L’incremento del numero degli anziani in Italia è impressionante. Dall’inizio del secolo al 2017, gli ultrasettantenni sono passati da sette a dieci milioni e, secondo le previsioni dell’Istat, nel 2042 dovrebbero diventare quindici milioni. Questa irresistibile crescita è dovuta sia al progressivo ingresso in età anziana dei figli del baby boom nati fra il 1945 e il 1975 (invecchiamento dal basso), sia allo straordinario incremento della sopravvivenza (invecchiamento dall’alto). L’attesa di vita per un uomo italiano di 65 anni, inferiore a 14 anni nel 1982, passa a 19 anni nel 2017 e secondo l’Istat supererà i 21 anni nel 2042. Per una donna italiana, l’attesa di vita a 65 anni superava i 17 anni nel 1982, i 22 anni nel 2017, mentre dovrebbe sfiorare i 25 anni nel 2042, con una età media alla morte di poco inferiore a 90 anni. Questi scarni dati testimoniano grandi vittorie contro le malattie, ma suscitano anche timori sulla tenuta del nostro sistema di welfare. Come sarà possibile garantire a tutte queste persone un’adeguata assistenza sociale e sanitaria? È infatti ricorrente l’idea che l’invecchiamento della popolazione proceda di pari passo con l’incremento delle persone che vivono da sole, che non potranno godere dell’assistenza dei figli e che non avranno mezzi per sostenersi.
Con questo intervento vogliamo mostrare che – fortunatamente – questi timori sono in buona parte infondati. Le modifiche socio-demografiche degli anziani italiani che – con tutta probabilità – si realizzeranno nei prossimi vent’anni non saranno infatti tali da mettere in crisi la loro condizione di vita. Inoltre, se agiremo per tempo, il sistema di welfare può essere modificato in modo da reggere la sfida.1
Lo straordinario aumento del numero di anziani coniugati
Fra il 1982 e il 2017, in tutte le classi di età anziane aumenta la proporzione di persone coniugate. Ciò accade perché l’incremento della sopravvivenza fa aumentare anche l’età alla vedovanza. La probabilità per due coniugi di 30 anni (uomo) e 25 anni (donna) di celebrare le nozze d’oro era solo del 24% con la mortalità del 1982, del 54% con la mortalità del 2017.
Se nei prossimi due decenni la sopravvivenza degli anziani continuerà ad aumentare con gli stessi ritmi dei due decenni precedenti, la proporzione dei coniugati alle diverse età aumenterà ancora. Le previsioni dell’Istat suggeriscono che secondo la mortalità del 2042, per le donne coniugate a 25 anni con un trentenne, la probabilità di essere vedove a 75 anni si abbasserà ancora (23%) rispetto al 2017 (32%). Anche per gli uomini coniugati a 30 anni con una venticinquenne la probabilità di essere vedovo a 80 anni si abbasserà un poco (6%), ma era già molto bassa (9%) venticinque anni prima. Saranno invece sempre più numerose le coppie che celebreranno le nozze d’oro (67% rispetto al 54% del 2017). Grazie alle previsioni di mortalità e di popolazione dell’Istat, è possibile anche stimare la diversa crescita del numero di non coniugati e di coniugati nel prossimo ventennio. Quasi tutto l’aumento di uomini e donne ultrasettantenni osservato fra 2027 e 2042 viene assorbito dall’incremento dei coniugati (+68%) e delle coniugate (+102%). I non (più) coniugati aumenteranno moderatamente fra gli uomini, mentre resteranno costanti fra le donne.
Gli anziani italiani vivono e vivranno nei pressi dei loro (sempre meno numerosi) figli
Dal 2004, la ricerca Share analizza in modo sistematico le condizioni di vita e di salute di campioni statisticamente significativi degli italiani con più di 50 anni, con puntuali domande anche sui loro figli, inclusa la distanza rispetto alla casa dei genitori. I dati si riferiscono quasi esclusivamente agli anziani residenti in casa, ma la proporzione di anziani italiani che vivono in istituto è fra le più basse d’Europa, talmente bassa da non modificare in modo significativo i dati che ora andiamo a commentare.2
In Italia e nell’Europa Meridionale, è assai comune che genitori anziani e figli – pur non convivendo – risiedano poco distanti gli uni dagli altri. Questa specificità è spesso condizione dirimente per permettere agli anziani di restare nella loro casa di residenza, pur se in precarie condizioni di salute. Gli attuali italiani di età 80+ – nati fra il 1920 e il 1940 – sono stati i genitori del baby-boom, ossia delle numerose nascite avvenute nel trentennio 1945-75. Le generazioni successive, nate dopo il 1940, sono state invece protagoniste del grande calo delle nascite, iniziato – appunto – a metà anni Settanta e che prosegue tuttora. È quindi certo che nei prossimi anni saranno sempre più numerosi gli anziani con al massimo uno o due figli, mentre oggi sono ancora numerosi gli anziani che ne hanno tre o più. Di conseguenza, è possibile che il calo della fecondità successivo al 1975 renda più difficoltoso, per gli italiani nati dopo il 1940, poter contare su una sufficiente assistenza da parte di uno o più figli vicini di casa.
Sempre mediante Share, misuriamo come per un anziano cambia la “disponibilità” di figli vicini di casa al variare del numero dei figli. Fra le persone con figli, al crescere del numero di figli aumenta anche la probabilità di avere almeno un figlio residente vicino a casa. Il 75% delle donne e il 78% degli uomini nati nel 1938-47 con tre o più figli vivono a meno di un chilometro da almeno un figlio, mentre questa proporzione scende attorno al 50% per uomini e donne – sempre nati nel 1938-47 – con un solo figlio. Fra i più anziani e fra le più anziane, la prossimità con i figli aumenta, specialmente se hanno un figlio solo. Questi dati riflettono le strategie di donazioni dei genitori verso i figli. Un’altra ricerca ha mostrato che la propensione ad aiutare il figlio ad acquistare una casa aumenta al diminuire del numero dei figli, e che – quando il figlio è uno solo – la nuova casa acquistata è più spesso situata nei pressi di quella dei genitori.
Visti dal punto di vista dei figli, questi dati ci raccontano una storia molto simile: al diminuire del numero dei fratelli cresce la propensione a risiedere presso i propri genitori. Ad esempio, il 57% dei figli unici vive a meno di un chilometro dai genitori ultraottantenni, mentre la stessa proporzione è solo del 40% fra chi ha due o più fratelli.
Nei prossimi anni, anche se la propensione dei figli a vivere presso i genitori restasse la stessa, il numero di anziani residenti vicino ai figli è destinato a diminuire, a mano a mano che supereranno i settant’anni i genitori dei pochi figli nati dopo il 1975. Tuttavia, il numero di anziani con almeno un figlio vicino di casa non dovrebbe calare molto rapidamente, perché – come appena illustrato – la propensione a vivere nei pressi dei propri genitori è sensibilmente più alta per i figli unici o per chi ha un solo fratello.
Mettendo assieme tutti questi dati, possiamo stimare che nei prossimi due decenni il numero di anziani italiani con più di 70 od 80 anni con almeno un figlio residente a meno di un chilometro non dovrebbe scendere sotto il 60%. Tuttavia, questa apparente stabilità non deve tranquillizzare. L’onere di assistenza sulle spalle dei (pochi) figli certamente crescerà, poiché saranno sempre più rari i fratelli e le sorelle in grado di suddividersi l’onere di supportare un genitore, o entrambi i genitori anziani, nei periodi di difficoltà.
Sempre più istruiti
È agevole stimare quali saranno i titoli di studio degli anziani nell’Italia del futuro, perché il Wittgenstein Centre for Demography and Global Human Capital calcola e aggiorna on-line la popolazione per sesso, classe di età e dal 1950 al 2100 in tutti gli stati del mondo, differenziando per titolo di studio le stime e le previsioni della Population Division delle Nazioni Unite.
La scolarità degli italiani nati fra il 1890 e il 1970 si è modificata in modo radicale. Nelle coorti nate a cavallo del 1900 c’erano ancora analfabeti (il 10% fra gli uomini e il 14% fra le donne), e solo una minima parte di loro ha avuto accesso agli studi superiori (5% fra gli uomini e 3% fra le donne). Le cose cambiano per le coorti successive, con una forte accelerazione per le persone che supereranno i 70 anni dal 2020 in poi, protagoniste dalla riforma della scuola media unica (1963), della “corsa” al diploma superiore e del libero accesso all’università (1969). Di conseguenza, nei prossimi anni l’incremento della popolazione anziana si tradurrà in un rapido incremento della popolazione con titolo di studio medio-superiore. In Italia, fra il 2020 e il 2040 gli ultrasettantenni senza titolo di studio o con la sola licenza elementare passeranno da 5 milioni e 300 mila a 1 milione e 800 mila, mentre i laureati e diplomati passeranno da 2 milioni 800 mila a 8 milioni, ossia più di metà degli anziani del 2040.
Questo grande cambiamento avrà molte conseguenza. In primo luogo, anziani più istruiti vorrà dire anziani in grado di rapportarsi in modo più attivo con molti aspetti della vita moderna: quelli economici e finanziari, quelli legati alla salute, all’uso dell’informatica, e così via. Si modificheranno anche le modalità di fruizione del tempo, il rapporto con i figli e – più in generale – i rapporti interpersonali. L’incremento di diplomati e laureati spingerà verso l’alto anche la sopravvivenza degli anziani: secondo i calcoli dell’Istat, nel 2012 la speranza di vita a 70 anni era di un anno e mezzo più elevata per i laureati e le laureate rispetto alle persone con la sola licenza elementare.
Sempre più benestanti
Oggi gli anziani poveri, secondo l’Istat, sono pochi. Nel 2018 fra gli individui di età 65+, solo il 4% era in povertà assoluta, contro l’8% in età 35-64, il 10% in età 18-39 e il 12% in età 0-19. Non è facile stimare quali saranno le disponibilità economiche degli anziani nei prossimi vent’anni, perché sono troppe le variabili che determineranno i loro redditi futuri. Tuttavia, molti indizi suggeriscono che – a meno di disastri – la condizione economica degli ultrasettantenni del 2040 dovrebbe essere migliore rispetto a quella dei loro coetanei del 2020, e che nei prossimi anni gli anziani poveri potrebbero diminuire ancora.
In primo luogo, in Italia il reddito annuale disponibile (si tratta quasi solo di pensioni) per gli anziani con più di settant’anni è di 4-5.000 euro più elevato per i diplomati e laureati rispetto a quello dei coetanei meno istruiti. Quindi, il progressivo e rapido incremento degli anziani laureati e diplomati dovrebbe trascinare verso l’alto anche i loro redditi.
In secondo luogo, nei prossimi anni saranno sempre di meno gli anziani che disporranno solo della pensione minima, mentre non si farà ancora sentire in modo severo la compressione degli assegni pensionistici legata al passaggio al metodo contributivo.
In terzo luogo, le modifiche della struttura per stato civile spingeranno verso l’alto il reddito familiare degli ultrasettantenni, perché l’incremento degli anziani coniugati aumenterà il numero di famiglie anziane con due percettori di pensione. È vero che le pensioni di reversibilità in Italia sono generose, in una comparazione europea, ma restano sempre inferiori a quelle percepite in vita.
In quarto luogo, in Italia la proporzione di proprietari della casa di abitazione è altissima è praticamente uguale a prescindere dal sesso, dallo stato civile e dal titolo di studio delle persone di età 70+. È verosimile che nei prossimi anni questa quota aumenti ancora, essendo oggi più elevata fra le persone con 70-79 anni (85%) che fra quelle con più di 80 anni (79%, dati Share).
Infine, al primo gennaio del 2019 metà dei cittadini italiani maggiorenni residenti in Italia aveva più di 52 anni, e nel prossimo futuro l’età mediana degli elettori si alzerà ancora, a mano a mano che l’onda del baby-boom (gli italiani nati fra il 1950 e il 1975) avanzerà negli anni. Nel frattempo, gli elettori con meno di 50 anni, figli del calo di natalità successivo al 1975, saranno sempre di meno. È difficile immaginare che le forze politiche sfidino l’impopolarità, adottando misure fiscali e pensionistiche penalizzanti per la gran massa degli elettori.
Un welfare a misura degli anziani del futuro: aiutare gli aiutanti
I mutamenti socio-demografici più rapidi e importanti che nel prossimo ventennio interesseranno la popolazione anziana italiana saranno cinque:
- Aumento del 50% delle persone con più di settant’anni;
- Raddoppio degli anziani con più di novant’anni;
- Aumento degli anziani coniugati e specialmente delle anziane coniugate, a fronte di una sostanziale stabilità del numero degli anziani e delle anziane non coniugate;
- Aumento degli anziani con pochi figli;
- Aumento degli anziani istruiti, in buone condizioni economiche, proprietari di casa.
Non è facile dire se e in quale misura l’incremento dei grandi anziani trascinerà verso l’alto il numero dei non-autosufficienti, perché l’evoluzione della capacità di contrasto delle patologie che inducono le diverse disabilità è molto difficile da prevedere. Tuttavia, i nostri risultati possono dare qualche indicazione a quanti hanno e avranno l’onere di programmare i servizi per gli anziani nell’Italia del prossimo ventennio.
La principale indicazione è l’esigenza di migliorare e meglio articolare l’offerta di assistenza domiciliare. Prioritariamente, le pubbliche istituzioni dovranno decidere se la permanenza dell’anziano nel suo domicilio è un obiettivo che vale la pena perseguire. Nel dare risposta a questa domanda, va tenuto presente che saranno sempre più numerosi gli anziani che – ad età sempre più elevate – avranno il desiderio e la possibilità di restare nella propria casa. Sempre più spesso si tratterà di coppie molto avanti negli anni, con un buon livello di istruzione e con una certa disponibilità economica. Tuttavia, saranno anche numerosi i coniugi molto anziani entrambi afflitti da un certo grado di disabilità.
In questo quadro, l’assistenza domiciliare basata sull’impiego di personale coresidente – in grande maggioranza si tratta oggi di donne straniere – sembra destinato a espandersi. Tuttavia, sempre più spesso le coppie di coniugi anziani avranno un solo figlio residente nel vicinato, e di conseguenza la gestione dell’assistenza domiciliare potrebbe divenire difficile. I pochi figli (o sempre più spesso l’unico figlio) chiederanno agli enti pubblici e al terzo settore di essere aiutati nell’assistenza socio-sanitaria del genitore, sempre più spesso di entrambi i genitori, quando insorgono seri problemi di disabilità. Gli anziani senza figli non vanno dimenticati, perché sono quelli più a rischio. Tuttavia, lo slogan “aiutare gli aiutanti” può ben rappresentare la sfida di oggi e dei prossimi decenni, per garantire alla grande maggioranza degli anziani italiani la miglior vita possibile, all’interno delle mura domestiche.
La crescita dell’età degli anziani a casa vedrà quindi crescere la necessità di un’offerta pubblica di assistenza domiciliare, per sostituire o – più spesso – integrare l’assistenza privata, con servizi sia di tipo medico-infermieristico, sia più tipicamente assistenziali (come i pasti a domicilio). Inoltre, largo spazio ci sarà anche per servizi complementari, erogati dal terzo settore, ad esempio per l’accompagnamento a visite mediche, la gestione di spazi pubblici di ritrovo, ma anche per la semplice compagnia.
Per quanto riguarda l’assistenza in istituto, i nostri dati suggeriscono innanzitutto che difficilmente ci sarà un forte incremento di richiesta di posti per autosufficienti, perché sempre più spesso gli anziani saranno proprietari della casa dove abitano, potranno contare sul sostegno del coniuge, avranno buone disponibilità economiche, mentre continueranno ad avere almeno un figlio residente vicino a casa. Inoltre, a causa del forte incremento dell’età alla vedovanza, l’aumento di domanda di posti in istituto per non autosufficienti sarà probabilmente molto inferiore rispetto all’incremento del numero degli anziani. Gli istituti sono destinati a ospitare persone sempre più anziane, affette da molte patologie, oggettivamente ingestibili a domicilio. Saranno sempre più simili a reparti di geriatria che a strutture di tipo alberghiero. Infine, l’incremento di disponibilità economiche degli anziani potrebbe anche renderli più spesso in grado di sostenere l’onere economico di un ricovero, senza pesare sui parenti o sulla pubblica assistenza.
Le previsioni demografiche, pur con tutti i loro limiti, permettono di intravvedere i profondi cambiamenti nel prossimo futuro degli anziani italiani. Ci auguriamo che quanti dovranno programmare, per i prossimi anni, l’attività di assistenza, ne tengano conto.
Foto di Manuel Alvarez da Pixabay
Note
- Questo articolo sintetizza quanto da noi pubblicato in tre interventi su neodemos.info, in cui sono riportati anche i dati e le analisi statistiche su cui si basano tutti i ragionamenti qui riportati (articolo 1 – 2 – 3).
- Nel 2011 vivevano in istituto lo 0.7% degli anziani di 65-74 anni, l’1.5% di quelli con 75-84 anni, il 5.1% di quelli con 85 anni e più. Il 70% di questi anziani non sono autosufficienti.