miliardi di euro – devono essere rapportate a quelle erogate per i servizi socio-assistenziali a livello regionale e comunale a favore degli anziani non autosufficienti – stimabili attorno a 1,3 miliardi di euro – (Da Roit, 2006), e a quelle destinate alle attività socio-sanitarie finanziate dalle regioni – circa 2,9 miliardi di euro – (Mesini e Gambino, 2006).

 

Nonostante tali prestazioni siano così considerevoli nel sistema delle politiche sociali, non sembrano però in grado di garantire una efficace copertura per gli anziani non autosufficienti. Anzitutto, i tassi di fruizione fanno intravedere che rimane comunque “scoperta” non solo la grande maggioranza di anziani che, pur mantenendo una qualche autonomia, ha comunque necessità di sostegno e di cure assistenziali, ma anche una quota non piccola di anziani totalmente non autosufficienti (Guaita, 2000); inoltre l’importo ricevuto, pur essendo economicamente significativo, difficilmente è in grado di coprire l’insieme dei bisogni assistenziali dei soggetti ai quali è erogato, la cui totale non autosufficienza rende necessarie assistenza e cure continuative10. Nello stesso tempo, la rilevanza che questa prestazione ha per i soggetti non autosufficienti pone problemi non secondari per l’insieme delle politiche sociali.

 

In primo luogo, l’indennità di accompagnamento è erogata a livello nazionale e non sono previsti raccordi con i livelli istituzionali locali – Regioni e Comuni – che sono invece designati dall’attuale legge di riordino del sistema socio-assistenziale (L.328 del 2000) come soggetti chiave del sistema delle politiche sociali (Ferrario, 2003). In secondo luogo,  il fatto che la prestazione consista in una erogazione monetaria che può essere utilizzata dall’anziano e dalla sua famiglia senza vincoli di destinazione, si è tradotta in un modello di Welfare come quello italiano, caratterizzato non solo da una modesta presenza di servizi sociali pubblici, ma anche da una ridotta presenza di agenzie private, profit o non-profit, erogatrici di servizi assistenziali, in un rafforzamento del ruolo di cura assegnato alle famiglie (Trifiletti,1999; Facchini,2005).

 

Se fino a un decennio fa, e tuttora per i ceti meno abbienti, questa tendenza ha comportato un’intensificazione del carico lavorativo familiare, successivamente, specie nei ceti medi, ha invece concorso a determinare un progressivo “slittamento” verso il ricorso al lavoro svolto da immigrati, e soprattutto da immigrate (Gori e Da Roit, 2002). Il fenomeno delle badanti appare, da questo punto di vista, fortemente connesso all’intreccio tra diffusione di una disponibilità economica degli anziani e delle loro famiglie, ridotta presenza di servizi sociali, incremento del tasso di occupazione femminile, mutamenti dei modelli di identità e ridimensionamento dei valori improntati alla doverosità (Lipovetsky, 1992), oltre che alla larga diffusione e all’accettazione sociale di lavoro “irregolare” e non tutelato (Bettio et al.,2006). Anche questi dati insomma, pur ridimensionando l’immagine, spesso presente nel dibattito pubblico, di una complessiva “mancanza” nel nostro Paese di un sostegno pubblico per la non autosufficienza, suggeriscono la necessità di riassetto del sistema assistenziale e l’opportunità di una legislazione che affronti in modo organico il tema della non autosufficienza e delle cure ad essa connesse. In particolare, pongono l’esigenza di una legislazione che entri nel merito del modello assistenziale implicito in erogazioni meramente economiche.

 

Un modello che certamente ha delle ripercussioni positive sulla domiciliarità degli anziani (costituendo, probabilmente, uno dei fattori più rilevanti che si frappongono, attualmente, alla istituzionalizzazione degli anziani), ma che non necessariamente si traduce in prestazioni di qualità per i soggetti non autosufficienti e che, nel contempo, pone il problema, per le situazioni economicamente fragili, di un pesante addensamento delle responsabilità familiari, specificamente femminili.

Tabella 3 – Classi d’età in relazione all’anno della presa in carico

Note

  1. L’importo risulta minore per i sordo-muti e per gli invalidi parziali – mediamente 223 e 236 euro mensili –, mentre diventa più consistente per gli invalidi totali e per i ciechi – 444 e 447 euro mensili – www.inps.it
  2. La prestazione non è però erogata se i soggetti sono ricoverati gratuitamente in un istituto assistenziale
  3. Anno al quale risale il data-base messoci a disposizione dall’INPS, utilizzato per le elaborazioni qui presentate
  4. Le altre voci che per gli anziani assistiti hanno una qualche significatività statistica, riguardando dai 9.000 ai 40.000 casi, sono: invalidità parziale con accompagnamento; invalidità con pensione; invalidità con pensione e indennità; invalidità per cecità parziale
  5. Per quanto riguarda i decessi, occorre segnalare che solo di recente sono stati stipulati accordi tra l’INPS ed alcune Regioni che prevedono una comunicazione “automatica” degli stessi da parte degli Uffici Anagrafe; precedentemente, era invece compito specifico delle famiglie trasmettere tale informazione. È quindi possibile che, negli scorsi anni, possano essersi verificati scarti temporali tra la data del decesso del percettore e la sua comunicazione all’INPS
  6. Il data-base raccoglie le informazioni su tutte le prestazioni in vigore nel 1998,o attivate a partire da quell’anno:contiene dunque anche le informazioni relative a soggetti nel frattempo deceduti, e quindi inerenti prestazioni a non più in vigore
  7. Inoltre occorre ricordare che il dato INPS rimanda ad una valutazione effettuata da un’apposita commissione medica, quello Istat invece rileva l’autopercezione del soggetto intervistato.
  8. Una precisazione metodologica: poiché l’INPS differenzia non solo per tipo di prestazione, ma anche a seconda dell’età dei titolari, chi riceve questo assegno in età giovane o adulta viene collocato nella categoria che abbiamo considerato solo al compimento del 65esimo anno
  9. Il confronto è stato fatto con gli ottantenni, dato che l’età media dei percettori dell’assegno di accompagnamento è, al momento della presa in carico, attorno agli 80 anni
  10. Occorre infatti sottolineare che se l’importo non si discosta molto da quello medio corrisposto in Austria, in Francia o in Germania, in questi Paesi si ha però una significativa differenziazione a seconda della gravità della non-autosufficienza e,pur se in misura minore, a seconda che l’anziano viva a domicilio o in strutture residenziali, o a seconda che la prestazione venga erogata con servizi o in denaro (Pesaresi e Gori,2005)

Bibliografia

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