1 Settembre 2007 | Residenzialità

La gestione del rischio di infezioni correlate alle pratiche assistenziali in RSA. Il caso della Fondazione Santa Maria Ausiliatrice.

La gestione del rischio di infezioni correlate alle pratiche assistenziali in RSA

Le infezioni ospedaliere sono da anni all’attenzione degli addetti ai lavori per gli alti costi umani ed economici, e la possibilità di prevenzione attraverso l’implementazione di misure di sorveglianza e controllo. Meno noto è il problema delle infezioni nelle strutture residenziali per anziani: negli ultimi anni si è però cominciato a parlarne, anche nel nostro paese, in occasione di convegni scientifici e dopo che specifiche indagini, condotte in Friuli ed Emilia Romagna, hanno evidenziato un tasso di prevalenza di infezioni non inferiore a quella osservata negli ospedali.

 

Numerosi lavori in letteratura confermano che le infezioni, spesso correlate alle pratiche assistenziali, si verificano di frequente in strutture residenziali per anziani e costituiscono, negli Stati Uniti, la principale causa di morbosità, di ricovero in ospedale e di mortalità. Il dato non deve stupire se si considera che queste strutture ospitano una popolazione “fragile” ad alto rischio di infezioni. È opportuno ricordare come i “Centers for Disease Control and Prevention” (CDC) abbiano sostituito il termine “nosocomial infections”con la dizione “healthcarerelated infections”. Anche in Italia si comincia ad abbandonare la dizione di “infezioni nosocomiali” e si parla sempre più spesso di “infezioni legate alle pratiche assistenziali”, “infezioni legate alle organizzazioni sanitarie”, “infezioni legate alle strutture sanitarie”, ricomprendendovi le complicanze infettive per i soggetti assistiti, sia in regime di ricovero che ambulatoriale, presso ospedali, strutture ambulatoriali e strutture socio-assistenziali.

 

I dati della letteratura indicano che le infezioni endemiche colpiscono più frequentemente il tratto urinario, le vie respiratorie, la cute e i tessuti molli, ma anche il tratto intestinale e le congiuntive. Rare, invece, diversamente dagli ospedali per acuti, le infezioni della ferita chirurgica. Nelle RSA si possono anche verificare infezioni, in forma di focolai o epidemie, a carico del tratto gastrointestinale, delle vie respiratorie (a eziologia soprattutto virale), della cute (da Stafilococchi, Streptococcus pyogenes, ma anche scabbia).

 

La diagnosi di infezione nei residenti delle RSA si presenta molto più difficile che in ambito ospedaliero per diverse ragioni:

  • tipo di popolazione assistita: le manifestazioni cliniche delle malattie infettive sono spesso subdole o inesistenti nelle persone molto anziane; la febbre può essere bassa o assente nei residenti in RSA anche in presenza di infezione; il paziente può lamentare i disturbi in ritardo o non esserne capace; i dati clinici possono essere di difficile interpretazione per la presenza di malattie concomitanti e perché la sintomatologia si presenta diversa che nel giovane e nell’adulto;
  • il ridotto numero di operatori sanitari: le visite del medico non sono frequenti e la responsabilità della diagnosi di infezione ricade inizialmente sull’infermiere;
  • la difficoltà di accedere a indagini di laboratorio o strumentali: la difficoltà ad accedere ad indagini microbiologiche, in particolare, impedisce la somministrazione di terapie antibiotiche mirate, contribuendo alla inappropriatezza di tali terapie segnalata da diversi autori.

 

Le linee guida e gli standard usati per la diagnosi e la sorveglianza delle infezioni dei pazienti degenti in ospedale possono quindi non essere applicabili o risultare inappropriate per i residenti in RSA. Pur non numerose, sono oggi disponibili alcune linee guida per la gestione delle infezioni nelle RSA: sulla valutazione della febbre, sulle misure di prevenzione e di controllo delle infezioni, sui criteri per iniziare una terapia antibiotica, sulla definizione di infezioni per la sorveglianza.

 

In ospedale, di fronte ad una sospetta infezione, è facile e frequente il ricorso alle indagini microbiologiche che possono consentire l’individuazione del patogeno in causa (conferma dell’infezione e diagnosi eziologica), l’avvio di una terapia mirata sulla base dell’antibiogramma, la disponibilità di dati epidemiologici e la loro divulgazione (utili per una terapia empirica), la pronta segnalazione di microrganismi “alert”, con l’attivazione di misure per prevenirne la diffusione. Nelle RSA, come sopradetto, gli accertamenti microbiologici non sempre sono possibili e pertanto diventa essenziale focalizzare l’attenzione sulla attività di prevenzione. In generale, comunque, si può affermare che le indagini microbiologiche sono indicate in base alla semplicità/fattibilità di raccolta del materiale, ai costi, al miglioramento atteso nella gestione del malato (se i risultati del test non portano a modificare le decisioni cliniche e/o le strategie terapeutiche ci sono scarse giustificazioni della prescrizione di esami di laboratorio). Nonostante le difficoltà citate diventa ormai indispensabile per le RSA affrontare in modo significativo il problema delle infezioni.

 

Nel caso descritto in questo elaborato la scintilla d’avvio è riconducibile allo slogan di seguito riportato: “Da un evento avverso spesso nascono proposte e idee che si possono concretizzare in azioni migliorative quando vi è univocità di intenti e caparbietà nel raggiungerli”. Proprio a seguito di un evento avverso (tossinfezione alimentare) nella Fondazione Casa di Ricovero Santa Maria Ausiliatrice di Bergamo è nato il progetto denominato “programma di sorveglianza e controllo delle infezioni correlate a pratiche assistenziali”.

 

Il Progetto, realizzato con la collaborazione della Cattedra di Igiene e Medicina Preventiva dell’Università degli Studi di Udine, con l’unità Operativa di Microbiologia dell’Azienda Ospedaliera di Bergamo, e successivamente con l’Azienda Sanitaria Locale di Bergamo, si è posto come obiettivo principale di fornire una prima dimensione del fenomeno rischio infettivo nelle RSA della provincia di Bergamo ed evidenziare le aree a maggior criticità per poter poi implementare in modo più specifico ed appropriato il sistema di sorveglianza da attuare. In questo elaborato si andranno ad evidenziare tutte le fasi progettuali, soffermandosi in modo particolare sull’elaborazione dei risultati forniti dai dati raccolti per poter, successivamente, identificare delle strategie da implementare nelle realtà assistenziali.

 

Le fasi progettuale

  1. Analisi del contesto Alcuni ricercatori della Cattedra di Igiene e Medicina Preventiva dell’Università degli Studi di Udine, con alcuni operatori dell’unità Operativa di Microbiologia dell’Azienda Ospedaliera di Bergamo, e con il contributo della Direzione Sanitaria e Infermieristica della Fondazione, hanno svolto più sopraluoghi in RSA per evidenziare il contesto di riferimento inteso come struttura (unità operative), pazienti (tipologia), personale (numero, qualifiche, formazione permanente), processi assistenziali (protocolli/ procedure, documentazione sanitaria e schede di valutazione,utilizzo disinfettanti, gestione dei rifiuti, sanificazione ambientale, processo di sterilizzazione, percorsi sporco/pulito e gestione lavanderia, gestione dei servizio pasti, sorveglianza dell’acqua potabile).
  2. Analisi delle criticità e proposte operative. Al termine dei sopraluoghi si è redatta una relazione finalizzata ad evidenziare le possibili criticità, anche se la situazione generale è apparsa correttamente impostata. Nello specifico si è richiesto un maggior coinvolgimento della direzione dell’Ente nel definire una politica aziendale centrata sul controllo del rischio infettivo (strategie, risorse assegnate, politica di incentivazione per il personale, formazione) e una rivalutazione di alcune procedure particolarmente soggette a rischio (sterilizzazione, ristorazione, percorsi, utilizzo dei disinfettanti, isolamento funzionale dei pazienti infetti).
  3. Progetto di sorveglianza. Il progetto di sorveglianza ha previsto un percorso completo che va dalla fase di formazione del personale operante nella struttura, alla supervisione dello studio di sorveglianza con “tutor” in sede, all’elaborazione dei dati di prevalenza con produzione dei “report” relativi ai risultati di studio.

 

Studio di prevalenza

  1. Obiettivo principale: definire la prevalenza delle tipologie di ICPA più frequenti all’interno della struttura.
  2. Obiettivi secondari:
  • sorvegliare le procedure assistenziali al fine di identificare comportamenti non corretti e migliorabili;
  • stimare il rischio infettivo associato alle procedure assistenziali;
  • stimare la prevalenza dei pazienti esposti alle procedure invasive/assistenziali;
  • valutare l’utilizzo di antibiotici;
  • valutare la completezza della documentazione sanitaria;
  • creare un sistema di indicatori sentinella.

 

  1. Disegno dello studio: nelle unità di degenza il carattere di puntualità dell’indagine è stato garantito dal fatto che in uno stesso reparto l’indagine si è completata nell’arco di un solo giorno; hanno partecipato allo studio tutti i reparti della struttura. L’indagine di prevalenza è stata preceduta da un corso di formazione rivolto agli operatori, riguardante la metodologia degli studi epidemiologici e le procedure dello studio, al fine di garantire la corretta rilevazione dei dati da parte dei rilevatori; la popolazione in studio è stata rappresentata da tutti i pazienti ricoverati da almeno 48 ore; sono stati utilizzati i criteri della “America Practioner Infection Control” per la definizione di caso.
  2. Ampliamento del disegno dello studio: l’Azienda Sanitaria Locale di Bergamo, messa a conoscenza del progetto di studio, ha deciso di coinvolgere anche altre RSA della provincia; lo studio, pertanto, è stato realizzato in 14 RSA.
  3. Formazione del personale: si sono realizzate tre edizioni formative che hanno visto la partecipazione di 26 medici,83 infermieri,24 terapisti e 14 OSS.
  4. Lo studio di prevalenza, che ha visto coinvolte 14 RSA della provincia Bergamo, si è svolto nella settimana dal 6 al 12 giugno 2005.Ogni RSA ha svolto l’indagine in un giorno definito. Durante lo svolgimento dell’indagine è stato a disposizione dei rilevatori un supervisore della cattedra di Igiene dell’Università degli Studi di Udine. Il protocollo adottato per lo studio di prevalenza è di seguito riportato.
  5. Si è ritenuto di ricercare anche gli enterobatteri produttori di betalattamasi a spettro esteso con l’obiettivo di valutare la frequenza di colonizzazione da batteri produttori di ESBL nelle urine di soggetti portatori di catetere vescicale a permanenza in quanto i ceppi produttori di ESBL sono particolarmente temibili essendo resistenti a tutte le penicilline, alle cefalosporine, anche di terza e quarta generazione, all’aztreonam.
  6. Solo nella Fondazione Santa Maria Ausiliatrice e in un’altra RSA si è provveduto a raccogliere tamponi per la ricerca dello staphylococcus aureus meticillino resistente (MRSA). Sono stati effettuati n.233 tamponi sui dipendenti e n.466 sui pazienti nella Fondazione Santa Maria Ausiliatrice e n.88 sui pazienti nell’altra RSA con l’obiettivo di valutare la frequenza di colonizzazione nasale da MRSA in quanto i ceppi meticillino-resistenti danno infezioni più gravi rispetto a quelli meticillino sensibili; sono resistenti a tutte le penicilline e cefalosporine, e spesso anche ad aminoglicosidi, chinolonici e macrolidi. Le infezioni da ceppi MRSA presentano inoltre una maggior gravità (malattie di più lunga durata e gravate da più alta mortalità).I ceppi MRSA sono trasmessi soprattutto durante le manovre assistenziali, ed è quindi possibile ridurne l’incidenza.

 

 

 

 

 

I dati emersi dallo studio di prevalenza

Il data entry, realizzato da un unico operatore, è stato effettuato utilizzando il programma EpiInfo 2002. L’analisi statistica è stata condotta con il programma SPSS V.12. La prevalenza è stata calcolata come numero di soggetti infetti (soggetti con almeno un’infezione) sul numero di anziani arruolati nello studio. Per il confronto tra medie (età, durata della degenza, punteggio Mini Mental State Examination, punteggio Barthel) è stato utilizzato il test di Kruskall Wallis per K campioni indipendenti.

 

Per il confronto tra proporzioni è stato utilizzato il test chi quadro. Il livello di significatività statistica accettato come valido è stato definito a p < 0,05. Sono state condotte analisi univariate al fine di evidenziare associazioni tra infezioni e fattori di rischio. Per ciascuna possibile associazione è stato calcolato l’Odds Ratio, con intervalli di confidenza al 95%. Le variabili che all’analisi univariata hanno evidenziato un’associazione di rischio statisticamente significativo sono state introdotte in un modello di analisi multivariata, per il quale è stata utilizzata la regressione logistica, al fine di controllare il confondimento tra variabili.

 

Caratteristiche demografiche

Sono stati reclutati complessivamente 1.498 soggetti. Il 73% (1.093/1.498) della popolazione arruolata era di sesso femminile.L’età media è risultata di 82 anni (Deviazione Standard [DS] ± 10,3, moda 92, mediana 83) con i maschi (DS ± 11,2,moda 76,mediana 77) significativamente più giovani delle femmine (DS ± 10,2,moda 92, mediana 85) (p < 0,05). La durata media della permanenza è di 4,8 anni (DS 6,1 mediana 3,moda 1). Tra le 14 case di riposo arruolate sono emerse delle differenze statisticamente significative nella distribuzione di età e di durata di permanenza.

 

Caratteristiche clinico assistenziali

Il punteggio medio della scala Barthel era di 39 (DS ± 33,mediana 33 moda 0;) con punteggi significativamente più elevati tra i maschi (media 45,DS ± 53,moda 0, mediana 40) rispetto alle femmine (media 36,DS ±31, moda 0,mediana 30) (p < 0,05). La media del punteggio MMSE è risultata di 16.3 (DS ± 9;mediana 18;moda = 16) con una differenza statisticamente significativa tra sessi (Maschi: media 18, DS ± 8, mediana 20; Femmine: media 15,DS ± 9,mediana 16) (p < 0,05). Il 62,3% (934/1.498) dei pazienti aveva un presidio antidecubito: tra questi il 53% (499/934) ne aveva uno da letto e il 46,5% (435/934) uno da poltrona. Sono risultate patologie di base più frequenti: la demenza nel 52% dei casi (729/1498),le patologie neurologiche nel 33%,la BPCO nel 27%.Nel 7,2% (108/1.498) dei casi non era stata rilevata alcuna comorbosità;il 55% (837/1.498) dei pazienti presentava più di 2 comorbosità.

 

Il 77,9% (1.167/1.498) dei pazienti al momento dell’indagine portava il pannolone, di questi il 92% (1.074/ 1.167) dei casi ne faceva un utilizzo permanente nell’arco delle 24 ore. Il 9% (138/1.498) della popolazione presentava, nel giorno dell’indagine, almeno un device; in 31 casi (2%) ne presentava 2 ed in 8 casi (0,5%) ne presentava 3. Il 5,1% dei pazienti (77/1.498) era sottoposto a cateterismo delle vie urinarie,il 2,4% (36/1.498) presentava un catetere venoso periferico (CVP), l’1,6% (25/1.498) portava una gastrostomia endoscopica percutanea (PEG), infine l’1% (14/1.498) era in ossigenoterapia. Nessun paziente aveva un catetere venoso centrale.

 

Il 6,9% (104/1.498) dei pazienti nel giorno dello studio era in antibioticoterapia, in 11 casi con più di un antibiotico. Le molecole più frequentemente usate sono il ceftriaxone [20,8% (24/115)], l’amoxicillina-acido clavulanico [9,5% (11/115)], la levofloxacina [8,6% (10/115)] ed il sulfametoxazolo-trimetoprim [7,8 % (9/115)]. I pazienti delle 14 case di riposo differiscono significativamente per i punteggi Barthel e MMSE e per la complessità clinica dei pazienti, intesa come numero di patologie di base presenti.

 

Prevalenza delle ICPA

Sono state rilevate complessivamente 120 ICPA in 105 pazienti pari ad una prevalenza di infezioni dell’8% (120/1.498) e degli infetti del 7% (105/1.498). Tredici pazienti presentavano infezione doppia e uno presentava infezione tripla. Non c’erano differenze statisticamente significative tra maschi e femmine o per classi di età. Le infezioni più frequentemente riscontrate sono state le bronchiti/tracheo-bronchiti nel 34,3% (36/105) dei casi, seguite dalle infezioni delle alte vie respiratorie nel 21% dei casi (22/105), dalle congiuntiviti nel 17,1% (18/105) e dalle infezioni delle vie urinarie nel 16,2% (17/105).

 

L’analisi univariata dei fattori di rischio correlati allo sviluppo di ICPA evidenzia come significativamente associati:

  • il punteggio Barthel < 79;
  • l’incontinenza;
  • la presenza di BPCO;
  • il deterioramento della funzionalità definito sulla base del giudizio clinico del medico;
  • la presenza di almeno un presidio antidecubito;
  • la presenza di almeno un device.

 

L’analisi multivariata ha poi confermato come fattori di rischio statisticamente associati allo sviluppo di infezione:

  • la presenza di almeno un presidio antidecubito;
  • la presenza di BPCO;
  • l’improvviso deterioramento delle funzionalità;
  • la presenza di almeno un devices.

 

Prevalenza ceppi ESBL

Il campionamento delle urine è stato fatto solo su pazienti portatori di catetere vescicale a permanenza (>24 ore). Dai 78 pazienti con catetere, sono stati identificati 39 (50%) campioni con presenza di ceppi ESBL produttori. Di questi il 39% (15/39) era rappresentato da E.Coli e il 33,3% (13/39) da Proteus Mirabilis. Dei 39 pazienti con presenza di ceppi ESBL produttori, 3 avevano un trattamento antibiotico in corso rispettivamente con amoxicillina/clavulanato, mupirocina e cefonicid.

 

I dati emersi dallo studio di prevalenza nella Fondazione Santa Maria Ausiliatrice

Sono stati reclutati complessivamente 465 soggetti, con età media di 79,9 anni (moda 82, mediana 82, DS ± 11,5).Sono state rilevate complessivamente 22 infezioni nosocomiali in 21 pazienti, pari ad una prevalenza rispettivamente del 4,7% (22/465) e del 4,5% (21/465). Un paziente presentava infezione doppia.

 

Le infezioni riscontrate sono state:

  • 7 infezioni delle vie urinarie [1,5% (7/465)];
  • 7 bronchiti/tracheobronchiti [1,5% (7/465)];
  • 3 congiuntiviti [0,6% (3/465)];
  • 1 polmonite [0,2% (1/465)];
  • 1 infezione della cute [0,2% (1/465)];
  • 1 infezione della bocca [0,2% (1/465)];
  • 1 infezione micotica/scabbia [0,2% (1/465)].

 

L’8,4% (39/465) dei pazienti era in antibioticoterapia. La prevalenza di S. Aureus resistente alla meticillina (MRSA) tra tutti i pazienti della struttura residenziale era dell’8,4% (39/465). Tra i pazienti cateterizzati sono stati isolati 15 ceppi di microrganismi produttori di ESBL (6 E.Coli,5 P. Mirabilis, 3 C.Koseri ed 1 P. Stuartii. La prevalenza dello Staphilococcus Aureus Meticillino-Resistente (MRSA) tra i dipendenti della Fondazione Santa Maria Ausiliatrice è stimata essere il 6,5% (15/232).

 

Commenti ai risultati

L’obiettivo principale dello studio è stato quello di dare una prima dimensione al problema delle infezioni correlate a pratiche assistenziali all’interno delle strutture per anziani, così da avere un primo dato rispetto al quale confrontarsi per decidere azioni future di prevenzione e di monitoraggio.

 

La scelta dell’indagine di prevalenza ha il vantaggio di essere rapida ed economica in quanto non necessita di particolari risorse aggiuntive, soprattutto in termini di personale coinvolto nello studio. L’indagine di prevalenza tuttavia è caratterizzata anche da alcuni svantaggi: primo tra tutti quello di permettere un’osservazione del fenomeno estremamente limitata nel tempo e una minore possibilità di inferenza rispetto ai fattori di rischio. Per ridurre la variabilità tra rilevatori, lo studio è stato preceduto da una fase di formazione specifica ed estesa a tutto il personale operante nelle strutture. Il corso, oltre ad una parte di didattica frontale, ha previsto anche delle esercitazioni con simulazione di casi clinici e discussione dal punto di vista operativo della scheda di raccolta dati. Per la valutazione clinico-assistenziale dei pazienti sono state utilizzate le scale Barthel e il Mini Mental State Examination; entrambe sono parte integrante di un sistema di valutazione regionale definito “Scheda SOSIA” che permette la registrazione amministrativa, e non dei pazienti, all’interno delle strutture residenziali lombarde.

 

L’assistenza ad anziani per condizioni patologiche acute o croniche, in passato prerogativa degli ospedali, si è profondamente modificata con la nascita di nuovi luoghi di cura che comprendono strutture riabilitative, residenze sanitarie assistite, case protette, centri diurni, day hospital, ambulatori, assistenza domiciliare integrata. Nella realtà italiana è difficile dare una definizione uniforme per ogni singola tipologia di struttura in quanto c’e una specificità legata al contesto regionale. All’interno di queste realtà il livello di cura prestato, nonché l’assistenza infermieristica erogata, è molto diverso in relazione alla variabilità del carico assistenziale. Nello specifico le Case di riposo e le Residenze Polifunzionali rappresentano quelle strutture che, analogamente alle “Nursing Home”, erogano assistenza riabilitativa e psichiatrica per lungodegenti, ed hanno ricoveri maggiormente improntati al carattere della residenzialità, provvedendo a fornire cure infermieristiche, mediche e socio assistenziali ad una popolazione di residenti tipicamente geriatrica.

 

Le strutture residenziali della provincia di Bergamo partecipanti allo studio possono essere considerate più affini alle realtà delle “nursing home”, o case di riposo, in base alla tipologia ed alla complessità del case mix, all’intensività delle cure erogate ed ai tempi medi di degenza dei pazienti ospitati. Le caratteristiche demografiche dei pazienti studiati sono confrontabili con gli studi svolti in precedenza in Italia: i pazienti appartengono più frequentemente al sesso femminile, sono molto anziani, circa il 30% ha un’età superiore o uguale a 90 anni e provengono per lo più dal domicilio o da altre strutture socio-sanitarie. I maschi,rispetto alle donne, sono più giovani, pur avendo delle degenze medie più lunghe e caratteristiche clinico assistenziali (scala Barthel) più compromesse. I tempi medi di permanenza di quasi 5 anni confermano la netta impronta socio-assistenziale, piuttosto che sanitaria, delle residenze studiate. La preponderanza dell’aspetto residenziale nell’assistenza fornita è, comunque, conseguenza dell’elevata complessità dei pazienti in quanto: essi hanno una capacità motoria e uno stato cognitivo significativamente compromessi; hanno almeno una patologia di base che, nella maggior parte dei casi, è la demenza; tra le comorbosità compaiono le BPCO ed il diabete.

 

Lo studio condotto ha stimato una prevalenza di infezioni pari all’8%. La Tabella 1 pone a confronto i risultati con studi analoghi prodotti in Emilia Romagna e Norvegia rispettivamente nel 2003 e nel 1999. Sebbene le infezioni delle basse vie respiratorie siano le più frequenti, va segnalato che questo dato è in parte collegato ad un periodo dell’anno in cui non era presente la circolazione del virus influenzale; questo ha una ricaduta anche sulla frequenza delle polmoniti che, molto spesso, sono una complicanza delle sindromi influenzali negli anziani.

 

Tra i fattori di rischio emersi dall’analisi multivariata, oltre a quelli precedentemente citati (BPCO e presenza di un devices), compaiono anche il deterioramento della funzionalità (stato confusionale, cadute, diminuita collaborazione, deterioramento capacità motoria) e la presenza di almeno un presidio antidecubito. Questo è un dato estremamente interessante perché permette di definire degli ambiti di intervento assolutamente specifici per questo tipo di pazienti e quindi di tarare i programmi di controllo indirizzando le azioni di sorveglianza su procedure assistenziali specifiche con possibilità concrete di ottenere dei risultati. Un altro importante spunto di riflessione è dato dalla valutazione del parametro febbre. Nel nostro studio il 60% (909/1498) dei pazienti aveva una misurazione della temperatura ascellare nel giorno dello studio e, di questi, solamente 54 soggetti (0,1%) avevano una temperatura ≥ 37,0°C.

 

I protocolli assistenziali all’interno delle strutture studiate non prevedono la rilevazione della temperatura con frequenza quotidiana ma la limitano ai casi in cui gli operatori lo ritengano necessario in base al sospetto clinico. L’indisponibilità di questo parametro potrebbe inficiare la sensibilità del sistema, essendo la febbre un criterio trasversale a tutte le definizioni di caso. In realtà la complessa condizione della popolazione presa in esame si accompagna ad una implicita domanda di assistenza che permette all’operatore sanitario di verificare lo stato del paziente almeno 3 volte nell’arco delle 24 ore, ed in questo modo un rialzo febbrile difficilmente sfugge all’operatore esperto. Il dato di prevalenza emerso dallo studio (50%) relativo ai microrganismi produttori di ESBL va considerato in un contesto che verosimilmente ha alcuni limiti metodologici. Il dato di prevalenza rappresenta la prima esperienza in tal senso svolta in Italia e, quindi, non è stato possibile fare un confronto metodologico con indagini svolte in un contesto similare.

 

In letteratura la prevalenza dell’uso degli antibiotici è circa dell’8%;lo studio di prevalenza norvegese ha indicato una prevalenza del 7%;nel nostro studio la prevalenza dell’uso degli antibiotici nel giorno dello studio è stata complessivamente del 6,9%,allineata quindi con i dati norvegesi. Tra le molecole più usate emergono il ceftriaxone (nel 20% dei casi),seguito dall’amoxicillina clavulanato. Il problema degli antibiotici all’interno di queste strutture, oltre alla frequenza d’uso, è legato all’appropriatezza della prescrizione. Spesso, infatti, la terapia antibiotica viene iniziata senza un dato microbiologico che confermi l’eziologia o le resistenze del microrganismo. Questo è legato alla organizzazione funzionale delle strutture che, non avendo laboratori in loco, devono gravitare su centri ospedalieri di riferimento. Il tutto spesso si traduce in una minor prescrizione di esami o, comunque, con tempi di acquisizione dei referti che spingono il medico a iniziare terapie empiriche immediate.

Tabella 1 – Confronto tra la prevalenza di infezioni rilevata nello studio di Bergamo e la prevalenza rilevata dagli altri studi

 

 

Considerazioni sui dati emersi dallo studio di prevalenza nella Fondazione Santa Maria Ausiliatrice

Nella Fondazione Santa Maria Ausiliatrice si evidenzia un “pattern” di infezioni sovrapponibili al quadro della popolazione generale. Si auspica, pertanto, una sorveglianza continua del rischio infettivo, ed una valutazione delle procedure assistenziali interne, anche rispetto alla loro applicazione, ed un’attenzione particolare agli assistiti che rientrano in specifici profili di rischio (ad esempio i pazienti portatori di device). Per quanto concerne il personale di assistenza ricordiamo che sono stati indagati 233 operatori per la ricerca di MRSA tramite tampone nasale, che di questi 15 (6%) sono risultati positivi e 218 (94) negativi. Il dato ottenuto si colloca al di sotto della percentuale prevista per una popolazione sana in quanto si stima che circa il 2530% di questa sia portatrice nasale di Staphilococcus aureus e che nelle RSA la prevalenza di colonizzazione da MRSA si colloca tra l’8% e il 53%. Rammentiamo comunque che la trasmissione di MRSA avviene soprattutto attraverso le mani (il personale di assistenza gioca un ruolo decisivo) da persona a persona. La prevenzione si basa quindi sul rispetto rigoroso delle misure igieniche quali il lavaggio delle mani e l’utilizzo dei guanti quando è probabile il contatto con liquidi biologici.

 

 

Considerazioni conclusive

Le infezioni costituiscono una evenienza di frequente osservazione nelle RSA, spesso legate alle pratiche assistenziali e sostenute da batteri resistenti. Ci sono però forti differenze tra le infezioni contratte in ospedali per acuti e nelle RSA, relative a: popolazione, tipologia delle cure, potenzialità di trasmissione crociata, risorse assegnate, disponibilità di personale medico ed infermieristico, possibilità diagnostiche, strumenti e programmi di prevenzione e controllo, ecc. Occorre allora sviluppare strategie specifiche per queste strutture. In letteratura si trovano linee guida, “position paper” o raccomandazioni basate su studi specifici effettuati in RSA o mutuate dall’esperienza ospedaliera. Due gli aspetti che meritano attenzione: la prevenzione e controllo delle infezioni nelle RSA e il contenimento delle resistenze antibiotiche.

 

Un programma di prevenzione e controllo è ben delineato in un “position paper” SHEA/APIC e si basa su:

  • una struttura di riferimento e coordinamento, equivalente ai Comitati per le infezioni ospedaliere (CIO), e personale dedicato;
  • un programma di sorveglianza delle infezioni e di pronto riconoscimento di focolai;
  • disponibilità locali, strutture ed attrezzature adeguate;
  • applicazione e controllo delle precauzioni universali;
  • rispetto dell’asepsi e del lavaggio delle mani;
  • adeguata assistenza ai residenti, con particolare attenzione alle misure di prevenzione del rischio infettivo ed alla applicazione di programmi vaccinali;
  • accertamenti sanitari sugli operatori;
  • iniziative di formazione/addestramento del personale.

 

L’altro aspetto importante è quello della prevenzione delle resistenze batteriche. Una SHEA “position paper” sull’uso degli antibiotici nelle RSA indica come prioritari:

  • includere la promozione del buon uso degli antibiotici tra le priorità del programma di controllo delle infezioni (l’uso inappropriato di antibiotici può vanificare gli sforzi di controllo delle infezioni);
  • conoscere i “pattern” prescrittivi e rilevare le prescrizioni di antibiotici;
  • produrre linee guida che ne favoriscano l’uso giudizioso (necessità di una “sensibilità ecologica”nelle prescrizioni).

 

Tutte queste raccomandazioni (con le sole eccezioni del lavaggio delle mani e delle vaccinazioni) sono supportate da una moderata evidenza (forza dell’evidenza) e desunte dall’opinione di esperti riconosciuti, dai risultati di studi descrittivi o rapporti di comitati (qualità dell’evidenza).

 

Non esiste un solo futuro ma molteplici forme potenziali di futuro.

Quale forma di futuro avrà luogo dipende dai piccoli cambiamenti e dalle scelte individuali nell’immediato (R.Stacey)

 

Per quanto riguarda la Fondazione Santa Maria Ausiliatrice l’impegno per il futuro si concretizza nell’implementare progetti di miglioramento dell’assistenza volti a:

  • rilevare segni e sintomi precoci per la diagnosi di infezione;
  • utilizzare criteri standard per fare diagnosi di infezione;
  • promuovere la cultura della prevenzione e controllo delle infezioni;
  • promuovere politiche per l’uso appropriato di antibiotici.
  • nell’aggiornare il modello organizzativo gestionale dell’assistenza per facilitare il cambiamento ove necessario.
  • nel promuovere ulteriori studi di sorveglianza delle infezioni e confrontare i dati.

 

Questo articolo è tratto dalla tesi di laurea specialistica in scienze infermieristiche ed ostetriche di Adriana Belotti (dirigente risorse umane Fondazione Santa Maria Ausiliatrice Bergamo).

 

La Tesi è stata discussa presso l’Università degli Studi di Pavia nel luglio 2006. Il relatore della tesi è stato il Professor Cesare Meloni.

Bibliografia

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AA.VV. (a cura di) Giornale Italiano delle Infezioni Ospedaliere, Volume n. 12,Lauri Edizioni,2005.

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