1 Settembre 2007 | Professioni

L’empatia in Edith Stein: la giusta distanza per essere accanto all’altro

L’empatia in Edith Stein: la giusta distanza per essere accanto all’altro

Introduzione

Edith Stein, filosofa tedesca, attraverso i suoi studi sull’empatia individua nell’atto percettivo di contatto con il mondo esterno dell’Einfühlung (empatia), una possibilità che consente, attraverso il suo dispiegarsi, una reciprocità necessaria per cogliere il sentire di chi è diverso da me.

 

Se l’attività di cura è caratterizzata prioritariamente dall’essere accanto, ecco allora che le caratteristiche di questa vicinanza e lontananza diventano fondamentali nel qualificare la natura e il realizzarsi delle professioni di cura.

 

Gesti di cura: l’empatia

L’empatia in senso filosofico e psicologico generale si può identificare come una immediata intuizione e partecipazione emotiva agli stati affettivi altrui. Questa definizione, tratta dall’Enciclopedia della filosofia e delle scienze umane (Enciclopedia della Filosofia e delle scienze umane,1996), si sviluppa pienamente nel lavoro di Carl Rogers (1902-1987), psicanalista americano, ed Abraham Maslow (1900-1970), psicologo statunitense fondatore della psicologia umanistica.

 

Nella sua opera Maslow sottolinea l’importanza dei valori nello sviluppo della personalità, criticando l’impostazione del comportamentismo e della psicoanalisi, ritenuta troppo riduttiva e meccanicistica. Rogers nella sua opera “La terapia centrata sul cliente” sostiene che l’approccio con il cliente debba essere fondato sull’empatia, dove per empatia si intende un rapporto a tu per tu, benevolo e comprensivo, che valorizza la spinta autonoma alla crescita. Nella relazione, secondo Rogers, il terapista deve essere se stesso senza erigere barriere professionali e mettersi maschere: deve rendersi trasparente al cliente in modo che egli possa vedere senza esitazioni ciò che il terapista è nella relazione. Si arriva così ad uno stretto abbinamento tra ciò che viene sperimentato a livello fisico, ciò che è presente alla coscienza e ciò che viene espresso al cliente. Il terapeuta deve valorizzare la persona che incontra in modo totale, soprattutto attraverso una comprensione empatica di quanto il cliente sente a livello cosciente, dei suoi sentimenti e dei suoi significati personali.

 

L’empatia, dunque, può essere definita come la capacità di sentire il mondo personale del cliente come se fosse nostro: sentire l’ira, la paura, il turbamento dell’altro come se fossero nostri, senza però aggiungervi la nostra ira, la nostra paura, il nostro turbamento. Grazie all’empatia il terapeuta si sente libero di muoversi liberamente, di esprimere ciò di cui il cliente è conscio, di dare significato a quegli aspetti del cliente di cui il cliente stesso è scarsamente conscio (Rogers,1994). Gli studi di Rogers sono stati in seguito ripresi ed approfonditi anche da altre discipline.

 

Nell’ambito dell’Infermieristica, per esempio, Jean Watson, teorica americana, se ne è avvalsa ampiamente per sviluppare un percorso epistemologico in merito alla disciplina infermieristica. Un saggio recente di Sylvia Määttä, infermiera e ricercatrice svedese, bene approfondisce il tema dell’empatia sviluppato dalla filosofa tedesca Edith Stein, applicandolo all’infermieristica (Määttä,2006). Dalla revisione della letteratura, a proposito dell’empatia Määttä evidenzia come il concetto di empatia sia stato introdotto nelle scienze infermieristiche nel 1973, ed abbia trovato successivamente credito nella letteratura psichiatrica. Attraverso ulteriori approfondimenti l’empatia è entrata come parte integrante nell’etica e L’empatia in nella filosofia della cura ed è stata considerata condizione fondante per la professione infermieristica (Olsen, 1991).

 

Da ulteriori ricerche realizzate in ambito anglosassone si è evidenziato come una cura senza empatia sia considerata meno efficace (Layton,n.21979). A questo proposito potrebbe essere interessante uno studio comparativo nella realtà italiana e verificare se anche nei nostri luoghi della cura l’empatia contribuisca a rendere maggiormente efficace l’azione terapeutica.

 

L’empatia in Edith Stein, la giusta distanza per essere accanto all’altro

Edith Stein (1891-1942) nasce a Breslavia ultima di una famiglia numerosa; il padre muore poco dopo la sua nascita; la madre, donna di carattere forte e di grande fede ebrea osservante, rimarrà per la Stein un importante punto di riferimento. Dotata di un’intelligenza vivace, particolarmente attratta dalla letteratura, Edith inizia gli studi universitari nella sua città natale approfondendo le discipline letterarie ed iniziando a frequentare corsi della nascente scienza psicologica. Inizia in questo periodo la lettura delle Ricerche logiche di Edmond Husserl, professore di filosofia all’Università di Gottinga. Trasferitasi a Gottinga per terminare gli studi universitari, ed affascinata dalla personalità di Husserl, chiede al maestro di farle da relatore per la sua tesi sul tema dell’empatia Einfühlung.

 

Con queste parole la Stein descrive la sua tesi: Nel suo seminario sulla natura e lo spirito, Husserl aveva parlato del fatto che un mondo esterno oggettivo poteva essere conosciuto solo in modo intersoggettivo, cioè da una maggioranza di individui conoscenti che si trovino tra loro in uno scambio conoscitivo reciproco. Di conseguenza è permessa una esperienza di altri individui. Collegandosi alle opere di Theodor Lipps, Husserl chiamava Einfühulung questa esperienza, ma non dichiarava in che cosa consistesse. C’era perciò una lacuna che andava colmata: io volevo ricercare che cosa fosse l’intuizione. Ciò non dispiacque al maestro (Stein,1992). L’empatia sarebbe diventata un argomento chiave per il metodo fenomenologico, ma all’epoca non era stato ancora sviluppato.

 

Il 3 agosto 1916,dopo diverse peripezie, la Stein riesce a discutere la sua tesi sull’empatia ottenendo il titolo di dottore in filosofia. Il rapporto con il maestro non è semplice, e nonostante la Stein riesca a considerarne lucidamente i difetti,l’amicizia e la venerazione per Husserl resteranno sempre costanti. Nel 1916,a casa di Husserl conosce Martin Heidegger, che diventerà in seguito collaboratore di Husserl.

 

Il 1° gennaio 1922, dopo una conversione legata in particolare alla lettura della Vita di Santa Teresa di Gesù, viene accolta attraverso il battesimo nella Chiesa Cattolica; il suo principale desiderio é quello di entrare immediatamente in convento seguendo l’insegnamento di Santa Teresa, ma le viene sconsigliato in considerazione della grande influenza che avrebbe potuto esercitare dalla sua posizione di filosofa già conosciuta. Inizia così diverse attività legate all’insegnamento in Istituti Superiori, sviluppando in particolare questioni di pedagogia con specifica attenzione ai temi relativi all’educazione della donna; approfondisce, inoltre, lo studio della dottrina tomistica confrontandola con un approccio fenomenologico. Negli anni ‘20 la sua attività di ricerca si fa più pressante con conferenze sempre più frequenti ed impegni sempre più coinvolgenti. Nel 1934 entra nel Carmelo di Colonia, dove prende il nome di Teresa Benedetta della Croce. Nel 1938 la situazione in Germania precipita tanto che il Carmelo non offre più alcuna garanzia di sicurezza; si trasferisce così in Olanda, nel Carmelo di Echt,ma anche in questo luogo non riuscirà a sfuggire alle persecuzioni antisemite. Il 9 agosto del 1942 muore ad Auschwitz insieme alle sorelle. Il 1° ottobre 1999 Giovanni Paolo II la nomina co-patrona d’Europa.

 

Empatia: dal renderci conto alla nascita di senso

Attraverso i suoi studi la Stein ricostruisce semanticamente l’empatia per arrivare a definirla fenomenologicamente come unico processo conoscitivo in grado di farci cogliere l’intersoggettività. La filosofa tedesca pone il problema dell’empatia perché si rende conto che nell’incontro tra esseri umani si scopre l’inconsistenza della soggettività assoluta; il fatto che ci capiti di incontrare emozionalmente e psichicamente l’esistenza di un’altra persona necessita della capacità di non aver bisogno di tutto quello che costituisce una soggettività autonoma da tutto il resto: i pensieri, la volontà, la coscienza e il comunicare attraverso parole banali. Le parole ci nascono proprio nel momento in cui è necessario renderci conto: una parola chiave dell’empatia, che ci scuote nel momento in cui arriva alla nostra sensibilità, é l’annuncio che un altro o un’altra stanno vivendo qualcosa1.

 

Il “rendersi conto” a cui fa riferimento Edith Stein è l’osservare, l’accorgersi di qualcosa che, “affiorando d’un colpo davanti a me, mi si contrappone come oggetto (come le sofferenze che ‘leggo sul viso dell’altro’)” (Stein, 1986). Secondo la Stein, dunque, esiste una sequenza, quasi simultanea, in cui l’altro/a e il suo dolore non sono un evento concreto e immediatamente comprensibile, ma si presentano nella forma dell’accadere di una rottura della continuità della mia esperienza. Quando ci rendiamo conto di questo, incomincia qualcosa che possiamo chiamare nascita del senso o, come lo definisce la filosofa, atto di empatia. Questo percorso ci mostra che l’asse dell’essere si sposta dalla capacità monopolista del pensare al punto mediano di incontro tra i due; come a dire che l’essere ha una struttura relazionale, che c’è essere nel momento in cui l’altro mi propone un suo vissuto, mi costringe a ridefinire ciò che sto vivendo, un atto che forse non compirei se non fossi messo in causa dall’altro.

 

La declinazione di ogni sentire e di ogni emozione è assolutamente personale, possibilmente unica per ciascuno, il problema pertanto si crea nel momento in cui l’incontro con l’altro mi costringe a ridefinire il mio modo di vivere. Questo lavoro di andata e ritorno quasi incessante costituisce per la Stein l’origine del senso della relazione; il tragitto tra l’uno e l’altro polo della comunicazione decide la capacità di stare sensatamente nella realtà e di ricevere un accrescimento della conoscenza di sé, ma per differenza, e non per somiglianza. Fare esperienza dell’altro, rendersi conto della sua gioia, del suo dolore, costituisce atto indispensabile per qualificare il rapporto troppo spesso impersonale con ciò che incontriamo: l’empatia costituisce l’atto mediante il quale l’essere umano si costituisce attraverso l’esperienza dell’alterità (Dio, l’altra, l’altro, la storia, la società, lo Stato, il corpo vivente) (Boella e Buttarelli,2000).

 

Empatia, secondo la Stein, non è però immedesimazione con l’altro. La filosofa respinge totalmente l’assimilazione dell’atto empatico con l’immedesimazione che considera, invece, come Unipatia. Nell’empatia non c’è un noi, ma due che si mantengono distinti soggettiva mente e anzi, si costituiscono soggettivamente nella relazione empatica. In questo frammento la Stein chiarisce il significato di empatia: Io incontro il dolore direttamente nel luogo in cui è al suo posto, presso l’altro, l’altra che lo prova, magari lo esprime nei tratti del volto o lo comunica in altri modi. Non mi abbandono in lei o in lui né proietto o trasferisco le mie qualità. Empatia è un’esperienza specifica, non una conoscenza più o meno probabile o congetturale del vissuto altrui.

 

Empatia è acquisizione emotiva della realtà del sentire altrui: si rende così evidente che esiste altro e si rende evidente a me stessa che anch’io sono altra. Empatia è allora amore per la sua struttura, è il viversi in relazione (Stein,1986). Nelle diverse realtà di cura gli operatori sperimentano quotidianamente vicinanze e lontananze in grado di far percepire all’altro un’accoglienza, una presenza premurosa e competente ma non invadente, rispettosa della sua storia, quell’empatia che Edith Stein considera come atto paradossale attraverso cui la realtà di ciò che non siamo, che non abbiamo ancora vissuto o che non vivremo mai, diventa elemento dell’esperienza più intima: quella del “sentire insieme” (Boella e Buttarelli, 2000). Questo percorso incessante di andata e ritorno, se pienamente consapevole, consente di sperimentare, nella differenza, la cura autentica dell’altro.

Note

  1. Dalla lezione di Annarosa Buttarelli al Master in Relazioni e sentimenti nelle professioni educative e di cura, Università Cattolica di Piacenza, A.A.2004/2005

Bibliografia

Boella L., Buttarelli A., Per amore di altro. L’empatia a partire da Edith Stein, Edizioni Cortina, Milano 2000,p.8.

Enciclopedia della Filosofia e delle scienze umane, Istituto Geografico De Agostini, Novara 1996,p.255.

Määttä S. Closeness and distance in the nurse-patient relation. The relevance of Edith Stein’s concept of empathy. Nursing Philosophy 2006;7:3-10.

Layton J. The use of modeling to teach empathy to nursing students. Research in Nursing and Health 1979;2:163-76.

Olsen D. Empathy as an ethical and philosophical basis for nursing. Advances in Nursing Science 1991;14:62-75.

Rogers C. La terapia centrata sul cliente, Psycho G. Martinelli & C.s.a.s., Firenze 1994,p.57.

Stein E. L’empatia, Franco Angeli, Milano 1986,p.62.

Stein E. Storia di una famiglia ebrea, lineamenti autobiografici: l’infanzia e gli anni giovanili, Città Nuova Editrice, Roma 1992,p.246.

Per le note biografiche di Edith Stein, cfr. Fusaro D. in Edith Stein, Vita e opere, in www.filosofico.net/edithstein.htm.

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